Periodo di prova nei contratti a termine: in arrivo nuovi criteri per il calcolo della durata

Il DDL Lavoro interviene per porre rimedio alle difficoltà relative al calcolo effettivo del periodo di prova nei contratti a termine. Come? Prevedendo un criterio univoco per calcolare la durata della prova, fissandone i limiti e ancorandolo alla durata del rapporto a tempo determinato, fermo restando il ruolo primario della contrattazione collettiva che può stabilire regole più favorevoli. Quali sono i requisiti di legittimità del patto di prova? Come si calcola secondo i nuovi criteri?
Il disegno di legge in materia di lavoro (DDL Lavoro) è all’esame del Senato per l’approvazione definitiva. Tra le varie disposizioni, l’art. 6 fissa i parametri per calcolare la durata del periodo di prova nei contratti a tempo determinato.

Disciplina generale del patto di prova

L’art. 2096 c.c. al fine di consentire la valutazione reciproca durante il periodo iniziale di lavoro, prevede la possibilità, per entrambi i contraenti, di sottoscrivere un patto di prova; il terzo comma del medesimo articolo legittima ambo le parti a recedere liberamente senza alcun vincolo durante tale periodo. Nel corso della prova il lavoratore ha diritto al medesimo trattamento normativo e economico previsto nel caso di assunzione definitiva, con maturazione dei ratei di mensilità aggiuntive, del trattamento di fine rapporto e delle ferie.

Requisiti di legittimità del patto

Il patto di prova è un elemento facoltativo del contratto di lavoro ma, qualora previsto, deve esplicitare in forma scritta e in modo chiarospecifico e puntuale le mansioni che il lavoratore dovrà eseguire, in ossequio a quanto indicato dalla contrattazione collettiva. Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, la mancanza di tali previsioni costituisce motivo di nullità del patto con la conseguenza che l’assunzione si considera definitiva dall’inizio del rapporto (ex multis Cass. Civ. Sez. Lavoro 6 marzo 2023, n. 6552).
Il lavoratore può impugnare il licenziamento comminato durante il periodo di prova dimostrando l’indeterminatezza delle mansioni oggetto della prova, ovvero lo svolgimento di mansioni diverse rispetto a quelle stabilite nel patto o la previsione di una durata eccessivamente limitata, quindi insufficiente a dimostrare le proprie capacità.
La stipulazione di un patto di prova deve avvenire in un momento anteriore o contestuale alla costituzione del rapporto, di conseguenza non è possibile sanare la sua originaria mancanza mediante la previsione di un patto successivo all’instaurazione del rapporto lavorativo (sul punto, Cass. 24 gennaio 1994, n. 681; Cass. civ., Sez. lav., 22 ottobre 2010, n. 21758).

Patto di prova nei contratti a termine

L’art. 7 del D.Lgs. n. 104/2022 (decreto Trasparenza) fissa la durata massima del periodo di prova a sei mesi, salvo i casi in cui la contrattazione collettiva preveda una durata inferiore. Nei rapporti di lavoro a termine, invece, la legge non ha stabilito un parametro preciso ma si è limitata a disporre che il periodo di prova sia calcolato in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego.
Possiamo riassumere come segue i limiti introdotti dal citato decreto:
– il periodo di prova non può avere una durata superiore a 6 mesi, fatta salva la durata eventualmente inferiore prevista dalla contrattazione collettiva;
– nei rapporti di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego;
– nelle ipotesi di rinnovo di un contratto di lavoro con le stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può prevedere un nuovo periodo di prova;
– al verificarsi di eventi come la malattia, l’infortunio, il congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza per garantire l’effettività della prova stessa.
In merito all’ultimo punto, si precisa che l’elencazione prevista dalla norma non è esaustiva, per cui è possibile riconoscere valenza sospensiva (con il corrispondente prolungamento del periodo di prova) anche ad altre assenze previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva, come i congedi e i permessi ex legge n. 104/1992, lo sciopero o la sospensione dell’attività da parte del datore di lavoro (cfr. Circ. MLPS n. 19 del 20 settembre 2022).
Riguardo ai rapporti di lavoro a tempo determinato, come anticipato, il decreto Trasparenza dispone che il periodo di prova deve essere calcolato in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego, senza stabilire alcun parametro di riproporzionamento.
Ciò ha generato una serie di perplessità e difficoltà di calcolo, considerato che la contrattazione collettiva, in genere, disciplina la durata del patto di prova in giorni o in mesi, facendo riferimento ai rapporti a tempo indeterminato. La questione assume particolare importanza se si considera che durante il periodo di prova le parti possono recedere dal rapporto liberamente e senza preavviso; inoltre, un patto di durata adeguata, offre maggiori garanzie circa l’effettivo esperimento della prova stessa, fatta salva la possibilità per il lavoratore di attivare le ordinarie tutele contro i licenziamenti illegittimi nel caso in cui la prova si sia svolta per un tempo non idoneo a consentire l’effettiva valutazione delle proprie capacità professionali.

Novità nel DDL Lavoro

Il DDL lavoro (C. 1532-bis-A) approvato alla Camera il 9 ottobre scorso, passato al Senato in seconda lettura, introduce una disposizione finalizzata a risolvere i problemi citati poc’anzi, attraverso la modifica del comma 2 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 104/2022.
La nuova disposizione prevede che, fatte salve le previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova per i rapporti di lavoro a tempo determinato di cui non è parte la pubblica amministrazione, è fissata in un giorno di effettiva prestazione ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso, la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni per i contratti con durata non superiore a sei mesi, e non può essere inferiore a due giorni e superiore a trenta giorni per quelli con durata superiore a sei mesi e inferiori a dodici mesi.
Durata del contratto a termine
Durata della prova
Previsione generale
1 giorno di effettiva prestazione ogni 15 giorni di calendario
In ogni caso:
Contratti a termine non superiori a 6 mesi
Almeno 2 giorni e massimo 15 giorni
Contratti a termine superiori a 6 mesi ma inferiori a 12 mesi
Almeno 2 giorni e massimo 30 giorni
Si introduce, quindi, un criterio univoco di matrice normativa per calcolare la durata della prova, fissandone i limiti e ancorandolo alla durata del rapporto a tempo determinato, fermo restando il ruolo primario della contrattazione collettiva che può stabilire regole più favorevoli.
La disposizione, peraltro, riversa all’interno della legislazione nazionale, i principi espressi dalla Direttiva (UE) n. 1152/2019 ai quali si era già conformato l’art. 7 del decreto Trasparenza, replicando esattamente i contenuti dell’art. 8 della fonte comunitaria. Negli stessi termini, l’ultimo periodo del Considerando n. 28 della Direttiva, specifica che in caso di rapporti di lavoro a tempo determinato inferiori a 12 mesi, gli Stati membri dovrebbero assicurare che la durata del periodo di prova sia adeguata e proporzionale alla durata prevista del contratto e alla natura dell’impiego.
Il riferimento ad un giorno di effettiva prestazione ogni quindici giorni di calendario, inoltre, risponde al principio di effettività espresso al comma 3 dell’art. 7 (e da costante giurisprudenza di legittimità), in linea con le previsioni contenute nella stessa Direttiva.
Dalla lettura della norma, tuttavia, emergono alcune perplessità in merito al criterio di proporzionalità citato dalla Direttiva, in ragione del parametro adottato (1 giorno di prova ogni 15 giorni di calendario) che porterebbe ad assimilare la durata della prova di lavoratori con contratti di pari durata ma con orario diverso (è il caso, ad esempio, di due lavoratori, entrambi con un contratto a termine di 180 giorni, uno con orario full-time e l’altro con un part-time di poche ore a settimana, che in assenza di specifiche disposizioni del contratto collettivo, si vedrebbero applicare lo stesso limite calcolato in 12 giorni di prova).
Su questi aspetti sarà necessario attendere chiarimenti dopo la definitiva approvazione della disposizione esaminata e, soprattutto, prestare attenzione agli interventi della contrattazione collettiva.

8 Novembre 2024


Fonte : WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro