Rappresentanza e CCNL leader: le criticità evidenziate dai CdL

Ha suscitato non poco clamore la Circolare n. 3/2018 dell’INL con la quale viene ribadito (così come previsto dalla norma) il concetto della maggiore rappresentatività in termini comparativi, per quanto concerne l’applicazione dei contratti collettivi “leader”. L’orientamento dell’Ispettorato non lascia spazio ad interpretazioni fuorvianti: i contratti collettivi che non godono della “maggiore rappresentatività” in termini comparativi, e quindi non sottoscritti dalle oo.ss. più rappresentativi (CGIL, CISL e UIL), perdono ogni efficacia.

Attenzione. Laddove un’impresa applica un CCNL non maggiormente rappresentativo, in sede di accertamento, il personale ispettivo può adottare una serie di provvedimenti, come per esempio il recupero di eventuali benefici contributivi fruiti per quel determinato rapporto di lavoro ritenuto appunto irregolare.

Ciò ha suscitato non poche problematiche legate proprio all’individuazione puntuale dei sindacati “comparativamente più rappresentativi”. Il tema ha attirato senza dubbio l’interessa della Fondazione Studi CdL che con l’Approfondimento a cura degli esperti del 12 febbraio 2018 ha analizzato le criticità della tematica, confermando l’urgenza di sciogliere il nodo per fare chiarezza in un comparto al momento non decifrabile.

Conseguenze – In tal contesto, l’INL ha diramato specifiche istruzioni ai propri funzionari in sede di accertamento ispettivo, i quali dovranno considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.). Il riferimento, come riassunto dagli esperti della Fondazione Studi, riguarda in particolare:
i contratti di prossimità di cui all’ art. 8 del D.L. n. 138/2011, che, per produrre il c.d. effetto derogatorio, dovranno essere sottoscritti da soggetti appartenenti ad associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale è indispensabile ai fini godimento di “benefici normativi e contributivi”, in virtù del disposto dell’art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006;
il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 338/1989 unitamente all’art. 2, comma 25, della L. n. 549/1995;
i diversi livelli di contrattazione collettiva così come declinati dall’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, che assegna identica efficacia ai diversi livelli, purché i contratti siano espressione, ancora una volta, delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Finalità – A detta dell’INL, la finalità della Circolare è quella di tutelare le aziende dal sempre più frequente fenomeno del “dumping”, spingendo le stesse ad applicare solo i c.d. “contratti leader”. Tale decisione è dettata dal fatto che l’ordinamento riserva l’applicazione di determinate discipline subordinatamente alla sottoscrizione o applicazione di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi. Infatti, in materia di contratti di prossimità (art. 8 del D.L. n. 138/2011), eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati” non possono evidentemente produrre effetti derogatori, come prevede il Legislatore, “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.

I CdL condividono senz’altro l’intento del Legislatore, atteso che rappresenta un momento specifico del più generale assetto della organizzazione e libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost., risultando evidentemente necessario qualificare i soggetti cui è riconosciuta tale fondamentale attribuzione. Al contempo, il criterio previsto dalla legge non è però esente da incertezze in ordine alla sua applicazione concreta.

La Fondazione Studi, infatti, prende come esempio il fatto che la Corte Costituzionale, con sentenza 3 – 23 luglio 2013, n. 231 al fine di garantire la massima tutela al principio di libertà sindacale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.

Conclusioni CdL – Gli esperti della Fondazione Studi concludono affermando che allo stato attuale il citato concetto di “comparativamente più rappresentativo” sul piano nazionale non trova alcuna concretizzazione in un dato certo.

Il Legislatore infatti, nel prevedere il criterio della rappresentatività maggioritaria comparativa, perpetua l’annosa incertezza sulle modalità attraverso le quali individuare, con la necessaria obiettività, tale requisito. Anche le più recenti norme (art. 51 d.lgs. n. 81/2015) rinviano al criterio della rappresentatività comparata, senza che però nel sistema attuale sia possibile individuare con certezza i parametri attraverso i quali determinare tale comparazione e conseguentemente individuare l’organizzazione sindacale perciò “maggiormente” rappresentativa.

Ad oggi, quindi, sostengono i CdL, non risulta sussistente il presupposto fondante l’azione ispettiva prefissa dalla circolare n. 3/2018.

Va da sé che a causa della oggettiva incertezza, della sostanziale mancanza di un sistema classificatorio certo e noto dei criteri di individuazione delle organizzazioni sindacali legittimate ad agire nei termini delle previsioni speciali elencate dalla stessa circolare, ogni intervento teso al diniego delle agevolazioni o della disciplina derogatoria, sarebbe foriero di contenzioso.

Purtroppo una simile situazione si ribalta sulle aziende sempre più limitate allo sviluppo della contrattazione di secondo livello, creando conseguenze negative anche e soprattutto in termini di benefici contributivi.


19 Febbraio 2018


Fonte : Fiscal Focus