Licenziamenti collettivi: criteri di scelta per la cassa integrazione

Cassa integrazione, procedura concertata con il sindacato e categorie di lavoratori da preferire per il licenziamento o la cassa integrazione.

Quando il datore di lavoro deve procedere a un licenziamento collettivo del personale, con conseguente cassa integrazione, deve adottare delle procedure apposite indicate dalla legge, che richiedono la partecipazione attiva dei sindacati. Inoltre sono stabiliti anche dei criteri di scelta dei lavoratori da mettere “a riposo” con preferenza sugli altri: criteri che vanno rispettati a pena di nullità del licenziamento medesimo.

Quando si può ricorrere a un licenziamento collettivo?

Le cause che giustificano il ricorso ai licenziamenti collettivi sono:

– la riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro;

– la cessazione dell’attività.

Si ha licenziamento collettivo quando il datore di lavoro effettua, nell’arco di 120 giorni, almeno cinque licenziamenti nell’unità produttiva oppure in più unità produttive nell’ambito della stessa provincia.

Come si concretizza la procedura?

Il datore di lavoro comunica alle RSA e alle associazioni di categoria la propria intenzione di effettuare un licenziamento collettivo. A questo punto le RSA e le associazioni possono richiedere un esame congiunto della situazione con il datore di lavoro, al fine di trovare un accordo che preveda soluzioni alternative.

Terminata tale fase, il datore comunica alla competente struttura provinciale delegata dalla Regione (e alla Direzione del lavoro competente) l’esito dell’esame sindacale e i motivi dell’eventuale mancato accordo.

Criteri di scelta nel licenziamento

I criteri da adottare nella scelta dei lavoratori da licenziare si differenziano a seconda che sia stato raggiunto o meno un accordo sindacale.

Se c’è accordo sindacale

In tal caso, valgono i criteri concordati con i sindacati sulla base delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative. L’accordo può prevedere criteri di scelta astratti o indicare concretamente i singoli lavoratori da licenziare [1].

Per esempio, nell’accordo si potrebbero privilegiare solo le esigenze tecnico-produttive aziendali correlate al possesso, da parte del personale, dei requisiti per fruire del trattamento pensionistico nel corso o al termine della riduzione del personale.

L’azienda resta comunque obbligata a non operare discriminazioni e, quindi, ad applicare in modo ferreo le regole prestabilite [2]. Inoltre l’utilizzo di un unico criterio deve consentire di formare una graduatoria rigida senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro [3].

Se non c’è l’accordo con il sindacato

In tal caso la legge prevede precisi criteri da seguire in concorso tra di loro:

– carichi di famiglia;

– anzianità;

– esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

La comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata, nel rispetto del principio di buona fede e correttezza, nell’ambito dell’intero complesso organizzativo e produttivo. Fa eccezione il caso in cui la chiusura (o la ristrutturazione) riguardi solamente un settore o un ramo d’azienda ed esaurisca in tale ambito i suoi effetti [4]. In tale ipotesi l’applicazione dei criteri di scelta può avvenire in ambito più ristretto a condizione che:

– ciò sia giustificato dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale [5];

– i lavoratori impiegati nel ramo oggetto di chiusura non siano suscettibili di utilizzazione anche in altri rami aziendali [6]. Ad esempio, è stata ritenuta illegittima la scelta di licenziare dei lavoratori solo perché addetti al reparto lavorativo soppresso, trascurando così di tenere conto che gli stessi avevano, con frequenza ed in tempi non remoti (“per prassi aziendali”), sostituito colleghi addetti ad altri reparti con un’indubbia e non contestata professionalità.

Il criterio di scelta non può essere successivamente disapplicato o modificato, travalicando gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che l’individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga lasciata all’iniziativa ed al mero potere discrezionale dell’imprenditore.

Nel caso in cui il giudice ritenga che, in sede di riduzione del personale, siano mancati i criteri di scelta indicati dai contratti collettivi, l’onere di fornire la prova contraria spetta al datore di lavoro.

Il datore di lavoro non può licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata, con riguardo alle mansioni considerate.

note

[1] Cass. sent. n. 16107/2001.

[2] Cass. sent. n. 1405/2006.

[3] Cass. sent. n. 15371/2014, n. 6283/2011.

[4] Cass. sent. n. 3330/2013, n. 25353/2009.

[5] Cass. sent. n. 6626/2011; n. 809/2002.

[6] Cass. sent. n.6112/2014.


8 Marzo 2019