Sommerso: la maxi sanzione per l’azienda che impiega personale in nero non è l’unica conseguenza per gli irregolari; anche il lavoratore non dichiarato rischia la denuncia e un procedimento penale.
Spesso si crede che, in caso di lavoro in nero, a rischiare sia solo il datore di lavoro: a tutti è noto, infatti, che se l’azienda assume personale non dichiarato al Centro per l’impiego, subisce una maxisanzione per lavoro sommerso, di natura amministrativa, che varia a seconda della durata dell’impiego effettivo (da 1.500 a 36.000 euro per ciascun lavoratore irregolare). In verità, però, i pericoli del lavoro in nero gravano anche per il dipendente, il quale addirittura rischia una querela per il reato di falso in atto pubblico. Insomma, in caso di lavoro in nero, le conseguenze per lavoratore e datore sono tutt’altro che lievi e val la pena approfondirle qui di seguito.
Cosa significa lavoro in nero?
Quando si parla di «lavoratore in nero» si intende colui per il quale non è stata inviata la comunicazione preventiva di assunzione, consistente nel modello telematico Unilav. Deve, dunque, trattarsi di un lavoratore sconosciuto alla pubblica amministrazione e, ciò nonostante, svolgente impiego all’interno dell’azienda anche se in modo non necessariamente giornaliero. Ad esempio è lavoratrice in nero la donna delle pulizie che aiuta nelle faccende di casa 2 giorni a settimana o il giardiniere che, una volta ogni tre giorni, innaffia le piante. È lavoratore in nero l’operaio che viene usato nel cantiere per una settimana di seguito o per un anno. Si considera lavoratore in nero anche il parente o il coniuge che presta aiuto non occasionale nell’azienda di famiglia.
Non perché si tratta di lavoratore irregolare, il contratto di lavoro non si considera concluso. Nel diritto di lavoro vige il cosiddetto «principio di effettività» in base al quale non conta tanto ciò che risulta dalle carte, ma l’effettiva realizzazione di una attività di lavoro dipendente soggetta al potere direttivo e di controllo del datore. Quindi, anche se il rapporto di lavoro si realizza «di fatto», l’azienda è soggetta a tutte le norme e obblighi previsti per quella determinata categoria di dipendente, obblighi di natura retributiva, contributiva e di sicurezza. Con la conseguenza che, oltre alle sanzioni di cui parleremo a breve, in caso di accertamento del sommerso, il datore dovrà versare al lavoratore in nero le differenze per le retribuzioni maturate e non versate (o non dimostrabili attraverso assegni o altra documentazione bancaria), oltre ai relativi contributi, al Tfr e alle varie indennità.
Lavoro in nero: cosa rischia il datore di lavoro?
In caso di sommerso, l’azienda che impiega lavoratori irregolari subisce due tipi di conseguenze: la prima è l’azione civile del lavoratore per ottenere la regolarizzazione del contratto, con pagamento delle eventuali differenze retributive; la seconda consiste nelle sanzioni cui invece provvedono gli ispettori della pubblica amministrazione, d’ufficio o su segnalazione dei dipendenti. Vediamo, nel dettaglio, entrambe le situazioni.
Sanzione amministrativa per l’azienda in caso di lavoro in nero
Il datore di lavoro che occupa lavoratori in nero rischia due diverse sanzioni amministrative (tra loro alternative):
- Mancata comunicazione di assunzione ai Servizi per l’impiego nei casi in cui non è applicabile la maxisanzione (v. dopo): sanzione amministrativa: da € 100 a € 500 per ciascun lavoratore interessato;
- Maxisanzione per lavoro sommerso: sanzione amministrativa variabile a seconda della durata dell’impiego. In particolare se l’impiego effettivo del lavoratore è fino a 30 giorni: da € 1.500 a € 9.000 per ciascun lavoratore irregolare; per l’impiego effettivo del lavoratore da 31 e fino a 60 giorni: da € 3.000 a € 18.000 per ciascun lavoratore irregolare; per l’impiego effettivo del lavoratore oltre 60 giorni: da € 6.000 a € 36.000 per ciascun lavoratore irregolare.
In caso di impiego di lavoratori stranieri o di minori in età non lavorativa, le sanzioni sono aumentate del 20%.
Sono esclusi dalla maxisanzione i datori di lavoro domestico.
La maxisanzione non si applica neanche nei seguenti casi:
- se dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti (ad esempio: dal flusso UniEmens), risulta comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se la qualificazione ad esso assegnata dalle parti è differente (ad esempio, è stata denunciata una collaborazione coordinata e continuativa mentre l’organo di vigilanza ritiene che il rapporto di lavoro abbia carattere subordinato). In questo caso si rendono applicabili solo la sanzione ordinaria per mancata comunicazione preventiva e le sanzioni dovute per le differenze di contribuzione;
- se il datore di lavoro, prima dell’ispezione o dell’accertamento o di un’eventuale convocazione per un tentativo di conciliazione monocratica regolarizza spontaneamente ed integralmente, per l’intera durata, il rapporto di lavoro avviato originariamente senza la preventiva comunicazione obbligatoria;
- se si tratta di rapporti di lavoro instaurati con lavoratori autonomi e parasubordinati per i quali non è stata fatta, se prevista, la comunicazione preventiva.
Prima della maxisanzione il datore di lavoro deve ricevere la cosiddetta «diffida». La procedura di diffida è necessaria per rendere valide le sanzioni per l’azienda che occupa personale in nero. In particolare, l’ispettore del lavoro notifica all’azienda una diffida a regolarizzare le inosservanze materialmente sanabili. Nei successivi 30 giorni l’azienda deve provvedere alla regolarizzazione. In caso di ottemperanza alla diffida, il datore di lavoro è ammesso al pagamento della sanzione – entro 15 giorni dal termine fissato per la regolarizzazione – nella misura pari al minimo previsto dalla legge o nella misura pari a ¼ (un quarto) della sanzione stabilita in misura fissa.
Viceversa, se il datore non provvede alla regolarizzazione del lavoratore in nero e al pagamento delle somme previste, gli ispettori – attraverso il verbale unico di accertamento e di notificazione – contestano e notificano gli addebiti accertati, ammettendo al pagamento della sanzione in misura ridotta. Verificata l’inottemperanza, l’attività ispettiva riprende il suo corso.
Conseguenze civili per l’azienda in caso di lavoro in nero
Come anticipato anche al lavoratore in nero si applicano le norme e il contratto collettivo previsto per la corrispondente categoria di dipendenti regolarmente assunti. Pertanto, in caso di violazione dei suoi diritti, il lavoratore irregolare potrà fare causa all’azienda (innanzi al tribunale civile, sezione lavoro) per ottenere:
- il pagamento degli stipendi che non risultino versati: ad esempio, se il datore non ha versato determinate mensilità o le ha versate in contanti senza conservare traccia dell’adempimento, potrà essere condannato a pagare ciò che non risulti consegnato al lavoratore in nero;
- il pagamento delle differenze retributive: ad esempio, se il lavoratore in nero ha percepito uno stipendio più basso di quello previsto dal contratto collettivo potrà rivolgersi al giudice per ottenere la differenza;
- gli straordinari non pagati;
- le indennità non pagate (si pensi al lavoro notturno, durante il week end o le festività o le ex festività);
- il pagamento del Tfr (trattamento di fine rapporto), se il lavoro è cessato;
- il versamento dei contributi relativi al periodo durante il quale si è svolto il rapporto di lavoro;
- l’eventuale risarcimento per il licenziamento illegittimo.
Conseguenze per il lavoratore in nero
Come abbiamo anticipato, oltre alle sanzioni previste per il datore di lavoro, le conseguenze per il sommerso sono anche per il lavoratore in nero. Spesso infatti chi lavora in nero proviene da una precedente occupazione ormai risolta per licenziamento. In tali ipotesi il dipendente percepisce l’assegno di disoccupazione dall’Inps. Ebbene, in questo caso, il lavoratore che mentre presta lavoro in nero percepisce anche l’indennità di disoccupazione viene segnalato, se c’è un controllo, alla Procura della Repubblica, per il reato di «Falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico» [3], nel dichiarare il proprio stato di disoccupato all’Inps. Si rischia la reclusione fino a 2 anni. Inoltre, per aver indebitamente percepito erogazioni ai danni dello Stato, si rischia la reclusione da sei mesi a tre anni [4]. Infine, l’Inps chiederà la restituzione delle somme percepite indebitamente e forse il risarcimento dei danni subiti.
note
[1] Art. 19, co 3, D.Lgs. 276/2003.
[2] In caso di irrogazione della maxisanzione non trovano applicazione le altre sanzioni amministrative ordinarie previste in caso di mancate comunicazioni obbligatorie e di omessa o infedele registrazione sul LUL: art. 19, co. 2 e 3, D.Lgs. 276/200. Art. 39, c. 7, DL 112/2008 conv. in L. 133/2008.
[3] Art. 483 cod. pen.
[4] Art. 316 ter cod. pen.