Le sanzioni e il procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore dipendente che non rispetta la legge, il regolamento aziendale o i contratti collettivi di lavoro.
Uno degli aspetti più caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato è il potere sanzionatorio che ha il datore di lavoro nei confronti dei dipendenti. Tanto è vero che l’eventuale apertura di contestazioni disciplinari è un indizio per scovare le false partite Iva (ossia quei rapporti sostanzialmente identici al lavoro dipendente mascherati tuttavia dietro collaborazioni esterne).
Ma, in concreto, quando il lavoratore può essere sanzionato? In altri termini, quali sono le occasioni in cui l’azienda può aprire un procedimento disciplinare e applicare una delle sanzioni previste dalla legge?
Una cosa è certa e forse fin troppo scontata. La prerogativa che la legge riconosce al datore di lavoro di poter sanzionare i dipendenti infedeli o negligenti ha ripercussioni solo da un punto di vista civilistico, attiene cioè al rapporto contrattuale. Dunque qualsiasi sanzione non può mai avere conseguenze sul piano amministrativo o penale, ambiti per i quali possono provvedere solo le competenti autorità. Tanto per fare un esempio, se un dipendente ruba, il datore di lavoro può solo licenziarlo, ma se vuole vederlo condannare penalmente dovrà sporgere querela. Nonostante tra le sanzioni vi sia la cosiddetta “multa” il significato di tale parola non è quello proprio della sanzione penale, ma consiste solo in una trattenuta in busta paga.
Detto ciò, per quanto ampia possa essere la materia e nonostante la possibilità di incorrere in una serie infinita di ipotesi specifiche legate al caso concreto, cercheremo qui di seguito di capire – almeno in termini generali – quando il lavoratore può essere sanzionato, in modo da capire, di conseguenza, anche quando le sanzioni sono illegittime o sproporzionate.
Quando il dipendente può essere sanzionato?
A regolare le sanzioni disciplinari è innanzitutto il Codice civile in base al quale il dipendente ha l’obbligo di svolgere le proprie mansioni osservando:
- la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale [1];
- l’obbligo di fedeltà all’azienda: consiste nel divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore, o di divulgare notizie attinenti al proprio lavoro [2].
La violazione di tali disposizioni può dar luogo – prosegue sempre il Codice civile [3] – all’applicazione delle sanzioni disciplinari secondo la gravità dell’infrazione e in base a quanto dispongono anche i contratti collettivi nazionali.
Come visto il Codice civile è molto generico e fa riferimento solo alle violazioni degli obblighi di obbedienza, diligenza e fedeltà, senza individuare le singole infrazioni rilevanti sul piano disciplinare.
Pertanto, sono i contratti collettivi e i regolamenti aziendali predisposti dal datore di lavoro a individuare quali sono concretamente i comportamenti non consentiti che danno origine a sanzioni disciplinari.
Quali sono le sanzioni disciplinari?
Prima di individuare in quali casi il datore di lavoro può sanzionare il dipendente, vediamo quali sono le sanzioni previste dalla legge. L’azienda può optare solo per una delle seguenti sanzioni non potendo “crearne” di ulteriori o personalizzarle:
- il rimprovero verbale: si tratta della sanzione più lieve che non richiede il rispetto del procedimento di contestazione e irrogazione della sanzione (di cui parleremo a breve). Di tale sanzione, dunque, non rimane alcuna traccia;
- l’ammonizione (o biasimo) scritta;
- la multa, consistente nella trattenuta in busta paga dell’importo corrispondente ad un massimo di 4 ore di retribuzione base. In genere l’importo delle multe, non costituenti risarcimento danni, viene devoluto agli enti previdenziali e assistenziali.
- la sospensione dal servizio con conseguente interruzione della retribuzione; non può avere durata superiore a 10 giorni;
- il trasferimento ad altra sede o reparto; è legittimo solo se previsto dai contratti collettivi;
- il licenziamento.
Le sanzioni sono così ordinate secondo gravità del comportamento e delle conseguenze per l’azienda. In prima battuta spetta al datore di lavoro graduare le sanzioni in base alle violazioni commesse ma, in caso di contestazione, il giudizio di proporzione viene rimesso al tribunale.
Commette “recidiva” il lavoratore che, nell’arco di due anni, reitera il comportamento che ha dato luogo ad un precedente provvedimento disciplinare.
La recidiva, o i precedenti disciplinari che la integrano, deve formare oggetto di preventiva contestazione al lavoratore, a pena di nullità della sanzione, se questa è elemento costitutivo della mancanza addebitata .
Qual è il procedimento di applicazione delle sanzioni?
Lo Statuto dei lavoratori individua una procedura obbligatoria che il datore di lavoro deve adottare prima di poter sanzionare il dipendente. Ecco in cosa consiste.
In termini relativamente brevi rispetto alla conoscenza dell’infrazione commessa, il datore di lavoro deve inviare una lettera scritta al dipendente con cui gli contesta il comportamento. La contestazione deve essere specifica, ossia indicare con precisione le condizioni di tempo e di luogo in cui è stata posta l’infrazione. Non è possibile lasciar decorrere troppo tempo dai fatti, ingenerando nel dipendente la presunzione di essere stato perdonato.
La contestazione deve lasciare al dipendente 5 giorni di tempo per presentare una difesa scritta. Con la stessa l’interessato può chiedere di essere ascoltato di persona nel corso di un incontro durante il quale può farsi assistere da un sindacalista (non dall’avvocato). Il datore non può negare il colloquio se richiesto né può emettere la sanzione prima di tale data.
All’esito delle difese espresse dal dipendete, il datore – altrettanto celermente – deve comunicare per iscritto la determinazione finale, ossia l’adozione della sanzione.
Quando un dipendente può essere sanzionato?
Le violazioni che può commettere il dipendente attengono alle norme di legge (civile o penale), ai contratti collettivi o al regolamento aziendale. Cerchiamo di analizzare ogni singola ipotesi.
Violazioni di legge
Volendo identificare le ipotesi in cui un dipendente può essere sanzionato, tra queste vi è sicuramente la violazione della legge penale.
L’eventuale condanna per reati commessi durante il lavoro è sicuramente causa di licenziamento per giusta causa anche se non espressamente previsto dai contratti collettivi. La giurisprudenza ha ammesso la possibilità del licenziamento anche per fatti penalmente rilevanti posti al di fuori del lavoro ma che possono comunque incidere sull’immagine o sulla credibilità dell’azienda (si pensi a un impiegato di banca condannato per usura o a un insegnante condannato per spaccio di droga). Non tutti i reati posti nella vita quotidiana possono dunque implicare il licenziamento.
La Cassazione ha ammesso anche la possibilità del licenziamento per condanne penali avvenute prima dell’assunzione di cui il datore non era a conoscenza, qualora suscettibili di pregiudicare l’azienda. Pensa a una dipendente di un asilo privato condannata per maltrattamenti a bambini.
La violazione delle norme di diritto civile al di fuori dell’ambito lavorativo non può mai dar origine a un licenziamento (si pensi a un dipendente che non ha pagato i debiti con la banca o che ha abbandonato il tetto domestico lasciando sola la moglie).
Diversamente, nell’ambito dell’espletamento delle mansioni, il dipendente è tenuto a conoscere e rispettare tutte le regole civilistiche che attengono alla prestazione. Le prime tre le abbiamo elencate in apertura e sono riportate nel Codice civile. Eccole:
- obbedienza: il dipendente non può mai avere delle reazioni scomposte nei confronti dei superiori gerarchici; non può quindi commettere atti di insubordinazione fermo restando un pacato potere di critica. La giurisprudenza ha, in passato, ritenuto eccessiva la sanzione del licenziamento per una reazione verbale determinata da un clima conflittuale e teso dei rapporti di lavoro (si pensi a una situazione di crisi aziendale ove il datore ha minacciato il licenziamento o la riduzione degli stipendi). In presenza di un trasferimento che il dipendente ritiene illegittimo, questi non può astenersi dal prendere servizio presso la nuova sede ma deve prima promuovere un giudizio in tribunale per ottenere l’annullamento dell’ordine di servizio;
- diligenza: le sanzioni disciplinari possono scattare anche quando il dipendente non compie correttamente le proprie mansioni, perché distratto o pigro. Di recente la giurisprudenza ha ammesso la possibilità di licenziamento per scarso rendimento tutte le volte in cui la prestazione del dipendente è di qualità nettamente inferiore alla media dei colleghi dello stesso settore. È sanzionabile il lavoratore che esegue la prestazione con incostanza, negligenza o in modo difforme dalle istruzioni ricevute. Il dipendente non può fare ritardi o assenze ingiustificate;
- fedeltà: il dipendente non può mentire al datore di lavoro (si pensi a chi presenta un falso certificato medico o prende un permesso per assistere un familiare disabile quando poi va a fare una gita). Non può svolgere attività in concorrenza con il datore di lavoro (pur potendo avere un doppio lavoro). Durante la malattia non deve porre in essere attività che possano rallentare la guarigione. Non può deridere o criticare in pubblico l’azienda o i prodotti da questa commercializzati. Ecco perché spesso è stato ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente che ha pubblicato un post diffamatorio su Facebook nei confronti del superiore gerarchico.
Si può essere licenziati se si adempie all’ordine di un superiore gerarchico palesemente illegittimo. Si pensi a un dipendente che non emette lo scontrino perché richiestogli dal capo area. In ogni caso, secondo la Cassazione [4], spetta al giudice accertare se l’adempimento di un ordine illegittimo impartito dal datore di lavoro equivalga alla violazione degli obblighi contrattuali di lavoro.
Violazione del regolamento interno
Il regolamento interno all’azienda, anche detto Codice disciplinare, è costituito dall’insieme di norme disciplinari (infrazioni, procedure di contestazione e sanzioni applicabili) previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale, o unilateralmente dal datore di lavoro.
Il Codice disciplinare deve descrivere chiaramente (anche in modo schematico) i comportamenti che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari e le corrispondenti sanzioni, sia pure in maniera ampia e suscettibile di adattamento alle concrete inadempienze dei dipendenti. Pertanto, se il Codice disciplinare è generico o non esplicita chiaramente le infrazioni e le sanzioni correlate, i provvedimenti disciplinari irrogati ai dipendenti sono nulli.
Il Codice disciplinare deve essere affisso in un luogo accessibile a tutti. In mancanza di valida affissione, il datore di lavoro non può sanzionare i comportamenti del lavoratore: la sanzione eventualmente irrogata è nulla.
Tuttavia, secondo un più recente orientamento, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio è immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cosiddetto minimo etico o a norme di rilevanza penale, non è necessario provvedere alla pubblicità del Codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di un’analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del Codice disciplinare, della illiceità della propria condotta [5]. Ad esempio, si può licenziare un dipendente che fuma uno spinello in ufficio anche se tale comportamento non è elencato nel Codice disciplinare.
Violazione delle norme dei contratti collettivi
I Ccnl (contratti collettivi nazionali di lavoro) elencano una serie di ipotesi per le quali sono possibili le sanzioni disciplinari. Si tratta di un elenco esemplificativo che non esaurisce i poteri del datore di lavoro. Per cui, una condotta non descritta nel Ccnl può essere ugualmente sanzionata. Dall’altro lato però se il Ccnl prevede una sanzione meno afflittiva, il datore non può applicare per la stessa fattispecie una sanzione più grave.
note
[1] Art. 2104 cod. civ.
[2] Art. 2015 cod. civ.
[3] Art. 2106 cod. civ.
[4] Cass. od. n. 1582/19.
[5] Cass. 11 maggio 2018 n. 11412; Cass. 3 gennaio 2017 n. 54; Cass. 29 agosto 2014 n. 18462; Cass. 27 gennaio 2011 n. 1926.