La Somministrazione di Lavoro dopo i recenti interventi legislativi

Si fa un gran parlare di lavoro precario e di  sfruttati nel nostro Paese: basti pensare alle false collaborazioni o partite IVA di dubbia autonomia, alle prestazioni di lavoro accessorio, alle prestazioni occasionali ex art. 2222 c.c. che non presentano, assolutamente, le caratteristiche richieste dalla legge, ai contratti a tempo parziale ove la volontarietà della lavoratrice o del lavoratore interessato è assai discutibile ed ove, sovente, si ricorre alle prestazioni “in nero” (anche non remunerate o pagate parzialmente) per le prestazioni che eccedono l’orario concordato, al lavoro svolto presso cooperative di dubbia mutualità ove la qualifica di “socio” è più che altro di facciata ed ove la retribuzione passa, sovente, attraverso rimborsi per attività svolta “in trasferta”, senza che gli interessati si siano mai spostati dal posto di lavoro e ove, il lavoro dipende dalla “chiamata” del caporale, al lavoro intermittente che viene svolto, saltuariamente, secondo le necessità del datore di lavoro.

Gli organi di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, attraverso le varie articolazioni periferiche, i Carabinieri del NIL, la Guardia di Finanza, gli Enti previdenziali, sono in prima linea nella lotta contro questi fenomeni che, falsamente, sono riconducibili ad una esigenza di flessibilità (scaricata, unicamente, sui lavoratori precari), ma che si concretizzano in grosse violazioni di norme legali e contrattuali, pesantemente sanzionate.

Se si vuole, effettivamente, utilizzare la manodopera in una forma flessibile e legale, gli strumenti ci sono e, uno di questi, è rappresentato dalla somministrazione ove, nell’ultimo quarto di secolo, le disposizioni legali si sono affinate e la contrattazione collettiva di settore ha acquisito diritti economici e normativi di un certo spessore in favore dei lavoratori interessati.

L’analisi che segue, intende esaminare le novità in materia di somministrazione che sono state introdotte nel nostro ordinamento sia dall’art. 9, comma 4-bis della legge n. 14/2023 (il c.d. “Decreto Mille proroghe”) che, da ultimo, dal D.L. n. 48/2023 convertito, con modificazioni, nella legge n. 85.
Il primo provvedimento risolve, parzialmente (fino al 30 giugno 2025), una incongruenza creatasi nella normativa a seguito del D.L. n. 104/2020 che, nella sostanza, vietava alle Agenzie di somministrazione di inviare in missione per periodi superiori ai 24 mesi, lavoratori assunti dalle stesse a tempo indeterminato: la prassi (v. circolare n 17/2018 del Ministero del Lavoro) l’aveva, pacificamente, ammessa e le parti sociali la consideravano in senso positivo tanto da essere indotte a protestare, unitariamente, presso il Dicastero del Lavoro per il blocco normativo che ne aveva sostenuto la illiceità. Dopo varie peripezie, il Legislatore aveva spostato, più volte in avanti, la scadenza e, da ultimo, l’ha portata al 30 giugno 2025. Probabilmente, ci sarà, a questo punto, tempo per procedere ad una cancellazione sensata della data finale che non presenta alcuna legittima giustificazione.

Comunque sia, al momento, la data sopra indicata consente alle Agenzie di Lavoro che hanno assunto a tempo indeterminato il lavoratore, di inviarlo in missione, anche a tempo determinato ed anche per periodi superiori ai 24 mesi (che, come è noto, in virtù della previsione dell’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015 rappresentano il limite massimo – salvo diversa previsione dei contratti collettivi – di utilizzazione a termine di lavoratori con contratto a termine o in somministrazione anche in sommatoria per mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento). Il lavoratore utilizzato, che durante il periodo “di non lavoro” fruisce della indennità prevista dal CCNL che regola il rapporto dei lavoratori somministrati a tempo indeterminato, non può chiedere la costituzione di un rapporto presso l’utilizzatore in quanto già in forza presso l’Agenzia a tempo indeterminato.

Altre novità scaturiscono dalla entrata in vigore del D.L. n. 48/2023.

La riconduzione delle causali ad un quadro più equilibrato che supera le restrizioni introdotte dalle condizioni legali del D.L. 87/2018, ed altre novità riguardanti le proroghe ed i rinnovi per i contratti a tempo determinato, fanno sì che le stesse trovino applicazione anche alla somministrazione a termine.
Ma procediamo con ordine.

I primi 12 mesi di contratto di somministrazione a termine, comprensivi di proroghe e rinnovi possono essere effettuati senza l’apposizione di alcuna condizione. Superata tale soglia occorre introdurre una causale per i successivi 12 mesi (salvo limite diverso fissato dalla contrattazione collettiva, anche aziendale) che va individuata:

  1. Nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51: quindi anche contratti di secondo livello, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale;
  2. In assenza della previsione della contrattazione collettiva di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda e, comunque, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti, e in ogni caso entro il 30 aprile 2024;
  3. In sostituzione di altri lavoratori.

Alla luce di quanto appena detto, in presenza di un contratto collettivo con quelle precise caratteristiche che le preveda, l’utilizzatore deve indicare all’Agenzia la causale che intenderà richiamare nel contratto di somministrazione.

In mancanza di previsioni dell’autonomia collettiva, dovrà indicare all’impresa interinale la ragione tecnica, produttiva od organizzativa che giustifica il ricorso alla somministrazione a tempo determinato e che andrà, quindi, inserita nel contratto: tutto questo fino al prossimo 30 aprile 2024 (inteso come ultimo giorno utile per la stipula del contratto) e, poi, vedremo, se il Legislatore prorogherà o meno tale termine.

Per quel che riguarda, invece, la terza ipotesi, quella che fa riferimento alla sostituzione di lavoratori assenti, essa è molto ampia, restando escluse soltanto le ipotesi di divieto previste dall’art. 20 del D.L.vo n. 81/2015.

Ma, le novità sulla somministrazione a termine non finiscono qui: viene “azzerata” tutta la contabilità in essere ai fini del raggiungimento della soglia oltre la quale scatta l’obbligo della causale. Essa si calcola, unicamente, a partire dai contratti stipulati dalla data del 5 maggio 2023. Sul punto, mentre scrivo tale riflessione, non è ancora intervenuto alcun chiarimento amministrativo da parte del Dicastero del Lavoro.

L’ultima novità introdotta con il D.L.vo n. 48 riguarda il contingentamento dei lavoratori somministrati in caso di somministrazione a tempo indeterminato. Il D.L.vo n. 81/2015 fissa una percentuale del 20%, con arrotondamento all’unità superiore nel caso in cui il calcolo sia uguale o superiore allo 0,5, rispetto ai dipendenti in forza a tempo indeterminato alla data del 1° gennaio dell’anno, con possibilità, delegata alla contrattazione collettiva, di prevedere aliquote diverse. Per le aziende che hanno iniziato l’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si calcola sul numero dei dipendenti in forza a tempo indeterminato nel momento in cui si stipula il contratto di somministrazione a tempo indeterminato.

Dalla quota del 20% sono esclusi:

  1. I lavoratori assunti con contratto di apprendistato (novità introdotta con il D.L. n. 48);
  2. I lavoratori assunti dalle liste di mobilità ex art. 8, comma 2, della legge n. 223/1991: è una disposizione che riguarda i lavoratori già assunti a tempo indeterminato da tali liste che sono state abrogate dal 1° gennaio 2017;
  3. I lavoratori assunti dopo un periodo di disoccupazione non agricola di almeno sei mesi;
  4. I lavoratori assunti dopo un periodo di fruizione dell’integrazione salariale da almeno sei mesi: il pensiero corre, ad esempio, agli accordi di transizione occupazionale ex art. 22-ter o di ricollocazione ex art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015;
  5. I lavoratori qualificati come “svantaggiati” o “molto svantaggiati” a cui si riferisce il Regolamento UE n. 651/2014 ed individuati dal D.M. 17 ottobre 2017 del Ministro del Lavoro.

Due parole a conclusione di questa breve riflessione la flessibilità buona (con garanzie legali e contrattuali per il lavoratore) c’è, ma ha un costo rispetto al quale esiste per il datore di lavoro che vi ricorre un buon tornaconto: la gestione del lavoratore è in capo all’Agenzia di Lavoro e lo stesso non rientrando tra i dipendenti dell’impresa, non è da considerare (fatte salve le norme in materia di salute e sicurezza) nell’organico della stessa, con tutti i vantaggi che ne derivano da tale esclusione in termine di applicazione di istituti legali che contrattuali.


11 Settembre 2023


Fonte : Dottrina Lavoro