Con la circolare n. 3 del 18 luglio 2017 l’ Ispettorato Nazionale del Lavoro offre una interessante disamina (cosa che si traduce in indirizzi operativi ai quali gli organi della vigilanza si dovranno attenere) circa le conseguenze relative al mancato rispetto degli obblighi scaturenti dal comma 1175 della legge n. 296/2006 tra i quali spiccano la regolarità contributiva ed il rispetto del trattamento economico e normativo derivante dalle previsioni dei contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale e, se esistenti, territoriali ed aziendali.
La questione affrontata dell’INL, con il conforto dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, appare di primaria importanza in quanto affronta e risolve (tenuto conto dell’Ente dal quale promana l’indirizzo) alcune questioni che, in passato, soprattutto da parte degli organi previdenziali, avevano portato ad interpretazioni abbastanza pesanti e controverse. Ciò si è verificato allorquando le “negatività” contrattuali era accertata per alcuni lavoratori oggetto di contribuzione agevolata, ma i benefici venivano recuperati su tutti i dipendenti sui quali venivano fruiti gli incentivi e non soltanto su quelli per i quali erano state riscontrate le difformità.
Ed è questo, a mio avviso, il punto focale della riflessione: il mancato rispetto degli obblighi scaturenti dalla “contrattazione” privilegiata dal Legislatore restringe il campo di operatività e lo delimita soltanto a loro e (altro passaggio importante) per il solo periodo in cui si è protratto il comportamento elusivo.
Tale interpretazione non tocca la possibilità che un datore di lavoro applichi un contratto del settore che non sia sottoscritto da organizzazioni “rappresentative”: ciò resta possibile ai sensi dell’art. 39 della Costituzione ma il Legislatore, secondo un indirizzo ritenuto valido dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 51 del 26 marzo 2015, può ben offrire una posizione di preminenza a quelle pattuizioni che sono applicate alla maggioranza dei lavoratori che operano in quello specifico settore.
Tornando alla interpretazione ministeriale che fornisce una lettura non ristretta del comma 1175, va sottolineato che l’agevolazione è strettamente correlata al singolo rapporto di lavoro: tale principio si ricava dall’art. 6, commi 9 e 10, D.L n. 338/1989, convertito, successivamente, nella legge n. 389, laddove, affrontando il tema della fiscalizzazione degli oneri sociali, si afferma che le riduzioni non spettano alle imprese ogni qual volta non siano stati rispettati per i singoli lavoratori i requisiti previsti dal Legislatore e per un periodo uguale a quello nel quale è stata registrata la violazione. Tale orientamento amministrativo è, poi, suffragato da quanto nel 1993, con l’art. 2, comma 5 del D.L. n. 71, fu affermato (con la conferma di ciò che era stato detto nel 1989) in materia di sgravi contributivi per le imprese operanti nel Meridione.
L’ Ispettorato Nazionale del Lavoro sembra “bacchettare” chi, finora, ha fornito una interpretazione diversa quando afferma che la revoca totale dei benefici in caso di violazioni di legge o di contratto collettivo, anche lievi e per aspetti del tutto secondari che non incidono in alcun modo sulla posizione contributiva, potrebbe portare ad una penalizzazione maggiore di quella prevista dal DM 30 gennaio 2005 che impone il mancato rilascio del DURC per alcune violazioni che si appalesano abbastanza gravi e che inibiscono la fruizione della totalità dei benefici di cui gode l’impresa.
Diverso è il discorso, sempre postulato dal comma 1175, della revoca dei benefici per un’ azienda che non è in regola con i versamenti contributivi. La nota dell’ Ispettorato Nazionale del Lavoro ricorda la chiara posizione espressa dal Dicastero del Welfare nell’interpello n. 33/2013 secondo la quale “una volta esaurito il periodo di non rilascio del DURC, l’impresa potrà evidentemente tornare a godere dei benefici normativi e contributivi ivi compresi quei benefici di cui è ancora possibile usufruire in quanto non legati a particolari vincoli temporali”.
I quindici giorni per la regolarizzazione del DURC, di cui parla il DM 30 gennaio 2005, afferma la circolare n. 3, non servono, però, per regolarizzare le gravi violazioni ricomprese all’interno dell’allegato A, accertate con provvedimenti giudiziari od amministrativi definitivi, in quanto è lo stesso art. 8 ad impedirlo in modo definitivo. La ragione di tale preclusione risiede nel fatto che si tratta di violazioni molto gravi che incidono sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Senza voler in alcun modo fare una elencazione delle stesse, ricordo che vi sono comprese l’omissione o la rimozione dolosa di strutture di protezione, l’omicidio e le lesioni colpose derivanti da violazione di norme di tutela o da carenza di misure di prevenzione, alcune violazioni particolarmente gravi previste dal decreto legislativo n. 81/2008, l’utilizzazione di lavoratori extra comunitari privi del permesso di soggiorno e l’inosservanza delle disposizioni in materia di riposo giornaliero (undici ore tra una prestazione e l’altra a meno che non ci si trovi di fronte ad un lavoro frazionato) e settimanale (due giornate in un arco temporale di quattordici giorni) allorquando essa si sia verificata per almeno il 20% del personale regolarmente occupato.