La scelta del reparto e le esigenze tecnico-produttive che possono portare a limitare la platea dei lavoratori da licenziare sulla base dei carichi di famiglia, anzianità ed esigenze organizzative.
La legge prevede che, in caso di licenziamento collettivo, i criteri di scelta dei lavoratori da mandare a casa siano chiari, prestabiliti e non discriminatori. Proprio per questo l’intera procedura deve essere concordata insieme ai sindacati.
Più volte la Cassazione è intervenuta a parlare di licenziamento collettivo e criteri di scelta. Sicché sarà bene fare una panoramica delle ultime pronunce che si sono susseguite sul tema.
Cosa sono i licenziamenti collettivi
Per licenziamenti collettivi si devono intendere i licenziamenti adottati, per effetto di una riduzione o trasformazione di attività, nei confronti di almeno 5 lavoratori in un arco temporale di 120 giorni da parte di un’impresa che occupi più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti.
Come il licenziamento individuale, anche quello collettivo deve essere scritto. Se manca la forma scritta, le conseguenze per l’azienda sono:
- reintegra;
- corresponsione dell’indennità risarcitoria calcolata sull’ultima retribuzione utile ai fini del Tfr dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegrazione (con un minimo di 5 mensilità);
- pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per l’intero periodo;
- possibilità per il solo lavoratore di optare, entro 30 giorni dalla sentenza o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se precedente, per una indennità risarcitoria pari a 15 mensilità.
Qualora, invece, il licenziamento collettivo è affetto da vizi procedurali o la scelta del lavoratore risulti errata in base ai criteri di scelta previsti dall’accordo sindacale o dalla legge (di cui parleremo a breve), le conseguenze sono:
- estinzione del rapporto alla data del licenziamento;
- corresponsione dell’indennità risarcitoria, non assoggettata a contribuzione, pari a 2 mesi per ogni anno di servizio, con una base di partenza di 4 e, comunque, con un tetto massimo fissato a 24 mensilità, prendendo a riferimento sempre l’ultima retribuzione utile per la determinazione del Tfr.
Criteri di scelta dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo
Ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 223/1991, in caso di licenziamento collettivo, l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati, oppure in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro:
- carichi di famiglia;
- anzianità;
- esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
Quali lavoratori scegliere in caso di licenziamento collettivo?
I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in caso di licenziamento collettivo sono, come visto, determinati di comune accordo con i sindacati o, in mancanza, quelli relativi ai carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive ed organizzative. Si pone però un secondo problema: tra quali lavoratori va effettuata questa scelta? Ci si deve riferire solo a quelli del comparto “in crisi” o del ramo d’azienda che viene a cessare oppure a tutto il personale in forza in quel momento, indipendentemente dal reparto?
Sul punto la Cassazione è stata molto chiara [1]: in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti a tale reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale riparto o settore se essi siano idonei ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti. Pertanto è illegittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalenti a quella di addetti ad altre realtà organizzative.
La giurisprudenza di legittimità ritiene legittima la limitazione della scelta del personale da licenziare ad un solo reparto qualora vi sia difformità tra le professionalità ivi occupate e quelle presenti in organico. La prova dell’esistenza di specifiche professionalità non fungibili, ovvero di specifiche situazioni che non consentano una comparazione tra i lavoratori, deve essere fornita dal datore di lavoro [2].
Per l’effetto, la selezione dei dipendenti nell’ambito di un solo reparto – mancando invece una più ampia valutazione della platea di lavoratori da comparare, tenendo in considerazione l’esistenza di professionalità fungibili da adibire ad altri reparti non interessati dalla riduzione di personale – comporta una violazione delle norme in tema di criteri di scelta. Per le ragioni che precedono, il ricorso viene rigettato.
Come già chiarito in passato dalla Cassazione, è possibile limitare la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale allorquando:
- vi siano oggettive esigenze tecniche produttive e
- il datore indichi nella comunicazione ai sindacati tali esigenze e le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine.
È infatti onere del datore di lavoro, prosegue la Corte di Cassazione, provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata, ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi.
La Suprema Corte, ribadisce altresì il principio per cui, «in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo».
note
[1] Cass. Sez. Lav., 27 gennaio 2022, n. 2391
[2] Cass. 203/2015