La condotta consistente nell’avere il dipendente aggredito verbalmente e fisicamente il proprio capoufficio brandendo un bastone, pur essendo stato fermato poi dall’intervento di altri dipendenti, e l’avere distrutto un telefono aziendale lanciandolo contro il muro, rappresenta senza dubbio un comportamento violento concretante l’alterco con cd. “vie di fatto” dovendosi intendere per quest’ultimo un diverbio caratterizzato da un ricorso alla violenza, intesa come estrinsecazione di energia fisica trasmodante in un pregiudizio fisico, anche tentato, verso una persona o una cosa, ad opera di un uomo.
Cass. Sez. Lav. 10 settembre 2019, ord. n. 22636
Nel caso in esame il lavoratore veniva licenziato per giusta causa ai sensi dell’art 2119 c.c. e 69 del CCNL Unionmeccanica Confapi, applicato al rapporto, per un’aggressione, sia verbale che fisica, nei confronti del proprio capoufficio. Il tentativo di aggressione fisica avveniva brandendo un bastone e veniva dapprima fermato dall’intervento di due dipendenti e, successivamente, proseguiva nell’ ufficio della vittima e finiva col sostanziarsi nella distruzione del telefono aziendale in dotazione all’ufficio, scagliato contro il muro. La domanda di dichiarazione di illegittimità del licenziamento veniva respinta tanto in primo grado che in secondo. In particolare la Corte d’Appello di Torino, rilevava che il comportamento rientrava certamente nell’ambito di applicazione dell’art 69 del CCNL sopra citato che puniva con la sanzione espulsiva «alterchi con vie di fatto, ingiurie, disordini, risse o violenze, sia al di fuori che all’interno dei reparti di lavorazione o degli uffici». Contro tale decisione della Corte d’Appello proponeva ricorso per Cassazione il lavoratore sulla base di due motivi sostenendo, per quanto qui interessa, che la sua condotta fosse sussumibile non nella fattispecie dell’alterco con vie di fatto ma in quella del semplice alterco con contegno minaccioso che, lo stesso CCNL, puniva con una sanzione conservativa. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, respingendo le argomentazioni del lavoratore. In particolare, la Cassazione ha evidenziato come da una parte fossero incontestati i fatti come accertati nel corso dei giudizi di merito e dall’altra come gli stessi integrassero certamente la fattispecie dell’alterco con vie di fatto. E infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare come la minaccia e le vie di fatto rappresentino due modi alternativi attraverso i quali può realizzarsi un alterco. Secondo la Corte, dunque, «per “alterco”, invero, deve intendersi qualsiasi discussione, o litigio, animata e scomposta tra due persone; se connotato dalle cd. “vie di fatto”, invece, occorre che tale diverbio sia stato caratterizzato da un ricorso alla violenza, intesa come estrinsecazione di energia fisica trasmodante in un pregiudizio fisico, anche tentato, verso una persona o una cosa, ad opera di un uomo». L’alterco minaccioso, pertanto, si configurerebbe soltanto laddove il diverbio non fosse caratterizzato dalla presenza di un pregiudizio fisico. Per contro, laddove questo pregiudizio via sia, attuale o soltanto tentato, la condotta – anche se rivolta contro una cosa e non contro una persona – non potrà che rientrare nella fattispecie dell’alterco con vie di fatto. Secondo la Corte di Cassazione, dunque, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di quanto sopra sussumendo la condotta in esame nella fattispecie dell’alterco con vie di fatto sanzionato, secondo il CCNL applicato, con il licenziamento per giusta causa.