Con l’Approfondimento del 7 maggio 2018, gli esperti della Fondazione Studi tornano sull’annosa questione della qualificazione del rapporto di lavoro tra familiari, particolarmente presente tra i piccoli imprenditori e artigiani. È lecito assumere un parente nella ditta di famiglia?
Nulla osta alla possibilità di riconoscere piena legittimità al rapporto di lavoro tra familiari anche subordinato, purché vengano dimostrati gli indici oggettivi che consentono di riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico nella organizzazione aziendale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 4535 del 27 febbraio 2018, che rende a questo punto consolidato l’orientamento che vuole lecito il lavoro tra familiari. Si tratta di una realtà molto viva e diffusa nel tessuto economico del nostro Paese che mira a dare continuità alla gestione delle aziende nonché al tramandarsi dei mestieri. Vediamo nel dettaglio i passaggi fondamentali della sentenza.
Cassazione-INPS: pareri contrastanti sul lavoro familiare
Quello del lavoro tra familiari è uno dei punti più controversi da gestire per un Consulente del lavoro. La difficoltà risiede nella mancata uniformità di pensiero tra INPS e Corte di Cassazione circa la liceità di inserimento di un parente nella ditta di famiglia. L’INPS, infatti, da anni ritiene che il lavoro familiare quale è considerate quale strumento di dissimulazione per garantire una mera prestazione pensionistica.
Le conseguenze sono disastrose: gli ispettori spesso tendono a disconoscere il rapporto di lavoro tra familiari, pur in assenza di una norma che vieti esplicitamente al datore di lavoro di assumere un proprio familiare. E questo succede anche quando il datore di lavoro è una società. La motivazione sta nel fatto che l’INPS basa tutto sulla presunzione di gratuità della prestazione tra familiari, ammesso in alcuni casi previsti dalla legge.
È lecito il rapporto di lavoro tra parenti? Ecco cosa dice la Cassazione
Di diverso avviso è la Corte di Cassazione. E non solo: ma anche il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato nazionale del lavoro. Ultima decisione della Suprema Corte sul tema, che porta quindi a consolidare sempre di più l’orientamento giurisprudenziale, si è avuta con la sentenza n. 4535/2018 che dà nuovamente torto al parere INPS.
Infatti, gli ermellini affermano che in presenza di indici oggettivi che consentono di riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico nella organizzazione aziendale nulla osta alla possibilità di riconoscere piena legittimità al rapporto di lavoro subordinato anche tra familiari. È dunque sbagliato basarsi sulle presunzioni spesso contenuti nei verbali ispettivi dell’INPS, che tendono sempre di più a negare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
Quali sono i parametri che fanno scattare al liceità del lavoro tra familiari?
È chiaro che la subordinazione nel rapporto di lavoro tra familiari è lecita se si verificano determinati indici, quali:
- l’onerosità della prestazione;
- la presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto;
- l’osservanza di un orario (nella fattispecie coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale);
- il “programmatico valersi da parte del titolare della prestazione lavorativa” (del familiare);
- la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.
Quindi, solo in presenza dei predetti indici il rapporto di lavoro si può effettivamente ritenere di tipo subordinato, a prescindere dall’appartenenza allo stesso nucleo di famiglia.
Approfondimento della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro
Con l’approfondimento del 7 maggio 2018, che alleghiamo per la consultazione, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro va ad analizzare la sentenza della Cassazione e le motivazioni alla base della decisione della suprema corte. In particolare l’approfondimento si sofferma sugli indici oggettivi per riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico aziendale.