All’interno del Capo I dedicato alle tutele del lavoro autonomo, il Disegno di Legge approvato lo scorso 10 maggio (cd. Jobs Act degli Autonomi) contiene un intervento normativo specificatamente dedicato ai lavoratori parasubordinati.
All’art. 15 del testo in attesa di promulgazione in Gazzetta Ufficiale, si interviene sull’art. 409 del codice di procedura civile. L’articolo su cui il legislatore è intervenuto assolveva alla funzione di estendere il rito tipico del lavoro subordinato di cui al Titolo III, Capo I del Codice di Procedura Civile a una serie di rapporti di lavoro di diversa natura, fra cui -al punto 3- “rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. La norma, di carattere eminentemente procedurale, in assenza di una definizione normativa univoca dei co.co.co. (fatta salva quella fiscale di cui all’art. 50, c. 1 lett. c-bis del D.P.R. 917/1986) era spesso stata utilizzata quale punto di riferimento per la definizione dei lavoratori parasubordinati insieme alla citata norma del T.U.I.R.. Tale funzione ‘suppletiva’ è stata messa in ombra a partire dal 2003, grazie alla dettagliata disciplina delle collaborazioni a progetto contenuta negli artt. 61-69 della Legge Biagi (D.Lgs. 276/2003).
A seguito della stagione riformista del Jobs Act, il Testo di riordino delle Tipologie Contrattuali (D.Lgs. 81/2015) ha di fatto abrogato la disciplina del co.co.pro., con un apparente ritorno al passato. In realtà, tale solo apparente deregulation grazie all’art. 2, c. 1 del Decreto Legislativo 81 del 2015, a partire dal 2016, è stata disciplinata dalla necessità di siglare collaborazioni coordinate e continuative prive non solo di etero-direzione (tratto sostanziale proprio del lavoro subordinato), ma soprattutto di etero-organizzazione, in altri termini rendendo sanzionabili quelle prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative dove i luoghi e dei tempi della prestazione del collaboratore fossero stati decisi da parte del committente, salvo i 5 casi derogatori previsti dal c. 2. Tale fattispecie erano state affrontate nelle Circolari n. 13/2015 e 4/2016 della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Nel caso della violazione di queste prescrizioni, la norma specifica che a tali rapporti illegittimamente parasubordinati (così come ai rapporti che risultino illegittimamente autonomi ex art. 2222 cc sotto gli stessi profili sopra rilevati) sarà applicata la ‘disciplina del rapporto di lavoro subordinato’ nelle modalità sinteticamente illustrate dalla Circolare n. 3/2016 del Ministero del Lavoro: a questi rapporti ‘illegittimi’ sarà applicato qualunque istituto legale o contrattuale (come l’applicazione del trattamento retributivo stabilito dal CCNL osservato dal committente per i propri dipendenti, dell’orario di lavoro ex D.Lgs. 66/2003 e CCNL, l’inquadramento previdenziale, le tutele contro i licenziamenti illegittimi di cui all’art. 18 L. 330/1970 e D.Lgs. 23/2015), tutti propri dei comuni rapporti di lavoro subordinato.
L’apparato sanzionatorio dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 apportava una vera e propria rivoluzione copernicana che invertiva la tendenza della Legge Biagi e Fornero, che era consistita in una serie molteplice e minuta di requisiti di genuinità della parasubordinazione, ripristinando due principi generali che garantiscono la legittima applicabilità dei contratti di natura autonoma e parasubordinata, al prezzo di operare una profonda discontinuità rispetto all’assetto contrattuale che dal 2003 aveva caratterizzato i co.co.pro., costruiti sulla base di un profondo coordinamento fra le parti.
L’articolo 15 del Ddl. 2233b, si sottrae alla tentazione di operare una nuova rivoluzione, e sembra piuttosto porre in essere un vero e proprio correttivo che moderi la presunzione di illegittimità dei co.co.co. con profili di etero-organizzazione inaugurata dal 2016, lasciando invariati anche i profili derogatori che il legislatore del 2015 aveva comunque escluso dall’applicazione della disciplina di lavoro subordinato. L’intervento normativo del Jobs Act della norma recentemente approvata non opera direttamente sul D.lgs. 81/2015, ma si innesta in una cornice normativa di procedura civilistica con l’obiettivo di aumentare il numero di co.co.co. legittimi, riducendo le criticità gestionali registrate dall’inizio del 2016 per effetto dell’art. 2 del Decreto sulle Tipologie Contrattuali.
La nuova definizione di co.co.co. emergente dal punto 3 dell’art. 409 c.p.c. novellato dal Jobs Act dei Lavoratori Autonomi diviene:
Altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa.
La stessa Relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge del marzo del 2016 svela la funzione ‘chiarificatrice’ dell’intervento normativo: “L’articolo 12 [oggi 15, n.d.r.] modifica l’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, specificando la definizione di collaborazione coordinata. Alla luce della modifica, si chiarisce che si ha collaborazione coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”. Confermando un trend osservato per il lavoro agile (ospitato dallo stesso Disegno di Legge), l’impulso di tale norma ripristina un ruolo centrale del contratto individuale e della volontà delle parti, che possono concordare forme di coordinamento (insite nel concetto stesso di parasubordinazione) senza scontrarsi duramente con un apparato sanzionatorio troppo rigido. Le previsioni sanzionatorie dell’art. 2 del D.lgs. 81/2015 infatti risultano mitigate dalla previsione del nuovo art. 409 c.p.c. che dovrà impedire l’automatica applicazione della disciplina di lavoro subordinato nel caso in cui il committente eserciti forme di organizzazione condivisa e coordinamento delle prestazioni del suo collaboratore, inerenti anche l’orario e il luogo delle stesse, sulla base di un regolamento contrattuale condiviso e comunamente siglato. Un ritorno al passato solo parziale quello in esame in quanto il risultato è snellito rispetto alle rigidità di regolamentazione risultanti dall’impianto della Legge Biagi dopo gli interventi della L. 92/2012 che prevedeva un progetto e una determinazione dei risultati talvolta troppo analitici rispetto a una forma lavorativa che deve trovare il suo equilibrio mediano fra lo statuto del lavoratore autonomo e la stretta collaborazione mutuata in parte dal lavoro subordinato. Il nuovo contratto dei co.co.co. si arricchirà dunque una sezione regolatoria dove il committente potrà richiedere, nelle modalità concordate e accettate dal collaboratore, la sua presenza nei locali aziendali e un orario di massima della sua eventuale presenza senza per questo vedersi applicare la disciplina di lavoro subordinato.
Resta inteso che l’art. 15 del Ddl. 2233b in attesa di collocazione in Gazzetta Ufficiale, nulla muta rispetto alle sanzioni scatenabili nei casi di comportamenti riconducibili alla vera e propria etero-direzione: in tutti quei casi in cui il datore di lavoro eserciti comportamenti peculiari del lavoro dipendente (come il potere disciplinare) la conversione sostanziale del rapporto di lavoro opererà senza alcun intervento attenuante da parte della nuova normativa del Jobs Act degli Autonomi.