Quante visite fiscali si possono inviare nell’arco della stessa giornata o della stessa malattia coperta da un unico certificato medico?
Immaginiamo di essere in malattia e di aver comunicato la nostra assenza all’azienda sia con una telefonata al capo del personale, sia con il certificato inviato dal nostro medico, per via telematica, all’Inps. Il giorno dopo tale comunicazione, arriva già la prima visita fiscale del medico dell’Inps, visita richiesta dall’azienda presso cui lavoriamo; altrettanto avviene il giorno dopo, e quello dopo ancora. Legittimo chiedersi, a questo punto, nel caso di lavoratore in malattia, quante visite fiscali possa mandare l’azienda nell’arco della stessa giornata e/o della stessa malattia. La questione non è disciplinata da nessuna legge, anche se, sul punto, si sono formati diversi orientamenti giurisprudenziali. Cerchiamo quindi di capire come stanno le cose.
Quante visite fiscali nell’arco della stessa giornata?
Sicuramente l’azienda non può avanzare una seconda richiesta di visita fiscale nell’arco della stessa giornata. Questo significa che, una volta giunto il medico dell’Inps ed effettuato il controllo, il lavoratore non può attendersi un secondo esame, anche se le fasce orarie di reperibilità non sono ancora decorse. Quindi, in teoria, il dipendente ben potrebbe anche uscire di casa, ma solo a condizione che tale comportamento non pregiudichi la sua immediata guarigione. Ad esempio, una persona con un gesso al braccio potrebbe fare una passeggiata una volta fattosi visitare dal medico dell’Inps, ma non potrebbe andare a lavorare in giardino; allo stesso modo, chi abbia prodotto un certificato per influenza, benché il medico fiscale sia già arrivato, non potrebbe ugualmente uscire di casa.
Quante visite fiscali nell’arco della stessa malattia?
È sicuramente possibile che il datore di lavoro invii più richieste di visite fiscali in più giorni successivi durante l’arco della stessa malattia, quindi relativamente ai giorni coperti dallo stesso certificato medico. Ma, in ordine alla frequenza di tali visite, si sono formati due diversi orientamenti.
Secondo un primo orientamento, il lavoratore deve sempre rendersi reperibile nelle fasce orarie, anche quando il controllo medico è già avvenuto; il datore di lavoro può infatti reiterare la richiesta di visite fiscali sempre a condizione che, con ciò, non molesti il lavoratore senza un valido motivo. Secondo la Cassazione [1], l’obbligo del dipendente di rispettare le fasce di reperibilità non viene meno una volta effettuato un primo controllo da parte del medico fiscale; con la conseguenza che le visite possono essere legittimamente ripetute, a meno che la reiterazione del controllo sia rivolta a danneggiare il lavoratore, configurando così un abuso da parte del datore di lavoro. Ma quando si può configurare tale abuso? Si può parlare di mobbing ai danni del lavoratore “tormentato” da continue visite fiscali? Secondo La Cassazione, non costituisce mobbing sottoporre il lavoratore a continue visite fiscali, se non c’è prova di un intento persecutorio [2]. Anche sull’orario della visita il datore di lavoro e l’Inps hanno ampio margine di discrezionalità: per cui non si può parlare di un intento persecutorio con riferimento all’orario dei controlli, poiché la scelta dell’ora di visita spetta al medico fiscale [3].
In un precedente giurisprudenziale, la Cassazione ha accordato il risarcimento del danno al lavoratore per via della reiterata richiesta, da parte dell’azienda, di continue visite domiciliari, ignorando sistematicamente i risultati dei precedenti controlli che confermavano la persistenza della malattia. In tale occasione secondo i giudici c’è stato l’intento persecutorio [4].
Secondo un altro orientamento, l’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità è sicuramente un dovere che, per quanto rivolto a consentire il controllo della malattia, è una deroga al principio di libertà di movimento consentito dalla Costituzione. Quindi, non se ne può abusare. Con la conseguenza che il lavoratore non è più tenuto a rispettare la reperibilità una volta che il medico di controllo abbia accertato la malattia. L’estensione di una tale limitazione, anzi, potrebbe incidere negativamente sulla guarigione, specialmente con riguardo ad alcune patologie la cui cura può richiedere l’allontanamento dal luogo abituale di residenza per località più consone alle condizioni del lavoratore ammalato [5]. Si legge in sentenza che «Se il lavoratore malato è già stato sottoposto a visita di controllo da parte del medico pubblico, egli non è più tenuto a rispettare, per l’ulteriore corso della malattia e nei limiti della prognosi accertata dal medico di controllo, le fasce orarie di reperibilità, e non gli può quindi essere applicata la sanzione prevista dalla legge per l’assenza domiciliare, dal momento che una nuova visita di controllo domiciliare od ambulatoriale potrà essere disposta, al massimo, al di fuori della fasce orarie, purché con tempestivo preavviso».
Note
[1] Cass. sent. n. 116/1990.
[2] Cass. sent. n. 22721/2015 e n. 21028/2008.
[3] Cass. sent. n. 27429/2005.
[4] Cass. sent. n. 475/1999.
[5] Cass. sent. n. 1942/1990.