Trasfertismo: l’Inps si adegua (meglio tardi che mai) [E.Massi]

L’adeguamento da parte dell’INPS sulle questioni relative alla distinzione tra trasferta e trasfertismo susseguenti alla Legge n. 225.

Era il dicembre 2016 quando il Legislatore, per dirimere alcune questioni, particolarmente rilevanti, relative alla distinzione tra trasferta e trasfertismo, con ovvie ricadute fiscali e contributive, susseguenti ad un indirizzo della Cassazione di quegli anni abbastanza uniforme, emanò con il D.L. n. 193/2016, convertito, con modificazioni, nella legge n. 225, una norma di interpretazione autentica relativa al comma 6 dell’art. 51 del TUIR che faceva proprio un indirizzo amministrativo seguito, a suo tempo, sia dall’INPS che dalla Amministrazione finanziaria.
La questione presenza una propria specifica rilevanza in quanto un dipendente può svolgere la propria attività in un luogo diverso dalla sede di lavoro e ciò comporta una duplice configurazione  che discende dalle modalità e dal luogo di svolgimento della prestazione e dagli impegni contrattuali che le parti hanno assunto già con la sottoscrizione della lettera di assunzione: trasferta “occasionale” o trasferta “strutturale o per contratto” che è quella prevista per il c.d. trasferismo.

Il comma 5 dell’art. 51 che si applica alla trasferta prevede una esenzione entro determinati limiti giornalieri (diversi anche in relazione al fatto che la trasferta si svolga in Italia o all’estero) allorquando si varcano i confini del territorio comunale. Lo stesso comma stabilisce una imponibilità totale sia della indennità che dei rimborsi per le trasferte nel comune, ad eccezione dei rimborsi per le spese di trasporto documentate.

Per i “trasfertisti”, invece, alla luce della previsione del comma 6 dell’art. 51 la imponibilità viene fissata al 50% a prescindere dall’ammontare dell’indennità.
Sulla base delle indicazioni contenute nella norma di interpretazione autentica si è in presenza di un lavoratore trasfertista se sussistono, contemporaneamente, tre condizioni:

  • Mancata indicazione della lettera o nel contratto di assunzione della sede di lavoro;
  • Svolgimento di una prestazione lavorativa che richiede una continua mobilità del lavoratore;
  • Corresponsione al dipendente, strettamente correlata al fatto che la prestazione si svolge in luoghi sempre diversi o variabili, di una indennità retributiva in maniera fissa, senza distinguere se lo stesso si sia recato effettivamente in trasferta e dove la stessa si sia svolta.

L’assenza di almeno uno dei tre elementi sopra indicati comporta, come conseguenza, che i compensi erogati a tale titolo vengano considerati come trasferta e, quindi, assoggettati alle regole fiscali e contributive previste dal comma 5.

La questione non fu, comunque, da subito, pacifica in quanto, partendo dall’inserimento dell’avverbio-congiunzione “anche”, fu sollecitato da diverse Sezioni della Suprema Corte, un pronunciamento delle Sezioni Unite, relativa alla circostanza se tale norma di interpretazione autentica si applicasse anche a situazioni del passato, i cui giudizi erano ancora in corso o che, seppur definiti, non erano stati ancora “onorati” dai debitori.

La decisione  avvenne nel 2017 con la sentenza n. 27093 del 15 novembre.
Con tale sentenza i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito, accogliendo il ricorso di un datore di lavoro avverso una cartella esattoriale, che i contributi dovuti sulla indennità di trasferta (l’accertamento risaliva al 2007), dovessero essere assoggettati al regime previsto dall’art. 51, comma 6, del DPR n. 917/1986 e, di conseguenza, commisurati al 50% del valore della indennità stessa, benché detta indennità non venisse corrisposta se i dipendenti prestavano la propria attività presso la sede dell’impresa o presso cantieri situati nel raggio di 20 Km dal Comune ove insisteva la sede dell’impresa.

Dopo un lungo e pregevole “excursus” sulle norme che hanno caratterizzato, a partire dal 1986, la materia sia sotto l’aspetto fiscale che contributivo, sulle sentenze di merito e delle Sezioni della Cassazione, nonchè sugli orientamenti amministrativi espressi nelle circolari dell’Amministrazione finanziaria, dell’INPS e del Ministero del Lavoro, le Sezioni Unite affermano che nella disposizione “de quo” ricorrono tutti gli elementi in base ai quali la Corte Costituzionale ha ritenuto legittime le norme retroattive e che l’intervento legislativo si caratterizza come conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento  relativo alla certezza delle situazioni giuridiche.

Nel quadro della decisione appena citata, le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare il significato della espressione “anche se corrisposta con carattere di continuità”: essa va intesa nel senso che la eventuale continuità non ne pregiudica la natura e la modifica dell’assoggettabilità al regime fiscale e contributivo.
Alla luce di tali considerazioni giuridiche la Direzione Centrale delle Entrate del’INPS, richiamando le indicazioni amministrative già fornite, in passato, con il messaggio n. 27271/2008, invita le proprie articolazioni periferiche a seguire, pedissequamente, il dettato normativo (in presenza contestuale dei tre requisiti ci si troverà di fronte ad un “trasfertismo”, mentre in carenza di almeno uno dei tre presupposti, si dovrà applicare la disciplina della trasferta) ed a definire il contenzioso tuttora pendente (ad oltre tre anni dalla entrata in vigore della norma di interpretazione autentica) sia in sede amministrativa che giudiziaria, sulla base dei principi contenuti nella circolare n. 158, dando comunicazione dell’esito dell’istruttoria in sede di autotutela e delle conseguenti determinazioni degli Uffici legali.


3 Gennaio 2020


Fonte : Dottrina Lavoro