Gli utilizzatori alle prese con le nuove prestazioni occasionali [E.Massi]

Il 10 luglio 2017 rappresenta la data dalla quale, anche per l’impulso proveniente dalla circolare INPS n. 107 del 5 luglio scorso, ha cominciato ad operare la piattaforma informatica attraverso la quale le nuove prestazioni occasionali (“PrestO”) previste dall’art. 54-bis della legge n. 96/2017 possono essere fruite dai soggetti interessati ed individuati dalla norma. La riflessione che segue riguarderà, unicamente, i c.d. “ utilizzatori ” e cercherà di evidenziare questioni, problemi e soluzioni alla luce sia della norma appena approvata che dei chiarimenti amministrativi forniti dall’Istituto, mettendo in evidenza quelle che, a mio avviso, sono le criticità non risolte.

Ma, andiamo con ordine.

Il Legislatore, dopo aver evidenziato in 5.000 euro netti i limiti reddituali massimi per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori all’interno di un anno civile (1 gennaio – 31 dicembre) ed in 2.500 quelli in favore del medesimo utilizzatore, afferma che quest’ultimo, comprendendo la totalità delle attività svolte da tutti i prestatori non può superare la soglia dei 5.000 euro. Tale ultimo limite rappresenta il 75% dell’effettivo importo se a prestare l’attività sono i c.d. “soggetti svantaggiati” nella cui definizione rientrano i pensionati di vecchiaia e di invalidità, i giovani “under 25” iscritti ad un istituto scolastico o all’Università’, i disoccupati che hanno espresso la loro disponibilità ad una immediata rioccupazione, i percettori di trattamenti integrativi salariali, i titolari di reddito di inclusione sociale o di altre prestazioni di sostegno del reddito. Da ciò discende che, utilizzando tali persone che, individualmente, comunque, non potranno superare il limite dei 2.500 euro di compenso, il datore potrà “sforare” il limite massimo previsto nei limiti appena descritti. Nella sostanza, ogni ora che l’utilizzatore riceve in prestazione da un soggetto svantaggiato, ai fini del calcolo complessivo, varrà non 9 euro, ma 6,75.

Di qui la impellente necessità di un sistema informatico (cosa che sembra essere stata assicurata dall’INPS nella conferenza stampa del 7 luglio 2017) che consenta ad ogni utilizzatore di conoscere, in tempo reale, la propria situazione. Qui si pone un problema di computabilita’ che può essere risolto, unicamente, attraverso la piattaforma informatica che dovrebbe tenere, per ogni utilizzatore ed ogni prestatore, un contatore aggiornato: ci sarà, sempre, però, il problema del lavoratore disoccupato e non percettore di alcuna indennità che rimane “svantaggiato” fino a quando tale “status” risulta ma che trovando un’occupazione tale non è più e l’utilizzatore potrebbe anche non saperlo.
Gli utilizzatori sono, secondo il Legislatore, tutti quei datori di lavoro non compresi nel concetto di “persona fisica che non esercita un’attività economica o d’impresa”, per i quali c’è il “Libretto Famiglia” che non occupano più di cinque lavoratori con contratto a tempo indeterminato: quindi, aziende, professionisti, fondazioni, associazioni, condomini, case di riposo, Onlus, cooperative sociali, ecc.. La prima questione riguarda il computo dei dipendenti a tempo indeterminato. Dopo aver ricordato che nel calcolo vanno compresi anche i lavoranti a domicilio ed i dirigenti (ovviamente, non a termine) la circolare n. 107 ricorda, giustamente, che i lavoratori a tempo parziale vengono calcolati “pro-quota”, in ossequio all’art. 9 del decreto legislativo n. 81/2015 e che gli intermittenti a tempo indeterminato rilevano per le sole prestazioni effettuate in ogni singolo semestre (art. 18 del decreto legislativo n. 81/2015): ma, dopo tale affermazione, l’Istituto, a mio avviso, incorre in un errore, affermando che anche gli apprendisti, in quanto lavoratori con contratto a tempo indeterminato, rientrano nella base di calcolo.

Qui ci si è dimenticati dell’art. 47, comma 3, del decreto legislativo n. 81/2015 il quale dispone che “fatte salve diverse previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi o contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti”. Quando il Legislatore ha voluto ricomprendere nella base di calcolo gli apprendisti lo ha fatto esplicitamente (perché così richiede la norma): ciò è avvenuto, nel 2015, con l’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 148/2015 allorquando è stato, numericamente, individuato il campo di applicazione della disciplina sulle integrazioni salariali straordinarie ed era avvenuto anche prima con l’art. 1, comma 1 (ora abrogato) della legge n. 223/1991 (all’epoca, l’esclusione discendeva dall’art. 21 della legge n. 56/1987). In questo caso l’INPS pare riallacciarsi ad un indirizzo amministrativo, ugualmente errato, ma che aveva lo scopo di allargare la base di computo, espresso dal Ministero del Lavoro nella circolare con la quale si fanno rientrare gli apprendisti nella base di calcolo della percentuale del 20% per i contratti a termine. E veniamo al sistema di calcolo.

La circolare n. 107 afferma che “allo scopo di semplificare gli adempimenti da parte degli utilizzatori e di favorire lo svolgimento delle attività di controllo preventivo automatizzato da parte dell’Istituto, il periodo da assumere a riferimento per il calcolo della forza aziendale (desumibile dalla valorizzazione dell’elemento ricavabile dalla dichiarazione contributiva UniEmens relativo si dipendenti a tempo indeterminato)….. è il semestre che va dall’ottavo al terzo mese antecedente la data dello svolgimento della prestazione lavorativa occasionale. Ad esempio, continua la nota, se la prestazione verrà resa il giorno 23 luglio 2017, dovrà essere effettuato il computo della media occupazionale dei lavoratori a tempo indeterminato per i mesi da novembre 2016 (ottavo mese precedente) ad aprile 2017 (terzo mese precedente)”.
Ai fini della determinazione della media occupazionale nel “semestre di osservazione” vanno comprese sia le soste dell’attività che le sospensioni a carattere stagionale: per le aziende di nuova costituzione il computo va effettuato sui mesi di attività, se inferiori al semestre. Capisco che la scelta di tale criterio facilita il controllo automatizzato dell’Istituto ma, a mio avviso, non trova riscontro ne’ nel dettato normativo che non indica alcuna modalità di calcolo, ne’ nel criterio di “normale occupazione” (organico antecedente il momento nel quale si è verificato il fatto oggetto di contestazione) al quale, in maniera costante, fa riferimento la Cassazione allorquando si tratta di verificare il limite dimensionale per l’applicabilita’ dell’art. 18 della legge n. 300/1970. Ricordo, poi, che, ai fini della identificazione delle imprese che rientrano o meno nel campo di applicazione della disciplina sugli ammortizzatori sociali straordinari, già con l’art. 1 della legge n. 223/1991 si faceva riferimento alla media occupazionale del semestre precedente.

Con il criterio adottato dall’INPS rischiano di restare fuori, ad esempio, datori di lavoro che nel terzo mese antecedente avevano un organico di dipendenti a tempo indeterminato superiore a cinque unità, ma che, per effetto di dimissioni, è sceso, nei mesi successivi, sotto la soglia prevista dalla legge. C’è da sottolineare, tuttavia, a chiusura di questo argomento, che la non computabilita’ di lavoratori, comunque, presenti in azienda con tipologie contrattuali diverse o per esperienze lavorative (contratti a termine, di somministrazione, intermittenti a tempo determinato, collaboratori continuativi, tirocinanti) consente la utilizzazione di “PrestO” pur in presenza, in azienda, di un numero di lavoratori superiore alle cinque unità. La seconda questione sulla quale occorre focalizzare l’attenzione riguarda il divieto di utilizzare prestatori che nei sei mesi antecedenti erano in forza presso l’utilizzatore con contratto di lavoro subordinato o che avevano intrattenuto una collaborazione di natura autonoma. Il Legislatore non ha ripetuto la disposizione che, in genere si prevede in questi casi, con l’estensione del divieto alle società controllate o collegate, o riferibili, anche per interposta persona, allo stesso proprietario.

Parimenti, la prestazione occasionale non è possibile per i lavoratori già in forza presso il medesimo datore o che hanno in essere un rapporto di collaborazione. Fin qui il Legislatore che, giustamente, vuole evitare forme elusive ma mi chiedo: quale è la sanzione in caso di inosservanza? Nessuna, come non ce ne sono in caso di violazione delle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 54-bis che riguardano il superamento da parte del lavoratore del tetto massimo dei 5.000 euro riferiti alla totalità degli utilizzatori e il superamento da parte di ciascun utilizzatore, con riguardo alla totalità dei prestatori, della soglia dei 5.000 euro complessivi (tuttavia, superabile per un massimo del 25%, in caso di utilizzazione di “soggetti svantaggiati”).
Il contratto occasionale “PrestO” è vietato espressamente in alcuni settori come l’edilizia e le attività affini, nell’escavazione, nelle torbiere, nel settore lapideo, nelle miniere e nelle cave (i settori sono ben individuati dalla circolare n. 107 con i loro codici) nonché negli appalti di opere e servizi:

norma giustissima in quanto finalizzata a “vietare” il ricorso a tali prestazioni in settori ad alto rischio e ad evitare (negli appalti) forme di “dumping” e di destrutturazione dei rapporti di lavoro. Il dettato normativo fa venire meno la specifica disposizione contenuta in un D.M. del Ministro degli Interni che consentiva alle sole aziende (era l’unica eccezione) che acquisivano appalti presso le società di calcio per l’attività di “stewarding” di ricorrere al lavoro accessorio, cosa avvenuta con dovizia fino a quando è stato vigente l’art. 70 del decreto legislativo n. 276/2003. Il Legislatore ricorda la piena applicabilità delle norme in materia di sicurezza sul lavoro (c’è un richiamo specifico al comma 8 dell’art. 3 del decreto legislativo n. 81/2008) e delle tutele sulle pause e sui riposi giornalieri e settimanali di cui parlano gli articoli 7, 8, e 9 del decreto legislativo n. 66/2003.

A parte lo specifico apparato sanzionatorio che va, sicuramente, applicato in caso di violazione (per i riposi le “pene”, per fasce, sono individuate dall’art. 18-bis mentre la violazione del diritto alla pausa dopo sei ore di lavoro è “assistita”, in mancanza di specifica sanzione, dalla disposizione ex art. 14 del decreto legislativo n. 124/2004), la norma riveste una propria importanza in quanto, a mio avviso, consente di elaborare il concetto di saltuarietà di cui parla il comma 13 dell’art. 54-bis. Il richiamo al riposo settimanale ed alla relativa sanzione in caso di mancato godimento, fa si che possa essere definita saltuaria una prestazione continuativa in un arco temporale di 14 giorni (art. 9, comma 3), comprensivi del godimento di 2 giornate di riposo.

Passo, ora, ad esaminare altre questioni. L’attivazione di “PrestO” deve essere preceduta dalla registrazione sulla piattaforma informatica cosa che postula l’utilizzo sia per il datore che per il prestatore di proprie credenziali personali (PIN INPS, credenziali SPID, carta Nazionale dei servizi CNS): ciò può avvenire, direttamente, o, dalla fine di luglio 2017, attraverso un consulente del lavoro. Si tratta di un passaggio molto importante sia per l’utilizzatore che, soprattutto, per il lavoratore il quale dovrà, tra le altre cose, fornire le proprie coordinate bancarie, postali o della carta di credito fornita di IBAN, curare, in caso di cambiamento, la dovuta rettifica, in quanto l’Istituto, non essendo l’erogazione, una prestazione previdenziale, non assume, in alcun modo, la responsabilità per il mancato incasso derivante da un errato riferimento numerico postale o bancario. In mancanza di coordinate, con 2,60 euro di spese a carico del prestatore, l’INPS provvederà a domiciliare, presso un Ufficio Postale, il bonifico. Il Legislatore afferma che il contratto occasionale, con comunicazione dell’utilizzatore (ricevuta dal prestatore sul proprio cellulare o in posta elettronica) indirizzata alla piattaforma almeno 60 minuti prima dell’attivazione, accompagnata da una serie di dati identificativi in relazione alla persona, al luogo ed alla durata, richiede una prestazione di almeno 4 ore continuative con un costo economico di 36 euro ai quali occorre aggiungere la contribuzione da versare alla gestione separata (33%), il premio assicurativo INAIL (3,5%) ed il costo di gestione (1%).

La norma non consente “prestazioni spezzate” (ad esempio, due ore la mattina e due ore il pomeriggio) e non consente (probabilmente, memore di un forte uso distorto nel passato) un pagamento minore in caso di prestazione di durata inferiore alle 4 ore. L’utilizzatore è tenuto ad accreditare la somma utilizzando il modello F24 (l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 81/E del 3 luglio 2017 ha fornito le proprie indicazioni prevedendo la causale “cloc” ed affermando che le Pubbliche Amministrazioni, per le quali non valgono i limiti dimensionali, debbono utilizzare lo specifico modello loro riservato) o, in via informatica, secondo le indicazioni fornite dall’INPS, nella conferenza stampa del 7 luglio 2017, attraverso la procedura Agid PagoPa. Il pagamento delle competenze avviene il girono 15 del mese successivo e riguarda anche quelle prestazioni, non effettuate, per le quali nei tre giorni successivi a quello indicato non è arrivata alcuna revoca. E’ questo un punto critico sul quale è necessario fare alcune considerazioni.
Si vuole evitare un comportamento finalizzato a revocare le prestazioni (magari, perché quella sera non c’è stato alcun controllo da parte degli organi di vigilanza): l’Istituto è ben consapevole del problema, tanto è vero che ha dato la possibilità al lavoratore con un “clic” nei tre giorni successivi di confermare la prestazione e, di conseguenza, di rendere nulla l’eventuale comunicazione del prestatore: tutto bene e tutto giusto ma tale meccanismo potrà funzionare soltanto se non ci sarà concordanza tra utilizzatore e prestatore (il quale potrebbe ben essere stato “pagato in nero”). L’INPS, nella circolare n. 107, richiama una attività correlata con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro e le sue articolazioni periferiche, finalizzate a colpire tali comportamenti: sicuramente si farà, cosa che, auspicabilmente, dovrebbe portare alla condivisione di una serie di dati. E’ sperabile che non accada quanto accaduto con il lavoro intermittente: come ben sanno tutti gli ispettori del lavoro, a distanza di oltre cinque anni, dall’introduzione, a pieno regime, della comunicazione telematica al Ministero del Lavoro, non sono stati messi in grado di consultare, direttamente, la banca dati per verificare se, effettivamente, il datore di lavoro ha effettuato la comunicazione preventiva e sono costretti, violando il precetto contenuto nel DPR n. 445/2000 (come modificato dall’art. 15 della legge n. 183/2011), a chiederne copia al soggetto ispezionato.

Passo, velocemente, a parlare del settore agricolo ove i limiti dimensionali (cinque dipendenti a tempo indeterminato) sono gli stessi e comprendono, a mio avviso, anche il personale impiegatizio. Il lavoro occasionale può essere svolto soltanto da “soggetti svantaggiati” che nell’anno precedente non risultano essere stati iscritti negli elenchi anagrafici degli operai agricoli a tempo determinato OTD: si tratta di una norma che punta a tutelare quello che è il normale rapporto di lavoro degli operai agricoli. Rispetto alla precedente normativa sul lavoro accessorio non c’è il riferimento ai 7.000 euro di reddito per il datore di lavoro e non c’è il riferimento alle sole attività stagionali, con la conseguenza che “PrestO” può essere utilizzato anche per attività continuative come quelle “di stalla”. Rispetto alle altre comunicazioni quella per il settore agricolo si differenzia per il fatto che, pur essendo inviata almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, va collocata “entro un periodo massimo di 3 giorni”, cosa giustificata dal c.d. “fattore intemperie”.

Le retribuzioni prese quale riferimento (cosa che, legittimamente, consentirà di effettuate più di 280 ore annue) sono desunte dal contratto collettivo nazionale per gli operai agricoli e floro vivaisti e sono state riportate dalla circolare n. 107: area 1 euro 7,57; area 2 euro 6,94; area 3 euro 6,52. Si tratta, come ben si vede, di importi nettamente inferiori ai 9 euro: dal momento che il Legislatore fa riferimento al contratto collettivo (senza alcuna specificazione) sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, si sarebbero, potuti, legittimamente, prendere quale riferimento gli integrativi provinciali, presenti per forte consuetudine, in moltissimi territori ove, le paghe, vengono definite (con maggiorazioni) in relazione al contesto territoriale ed alle colture della zona.

Vado, infine, all’apparato sanzionatorio che mi pare alquanto “incompleto”, come ho avuto modo di affermare pocanzi. In caso di superamento del limite di 2.500 euro in favore dello stesso utilizzatore o, comunque, con il superamento delle 280 ore nel periodo compreso tra gennaio e dicembre di ogni anno, il rapporto si trasforma a tempo pieno ed indeterminato, con l’eccezione della Pubblica Amministrazione (si tratta dei soggetti individuati ex art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001) ove la costituzione del rapporto a tempo indeterminato avviene soltanto con il superamento di un concorso o di una procedura selettiva pubblica. Ovviamente, il dirigente responsabile dello “sforamento” ne risponde in proprio attraverso la c.d.”responsabilità erariale”. Personalmente ritengo che nelle Amministrazioni Pubbliche il ricorso a “PrestO” avverrà molto poco, atteso che si tratta di attivazione per lavori “estremamente marginali”.
Nel settore agricolo il limite orario non è 280 ore ma quello risultante dal rapporto tra i 2.500 euro e la retribuzione del contratto collettivo individuata dalla circolare n. 107. Sotto l’aspetto puramente sanzionatorio di stretta competenza degli organi di vigilanza, al di là delle specifiche sanzioni per violazione dell’art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 81/2008 e degli articoli 7, 8 e 9 sulle pause e sui riposi previste dal decreto legislativo n. 66/2003, l’unico comportamento punibile concerne la mancata comunicazione da parte dell’utilizzatore almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione o l’utilizzazione del prestatore in uno dei settori vietati (compreso l’appalto di opere e servizi). La sanzione, non diffidabile, è compresa tra 500 e 2.500 euro per ogni prestazione lavorativa per la quale sia stata accertata la violazione. Di conseguenza, il pagamento potrà avvenire nella misura ridotta pari a 833,33 euro, per ogni violazione, entro i 60 giorni dalla ricezione del verbale.

Sarà, sicuramente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro a fornire ai propri organi periferici le indicazioni del caso ma a me sembra che laddove il Legislatore non ha previsto nulla, non si possano applicare le sanzioni “per analogia” ( tra l’altro, oltre a quanto già detto in precedenza sulle sanzioni mancanti e per completezza di informazione, ricordo che anche la mancata comunicazione entro il 3 del mese successivo delle prestazioni rese in ambito familiare, non risulta punita).

A mio avviso, non è applicabile la c.d. “maxi sanzione” in quanto il dettato normativo relativo alla mancata comunicazione sembra escluderla (se il prestatore e l’utilizzatore risultino già iscritti nella piattaforma informatica), in quanto la violazione dell’obbligo di comunicazione (che appare l’unico elemento di tracciabilita’ della prestazione nel caso in cui la si voglia ricondurre a rapporto di lavoro subordinato) risulta punito con la sanzione amministrativa compresa tra 500 e 2.500 euro: ovviamente, il lavoratore “non tracciato” rientrerà nei limiti percentuali previsti dall’art. 14 del decreto legislativo n. 81/2008 per la sospensione dell’attività imprenditoriale


17 Luglio 2017


Fonte : Dottrina Lavoro