Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo: quando c’è la reintegra sul posto di lavoro e quando il risarcimento del danno.
Due sono le conseguenze del licenziamento illegittimo: la reintegra sul posto o il risarcimento del danno. Nel primo caso, al dipendente viene restituito il suo lavoro e vengono corrisposte le retribuzioni maturate fino al giorno della ripresa in servizio; nel secondo caso, la legge prevede il versamento di un importo a titolo di ristoro che il giudice però può variare in relazione alle circostanze concrete (ad esempio, l’anzianità di servizio).
La possibilità di ottenere la reintegra o il risarcimento dipende da una serie di fattori quali la dimensione dell’azienda (se ha più o meno di 15 dipendenti), le ragioni che hanno determinato l’illegittimità del licenziamento e la data in cui è avvenuta l’assunzione (se prima o dopo l’introduzione del Jobs Act).
Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono le conseguenze di un licenziamento illegittimo.
Conseguenze licenziamento illegittimo aziende con meno di 15 dipendenti
Nelle aziende con meno di 15 dipendenti, in caso di accertamento dell’illegittimità del licenziamento spetta di regola solo il risarcimento del danno e non la reintegra.
Sono aziende piccole quelle che occupano fino a 15 dipendenti (5 nel settore agricolo) nell’unità produttiva o nel comune. A tal fine, si computano tutti i dipendenti a tempo indeterminato (e non chiunque presti stabilmente la propria attività in azienda).
Il risarcimento è costituito da un’indennità che va da 2,5 a 6 mensilità della retribuzione globale di fatto. Tuttavia, se il lavoratore è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del D. Lgs. 23/2015, il cosiddetto Jobs Act) l’indennità va da 3 a 6 mensilità della retribuzione per il calcolo del Tfr, senza contributi.
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione del Jobs Act che prevedeva, in caso di licenziamento ingiustificato, un criterio di calcolo dell’indennità spettante rigido e ancorato alla sola anzianità di servizio. Pertanto, dall’8 novembre 2018, il giudice, quando accerta che il licenziamento è illegittimo, può discrezionalmente determinare la misura dell’indennità risarcitoria, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge, tenendo conto non solo dell’anzianità di servizio del lavoratore ma anche dei seguenti criteri:
- numero dei dipendenti occupati;
- dimensioni dell’attività economica;
- comportamento e condizioni delle parti.
Conseguenze licenziamento illegittimo aziende con più di 15 dipendenti
Se il datore di lavoro ha più di 15 dipendenti e il lavoratore è stato assunto prima del 7 marzo 2015, in caso di inesistenza del motivo di licenziamento (ad esempio: soppressione di una posizione lavorativa che invece continua ad essere ricoperta da un altro dipendente), si possono avere la reintegra e il pagamento di un’indennità di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, con i contributi previdenziali.
In alternativa, a discrezione del giudice, il rapporto è risolto e il datore è condannato al pagamento di un’indennità da 12 a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Anche in questo caso, operano le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale. Pertanto, la misura del risarcimento è stabilita dal giudice sulla base di anzianità del lavoratore, sul numero dei dipendenti occupati, sulle dimensioni dell’attività economica, sul comportamento e sulle condizioni delle parti. Tale sanzione si applica anche in tutti gli tutti gli altri casi di illegittimità (ad esempio: mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage).
Se il lavoratore è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 (ossia dopo l’entrata in vigore del Jobs Act), il rapporto è risolto e il datore è condannato al pagamento di un’indennità tra 6 e 36 mensilità, senza contribuzione.
Licenziamenti nulli
A prescindere dalla data di assunzione e dalla dimensione dell’azienda (quindi, sia per quelle con meno di 15 dipendenti che per quelle con un numero superiore), il licenziamento dà sempre diritto alla reintegra quando si tratta di licenziamento nullo ossia:
- è fondato su motivi discriminatori;
- è intimato non per iscritto;
- è fondato su fatti inesistenti (per addebiti disciplinari mai commessi o per motivi economici insussistenti);
- è rivolto nei confronti della lavoratrice madre;
- è per causa di matrimonio.
In particolare, per quanto attiene al licenziamento per motivi discriminatori è quello che si fonda sul sesso, sulle condizioni di salute, sull’appartenenza a un sindacato o sulle idee politiche, sull’età. Vi rientra anche il licenziamento per rappresaglia, ossia basato su eventuali contrasti dovuti ad azioni giudiziali del dipendente nei confronti dell’azienda, ecc.
Per quanto attiene al licenziamento della lavoratrice madre, la dipendente non può essere licenziata dall’inizio del periodo di gravidanza (300 giorni prima della data presunta del parto) fino al termine del congedo di maternità e fino a 1 anno di età del bambino.
Per quanto attiene al licenziamento per matrimonio, esso prevede il divieto nel periodo che decorre dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo l’avvenuta celebrazione delle nozze.
L’onere di provare la natura discriminatoria o illecita del licenziamento spetta, secondo le regole generali, al lavoratore, che deve portare a sostegno della sua tesi elementi specifici tali da dimostrare con sufficiente certezza l’intento del datore di lavoro.
Fatta eccezione per l’ipotesi in cui il lavoratore non intende riprendere servizio, il datore di lavoro, per ordine del giudice, è tenuto in via generale:
- alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro;
- al risarcimento del danno subito dal lavoratore;
- al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti.
Anche quando il lavoratore sceglie di non rientrare in azienda, oltre all’indennità sostitutiva della reintegrazione restano dovuti il risarcimento del danno nonché il versamento degli oneri previdenziali e assistenziali.
Il pagamento ammonta a un’indennità pari alla retribuzione maturata dal licenziamento all’effettiva reintegra, in misura non inferiore a 5 mensilità. La retribuzione da considerare è quella globale di fatto per gli assunti fino al 7 marzo 2015 e quella per il calcolo del Tfr per gli assunti dopo tale data.
Al posto della reintegra, il lavoratore ha facoltà di scegliere in luogo della reintegra stessa il pagamento di un’indennità di 15 mensilità di retribuzione.