Le nuove prestazioni occasionali: tra certezze e questioni da chiarire [E.Massi]

E’ passato più di un mese dalla approvazione definitiva dell’art. 54-bis della legge n. 96/2017 e, mentre scrivo questa riflessione, le nuove prestazioni occasionali stentano a decollare:
la circolare n. 107 dell’INPS del 5 luglio ed il successivo messaggio n. 2887 del 12 luglio, oltre alla risoluzione n. 81/E dell’Agenzia delle Entrate del 3 luglio con i codici per le causali dei versamenti con l’F24 rappresentano gli unici chiarimenti amministrativi destinati a tutti coloro che intendono avvalersi delle stesse: la stessa piattaforma informatica, operativa dal 10 luglio è in formazione “in progress”. È preannunciata, come imminente, una circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro relativa all’apparato sanzionatorio, mentre non si hanno notizie di prossime delucidazioni da parte del Dicastero del Lavoro.

Fatta questa, breve, doverosa premessa, ritengo opportuno esaminare alcune questioni che, tra i primi commentatori, hanno suscitato qualche perplessità, seguendo il percorso fissato dai vari commi.
Comincio dalla qualificazione di prestazione occasionale.

Il comma 1 sembrava aver risolto la questione ancorandola a due parametri di natura temporale ed economica. Il primo fa riferimento all’anno civile (1 gennaio – 31 dicembre) ed ha il pregio di non aver riproposto, come in passato per un certo periodo per i voucher, la disquisizione tra anno solare ed anno civile, il secondo si affida ad alcuni valori economici (5.000 euro complessivi netti per ogni utilizzatore a prescindere dal numero dei prestatori, con possibilità di sforamento del tetto per un massimo del 25% se a prestare l’attività sono lavoratori c.d. “svantaggiati”. Per ogni prestatore presso ogni utilizzatore il tetto viene fissato a 2.500 euro netti per ogni prestatore, con un tetto massimo di 5.000 euro sempre netti qualora il lavoro sia svolto presso più utilizzatori. Senonché il comma 13, riferendosi a “Presto” (che è il contratto per gli utilizzatori che non sono “Famiglia”) parla di prestazioni occasionali o saltuarie di ridotta entità e la cosa sembra ingarbugliare la definizione, soprattutto nella logica di un possibile contenzioso amministrativo o giudiziale.

A mio avviso, una soluzione di buon senso, finalizzata a definire la occasionalità o la saltuarietà si trova, indirettamente, nel comma 3 allorquando il Legislatore afferma che il prestatore ha diritto al riposo giornaliero, alle pause ed al riposo settimanale con la conseguenza che la violazione delle norme richiamate viene punita con le sanzioni previste dall’art. 18-bis del decreto legislativo n. 66/2003 (in realtà, la pausa di almeno 10 minuti dopo 6 ore di lavoro consecutive non è, direttamente, sanzionata).

Ora, se la norma prevede la fruizione del riposo settimanale significa, stando al tenore letterale dell’art. 9 del decreto appena citato, che è possibile, all’interno del numero massimo delle 280 ore annue previste prestare l’attività in maniera continuativa, nel rispetto delle pause e del riposo giornaliero (11 ore tra una prestazione e l’altra) per 14 giorni, comprensivi di 2 giorni di riposo di 24 ore consecutive. Nessun dubbio, poi, sul fatto che il prestatore occasionale si inserisca, a pieno titolo, nella organizzazione produttiva dell’utilizzatore, non essendo stata ripresa la formulazione di “accessorio” che qualche dubbio, in passato, aveva causato.

Il richiamo alla normativa sui riposi tipica del lavoro subordinato fa si la stessa si applichi anche a prestazioni occasionali di natura autonoma (possibili, come nel caso degli insegnanti): è la prima volta che accade nel nostro ordinamento lavoristico.
Passo, ora, ad esaminare la questione del superamento del limite massimo di 5.000 euro per l’utilizzatore con più prestatori che sono rimasti sotto il tetto massimo loro consentito pari a 2.500 (ad esempio, un utilizzatore che raggiunge gli 8.000 euro con 8 lavoratori che, nell’anno civile, percepiscono ciascuno 1.000 euro di compenso). Il Legislatore non ha previsto al comma 20 alcuna sanzione: di conseguenza, ritengo che tale comportamento, non in regola con il dettato normativo, possa essere “stoppato” unicamente attraverso un “blocco specifico” nella piattaforma informatica (cosa possibile).

Altra questione da focalizzare è quella contenuta nel comma 4: i compensi percepiti con le prestazioni occasionali sono esenti da imposizione fiscale e valgono “in positivo” soltanto per i lavoratori extra comunitari ai fini del reddito necessario per l’ottenimento od il rinnovo del permesso di soggiorno.
Qui, si pone il problema se tali somme siano cumulabili con quelle ottenute, nel corso del 2017, con i vecchi voucher, previsti dall’art. 48 del decreto legislativo n. 81/2015. La mia risposta è negativa in quanto si tratta di due disposizioni contenute in norme diverse e nell’art. 54-bis non c’è alcun richiamo alla unicità dei compensi ai fini dell’IRPEF.

Il comma 5 si occupa dei divieti di “occupazione occasionale”: l’utilizzatore non pu ricorrere a prestazioni rese da soggetti con i quali “abbia in corso o abbia cessato da meno di 6 mesi un rapporto di lavoro subordinato o una collaborazione coordinata e continuativa”. La norma, condivisibile o meno, è chiara ed esclude, nel rispetto dei limiti temporali previsti (che non riguardano, peraltro, le imprese collegate o controllate o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso datore), anche i lavoratori intermittenti e quelli con contratto a termine, pur se tale rapporto si è regolarmente risolto alla scadenza.

Tale disposizione, per , pone un problema: cosa succede se il datore utilizza lavoratori per i quali sussiste il divieto?

A mio avviso, essendo la prestazione occasionale vietata e, quindi, essendo non valida la stessa comunicazione inviata alla piattaforma informatica, gli ispettori del lavoro non potranno che ricondurre il tutto a rapporto di lavoro subordinato con tutte le sanzioni correlate (comunicazione telematica ai servizi per l’impiego, lettera di assunzione, LUL, ecc.), ivi compresa quella per “lavoro nero”. Se ad essere utilizzati sono lavoratori in forza, le prestazioni effettuate non potranno essere ricondotte ad “occasionali”, ma saranno imputate (con la relativa contribuzione) agli istituti legali e contrattuali previsti (ad esempio, lavoro straordinario o lavoro supplementare in caso di rapporto a tempo parziale).
Con il successivo comma 8 il Legislatore chiarisce che per i datori che utilizzano una serie di soggetti, definiti “svantaggiati”, ai fini del raggiungimento del tetto massimo di 5.000 euro il compenso corrisposto fino a tale limite è da intendersi pari al 75%: ci significa che, utilizzando tutti lavoratori “svantaggiati” (pensionati di vecchiaia o di invalidità, studenti “under 25” regolarmente iscritti ad un Istituto scolastico o all’Università, disoccupati disponibili per un’occupazione, percettori di trattamenti integrativi salariali, di reddito di inclusione sociale e di altre forme di sostegno del reddito) il tetto pu arrivare a 6.250 euro. E’ assolutamente indispensabile che la gestione del limite reddituale sia gestita dalla piattaforma informatica in quanto l’utilizzatore pu ben ignorare la permanenza del lavoratore in un determinato “status” (studente che ha concluso il ciclo di studi, cassa integrato che è tornato al lavoro, disoccupato che ha trovato una occupazione sia pure a tempo parziale, reddito di inclusione o altre forme di sostegno del reddito che sono cessati). Sarà, poi, necessario, a mio avviso, chiarire se nella definizione di “pensionato di vecchiaia” rientrano anche i lavoratori che hanno cessato la propria attività usufruendo, ad esempio, dell’APE sociale: il buon senso propenderebbe per il si, ma il tenore letterale della norma sull’anticipo pensionistico sembra indirizzare verso una risposta contraria in quanto l’APE è un prestito da restituire (nella “sociale” gli oneri sono a carico della Finanza pubblica) al raggiungimento della pensione di vecchiaia che si verifica, attualmente, al compimento dei 66 anni e 7 mesi.

Il comma 8, inoltre, non chiarisce esplicitamente un altro problema che, invece, era stato affrontato con i vecchi voucher: c’e’ un limite alla cumulabilità tra i compensi per prestazioni occasionali e le erogazioni derivanti, ad esempio, da integrazioni salariali? L’INPS deve, forse, detrarre dalle integrazioni salariali i compensi per i giorni di lavoro risultanti nella piattaforma informatica?

Non avendo detto nulla la circolare n. 107, ritengo che la soluzione sia soltanto quella espressamente prevista dal Legislatore: l’Istituto provvede a detrarre dalla contribuzione figurativa relative alle integrazioni salariali (ma anche a quelle di sostegno del reddito) gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni occasionali. Per completezza di informazione, ricordo che la circolare INPS n. 115 del 19 luglio 2017 che ha dettato chiarimenti in ordine alla fruizione della DIS-COLL, ha affermato (2.9 d) che il soggetto che ne usufruisce pu prestare attività attraverso le prestazioni occasionali nei limiti massimi di 5.000 euro nell’anno civile, che il compenso è cumulabile con l’indennità e che non sussiste alcun obbligo di comunicazione nei confronti dell’Istituto.
Il comma 12 disciplina le modalità di comunicazione delle prestazioni rese in ambito familiare: esse sono “ex post” con un termine legale massimo fissato al 3 del mese successivo a quello nel quale sono avvenute le attività lavorative, alfine di consentire all’INPS di pagare i compensi il giorno 15. Il sistema informatico invia copia della comunicazione al lavoratore interessato via SMS o posta elettronica.

Qui, si pongono due questioni che riguardano direttamente il lavoratore e l’eventuale infortunio sul lavoro.

Comincio dalla prima: con la comunicazione successiva e non preventiva come avviene per le altre utilizzazioni, la posizione del prestatore è alquanto debole, in quanto se la persona fisica che rappresenta la famiglia non fa la comunicazione o la fa “ridotta” (rispetto alle ore lavorate), non gli resta che ricorrere all’intervento dell’Ispettorato territoriale del Lavoro (con tutti i problemi che sussistono per accertare la veridicità di un lavoro svolto in ambito domestico) e chiedere, attraverso una richiesta di conciliazione, il pagamento del compenso.
Per quel che riguarda, invece, un eventuale infortunio sul lavoro, si attendono chiarimenti da parte dell’INAIL, in quanto, nel caso di specie, ci dovrebbe essere l’intervento assicurativo in presenza di un rapporto occasionale non ancora denunciato e per il quale il premio assicurativo viene “pagato” ex post.

Il comma 14 si occupa di definire i limiti dimensionali degli utilizzatori e indica, chiaramente, i settori ove è vietato il ricorso alle prestazioni occasionali ai quali, a prescindere dal settore, vanno aggiunti gli appalti di opere e servizi.
Qui, le questioni da affrontare e risolvere sono diverse: cominciamo dai limiti dimensionali.

Dopo i chiarimenti intervenuti con il messaggio INPS n. 2887 del 12 luglio 2017, rientrano nella base di calcolo i lavoratori con contratto a tempo indeterminato in forza (quelli a tempo parziale sono computati “pro-quota”), gli intermittenti a tempo indeterminato (con il calcolo dei giorni lavorati nel semestre precedente, secondo la previsione contenuta nell’art. 18 del decreto legislativo n.81/2015), i lavoranti a domicilio ed i dirigenti (ma non quelli, che sono la maggioranza, con contratto a termine), secondo le indicazioni fornite con la circolare n. 107, mentre non vi rientrano gli apprendisti (la precisazione è avvenuta con il messaggio n. 2887) e, aggiungo, pur se la precisazione è minimale, gli assunti provenienti dai lavori socialmente utili o di pubblica utilità (art. 7 del decreto legislativo n. 81/2000).
La norma non prevede modalità di computo ma la circolare n. 107, in modo molto opinabile in quanto non “fotografa” la realtà effettiva, afferma che occorre effettuare la media, mese per mese (comprensiva delle soste e dei periodi stagionali), dei lavoratori a tempo indeterminato in forza nei periodo compreso tra l’ottavo ed il terzo mese antecedente la utilizzazione, valorizzando l’elemento “forza aziendale” nella dichiarazione Uniemens, con arrotondamento mensile per eccesso o per difetto, arrotondamento che, per , non riguarda il risultato finale (messaggio n. 2887). Il dato, recita la circolare, in questa fase di avvio va autocertificato dall’utilizzatore, mentre, a regime l’INPS effettuerà un controllo preventivo automatizzato. Per le imprese di nuovissima costituzione il dato va calcolato in relazione ai mesi di attività.

E’ chiaro che questo è il chiarimento amministrativo dell’Istituto e questo va seguito: osservo, per , che tale modalità di calcolo (diversa, per esempio, da quella in uso per i requisiti dimensionali della CIGS già del vecchio art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991) rischia di non essere rispondente alla realtà, in quanto pu far rientrare nell’ambito di applicazione aziende che sarebbero da escludere in forza dei limiti dimensionali raggiunti nel momento in cui si procede con “PrestO”: il discorso appena effettuato vale anche nel caso contrario di imprese che erano sopra i limiti e che, per effetto di dimissioni, sono scesi sotto la soglia dei 5 dipendenti.

I limiti dimensionali riguardano anche il settore agricolo che, a mio avviso, comprende anche il settore dell’agriturismo se “veramente” (dato sempre da verificare) tale attività risulta essere accessoria rispetto a quella, principale, agricola. Non essendo stata prevista alcuna esclusione, nel limite rientrano anche gli impiegati amministrativi dell’azienda agricola e non soltanto gli operai agricoli a tempo indeterminato. A differenza della vecchia normativa sui voucher è “scomparso” ogni riferimento ai 7.000 euro di reddito aziendale ed alle attività di carattere stagionale: da ci discende che i “soggetti svantaggiati” possono essere utilizzati in attività che non hanno tale caratteristica come, ad esempio, quella di “stalla”.

Il comma 17 tratta l’argomento legato ai contenuti della comunicazione da inviare alla piattaforma informatica almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione: al punto e) si afferma che il compenso pattuito deve essere in misura non inferiore a 36 euro per prestazioni per prestazioni di durata non superiore a 4 ore continuative nell’arco della giornata: gli stessi chiarimenti intervenuti con l’INPS confermano la prima lettura secondo la quale ogni prestazione deve assicurare almeno 36 euro, oltre alla contribuzione correlata, pur se la stessa dovesse essere inferiore alle 4 ore. Non è possibile “coprire” il compenso attraverso una prestazione “spezzata” (ad esempio, 2 ore al mattino e 2 ore al pomeriggio).

Piuttosto, si pone un altro problema: cosa succede se una prestazione continuativa si svolge “a cavallo” di 2 giornate (ad esempio, cosa possibile nei pubblici esercizi nel fine settimana, dalle 22 alle ore 2 del giorno successivo)?

Stando al tenore letterale della norma che parla di “4 ore continuative nell’arco della giornata” si dovrebbero fare 2 comunicazioni di 4 ore per ciascun giorno (con un compenso di 72 euro complessivi oltre alla contribuzione) ma, ci , a mio avviso, urta con i principi del buon senso che non dovrebbero essere abbandonati (ognuno di noi, ad esempio, se si congeda, dopo la mezzanotte, da amici con cui ha trascorso una serata, parla degli impegni del giorno come riferiti al giorno successivo, rappresentando “il sonno” il momento della “divisorio” delle 2 giornate). Sul punto, l’INPS non ha detto ancora nulla, come niente hanno detto gli organi del Ministero del Lavoro e l’INL.
Con il comma 20 si entra nell’apparato sanzionatorio ove, su alcune questioni, per correttezza professionale e per il rispetto dovuto alla mia precedente attività lavorativa, essendo data come imminente l’emanazione di una circolare da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, non effettuer alcuna riflessione, per quel che concerne il raccordo tra la c.d. “maxi-sanzione per lavoro nero” e la sanzione specifica relativa alla mancata comunicazione alla piattaforma informatica.

Afferma il Legislatore che, in caso di superamento del limite di 2.500 euro presso lo stesso utilizzatore o (quindi, valutato in alternativa) al superamento delle 280 ore annue (esse sono state calcolate su un compenso di 9 euro netti) il rapporto si trasforma a tempo indeterminato: nel settore agricolo che presenta valori diversi a seconda dell’area di retribuzione (9,65, 8,80 e 6,56 euro, determinati dal messaggio n. 2887), il limite di durata viene stabilito dal rapporto tra 2.500 euro e la retribuzione di area (esso è, rispettivamente, di 259, 284 e 381 ore).

La norma ha, giustamente, posto in evidenza la peculiarità del settore agricolo ma si è dimenticata del lavoro domestico ove il compenso netto è di 8 euro e ove il tetto delle 280 ore (non rideterminato) si raggiunge con 2.240 euro: se la disposizione resterà così (nel senso se non ci saranno auspicabili interventi normativi) il datore di lavoro domestico che dovesse tenere presente, in perfetta buona fede, il limite dei 2.500 rischierebbe di vedersi trasformato il rapporto in contratto a tempo pieno ed indeterminato. Tutto questo appare un paradosso in un settore, quello domestico, ove la normalità è rappresentata dal lavoro”ad ore” e dove il recesso è “ad nutum”, cosa possibile, secondo la Cassazione, pure in presenza di uno stato di gravidanza (Cass. n. 17433/2015), pur se, per chi lo applica, l’art. 24, comma 3, del CCNL per i lavoratori domestici lo vieti, fatta salva la giusta causa, nel periodo della gravidanza e fino al termine dell’astensione obbligatoria.

La trasformazione a tempo pieno ed indeterminato riguarda, quindi, tutti gli utilizzatori ad eccezione della Pubblica Amministrazione ove alla trasformazione di autorità del rapporto a tempo pieno ed indeterminato osta la previsione dell’art. 97 della Costituzione. Ovviamente, nei confronti del dirigente responsabile scatta la responsabilità di natura erariale (se sussiste un danno economico) e disciplinare.

Una ulteriore considerazione sulla “condanna” alla trasformazione in capo agli utilizzatori: sotto l’aspetto comparativo la sanzione appare più pesante di quella irrogabile a chi ha in forza “lavoratori in nero”. In quest’ultimo caso, ferme restando tutte le sanzioni previste, si è ammessi alla diffida (con pagamento della maxi-sanzione nella misura minima) se il datore di lavoro assicura agli stessi almeno un contratto a tempo determinato di 3 mesi.
Sempre rimanendo all’interno dell’apparato sanzionatorio e fermo restando ci che dirà la circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, si pu , senza dubbio, affermare che nel caso in cui un utilizzatore abbia effettuato la revoca della comunicazione della prestazione che gli organi di vigilanza hanno accertato come avvenuta, si avrà l’applicazione della maxi-sanzione e non di quella prevista al comma 20. La sanzione compresa tra 500 e 2.500 euro scatta allorquando il datore di lavoro non ha ottemperato o ha ottemperato in ritardo (il termine è 60 minuti prima dell’inizio della prestazione) alla comunicazione, con tutti gli elementi richiesti, alla piattaforma informatica: la stessa sanzione è applicabile nel caso in cui non si ottemperi ai divieti individuati dal comma 14 (utilizzazione di prestatori da parte di datore di lavoro con un organico superiore ai 5 dipendenti a tempo indeterminato, utilizzazione in agricoltura di soggetti “non svantaggiati” o, se “svantaggiati” iscritti negli elenchi anagrafici dell’anno precedente, o in settori non consentiti, ben identificati dalla circolare n. 107 in base ai relativi codici come l’edilizia e settori affini, i lapidei, le cave, le torbiere, e negli appalti di opere e servizi). La sanzione, riferita ad ogni violazione accertata, non è diffidabile : ci significa che, in caso di pagamento in misura ridotta, entro 60 giorni dalla ricezione del verbale di accertamento, l’importo sarà pari a 833,33 euro.


7 Agosto 2017


Fonte : Dottrina Lavoro