Licenziamento per giusta causa: quando è possibile

Il licenziamento per giusta causa è un licenziamento disciplinare per ragioni talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per neanche un giorno: avviene perciò in tronco e senza preavviso.
C’è un detto che circola tra gli imprenditori e chi, più in generale, fornisce lavoro: «Una volta che hai assunto un dipendente, non puoi più mandarlo via». La frase ha un fondo di verità. La legge italiana vieta il licenziamento che non sia fondato su valide ragioni, ragioni che non possono mai dipendere dal semplice capriccio o dal gradimento del datore di lavoro. Ad esempio, è impossibile licenziare un lavoratore perché non più gradito o divenuto antipatico al datore o, magari, perché questi ci ha “ripensato”. È possibile il licenziamento quando però il lavoratore è divenuto completamente inutile all’azienda, anche a seguito di una sua sopravvenuta incapacità fisica a svolgere le mansioni, o quando sia colpevolmente poco produttivo. È sicuramente possibile mandare a casa un dipendente che si sia macchiato di gravi violazioni nello svolgimento degli incarichi assegnatigli (cosiddetto licenziamento per giusta causa), nel caso in cui l’azienda sia in crisi o addirittura – secondo un recente orientamento – quando ciò sia necessario a massimizzare i profitti.

Quando il licenziamento è legittimo
La legge e l’interpretazione giurisprudenziale consentono il licenziamento per cause tipiche e predefinite. In particolare è possibile solo:

  • Licenziamento disciplinare: è quello giustificato da un comportamento del dipendente che viola il contratto di lavoro. A seconda della gravità della violazione si distingue tra licenziamento per giusta causa (in tal caso, il licenziamento avviene in tronco, senza preavviso) e licenziamento per giustificato motivo soggettivo (in tal caso è sempre dovuto il preavviso, calcolato secondo la durata fissata dai contratti collettivi nazionali: in tale periodo il lavoratore continua a prestare la propria attività e matura il diritto al compenso. Tuttavia, l’azienda può rinunciare al preavviso e mandare via subito il lavoratore, ma dovrà versargli l’indennità di preavviso);
  • Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: è quello che trae origine da cause legate all’azienda come ad esempio la crisi, la cessione del ramo d’azienda, l’esternalizzazione delle mansioni, una migliore distribuzione delle risorse aziendali in modo da tagliare gli sprechi, l’avvento di una macchina che sostituisce il lavoro dell’uomo. In tutti questi casi, però, prima del licenziamento è necessario procedere al cosiddetto repêchage (o «ripescaggio»): in pratica il datore deve verificare che il dipendente da licenziare non sia collocabile ad altre mansioni utili all’azienda, sempre che queste non siano già affidate ad altri lavoratori.
    Cos’è il licenziamento per giusta causa

Vediamo ora cos’è e quando è possibile il licenziamento per giusta causa. Il licenziamento per giusta causa è un licenziamento di tipo disciplinare, che si giustifica per condotte del dipendente talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per neanche un giorno; esso avviene perciò in tronco e senza preavviso. Si differenzia dall’altra forma di licenziamento disciplinare, quello per giustificato motivo soggettivo poiché quest’ultimo avviene quando il lavoratore abbia posto comportamenti scorretti ma non così gravi da comportare il licenziamento per giusta causa, cioè il licenziamento in tronco senza preavviso.

È possibile il licenziamento per giusta causa non solo in presenza di condotte dolose del dipendente, ossia in malafede, ma basta anche un comportamento colpevole, ossia non intenzionale. Anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie, può determinare una lesione del rapporto di fiducia così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto [1].

Rispetto alla fattispecie del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, rispetto al quale è sufficiente la sussistenza di un «notevole inadempimento agli obblighi contrattuali», nel licenziamento in tronco per giusta causa è richiesta una più pregnante verifica della gravità dell’inadempimento: è necessario che questo sia idoneo a ledere il rapporto fiduciario tra le parti. La «giusta causa» che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro è ravvisabile anche in fatti e comportamenti che, oltre a costituire inadempimento contrattuale, producano effetti riflessi nell’ambiente di lavoro e siano tali da far venir meno la fiducia che impronta di sé il detto rapporto.

Quando è possibile il licenziamento per giusta causa?
Per poter eseguire un licenziamento per giusta causa il datore di lavoro deve verificare se, in concreto, la condotta del lavoratore ha violato il rapporto di fiducia che deve legare le parti. Tale valutazione deve tenere conto dei seguenti aspetti [2]:

  • della natura e della qualità del singolo rapporto;
  • della posizione professionale e della responsabilità del lavoratore nel servizio svolto, in quanto diseducativo o comunque disincentivante per gli altri lavoratori (soprattutto se sottordinati) [3]. Ad esempio, una violazione posta in essere dal capo del personale è sicuramente più grave rispetto alla stessa posta invece da un altro lavoratore;
  • dall’importanza e delicatezza delle specifiche mansioni del dipendente nell’organizzazione imprenditoriale. Ad esempio è più grave l’abbandono del posto per una guardia giurata che non per un addetto al magazzino;
    dai motivi che hanno spinto il lavoratore a porre in essere il comportamento illecito. Ad esempio l’abbandono improvviso del posto del posto per soccorrere un parente in difficoltà è meno grave di quello effettuato per andare a fare colazione;
  • dall’intenzionalità o meno del comportamento. Il dipendente che volontariamente non obbedisce al superiore, come atto di insubordinazione, è più grave rispetto alla condotta negligente di chi, in un determinato momento, è particolarmente stanco e stressato;
  • dei danni prodotti all’azienda dal comportamento [4];
  • la personalità e i precedenti del lavoratore;
  • di ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto che possa incidere negativamente su di esso [5].

Da quanto abbiamo appena detto, si può trarre una importante conseguenza: lo stesso comportamento che in determinati casi giustifica il licenziamento per giusta causa, in altri invece può essere valutato con minore gravità tenendo conto delle circostanze del caso concreto. A tal fine la Cassazione [6] ha sintetizzato i precedenti punti che abbiamo elencato nel seguente modo: ai fini del licenziamento per giusta causa rilevano:

  • l’intensità dell’elemento intenzionale;
  • il danno arrecato al datore di lavoro;
  • il grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente;
  • la natura e la tipologia del rapporto;
  • le precedenti modalità di attuazione del rapporto (in particolare l’assenza di precedenti sanzioni).

In pratica, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed, in particolare, di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.

La prova
In presenza di una contestazione del licenziamento da parte del dipendente, spetta al datore di lavoro dimostrare l’esistenza della giusta causa.

In quali casi scatta il licenziamento per giusta causa?
Veniamo ora alle specifiche condotte che possono giustificare un licenziamento per giusta causa. Non potendo la legge elencare in modo specifico e completo tutti i possibili inadempimenti del lavoratore per ciascun tipo di azienda e attività svolta, si può genericamente dire che il licenziamento per giusta causa scatta nel caso di violazione di legge e dei contratti collettivi, violazione delle regole del vivere civile, dell’oggettivo interesse dell’azienda.

I contratti collettivi elencano di solito delle condotte in presenza delle quali può scattare il licenziamento per giusta causa, ma queste tipizzazioni hanno solo una valenza esemplificativa e non sono vincolanti per il giudice, il quale nel valutare la sussistenza giusta causa deve sempre fare riferimento alle previsioni di legge.

Il giudice infatti non deve applicare automaticamente la sanzione del licenziamento prevista dal contratto collettivo per una determinata infrazione, ma deve procedere ad una valutazione dell’adeguatezza della sanzione nel caso specifico [7].

Alcuni esempi di licenziamento per giusta causa
– abbandono del posto di lavoro se da esso deriva un grave pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti o se si tratta di un dipendente con mansioni di custodia o sorveglianza (ad esempio la guardia giurata);
– assenze ingiustificate per diversi giorni solo quando ciò crea un grosso danno all’organizzazione dell’azienda;
– falso certificato medico;
– rifiuto di riprendere il lavoro dopo la malattia;
– attività in concorrenza con l’azienda: è il caso del dipendente che svolge un secondo lavoro in contrasto con gli interessi dell’azienda;
– dipendente che, in malattia, lavora per un’altra azienda;
– ripetuta assenza alla visita fiscale;
– insubordinazione con reazione fisica e verbale;
– dipendente che si reca sul lavoro nonostante la sanzione nei suoi confronti della sospensione dal soldo e dal servizio;
– diffamazione dell’azienda e dei suoi prodotti;
– reato commesso nella vita privata che può pregiudicare l’immagine dell’azienda: ad esempio un dipendente di banca condannato per usura o per appropriazione indebita; molestie sessuali nei confronti di terzi;
furto di beni aziendali di rilevante valore;
– falsificazione del badge o del cartellino presenze e orari;
– rifiuto ingiustificato a prendere servizio in caso di trasferimento presso altro reparto o sede se detto trasferimento è legittimo.

note
[1] Cass. sent. n. 13512/2016.

[2] Cass. sent. n. 35/2011.

[3] Cass. sent. n. 10541/2008.

[4] Cass. sent. n. 7518/2010.

[5] Cass. sent. n. 1077/2008.

[6] Cass. sent. n. 18843/2010; n. 14586/2009.

[7] Cass. sent. n. 26323/2014.


26 Settembre 2017