Quali limiti ha il lavoratore con un doppio part-time e cosa succede a livello fiscale? Ecco cosa sapere in caso di due part-time insieme.
Il lavoratore dipendente con un doppio part-time deve considerare una serie di aspetti su cui è bene prestare la massima attenzione. Entrambi attengono al benessere fisico ed economico del lavoratore.
Il primo riguarda l’orario di lavoro: la legge vuole tutelare il diritto di ogni dipendente a godere di periodi di riposo. Per questo l’orario di lavoro, ivi compreso quello di coloro che hanno un doppio lavoro, deve garantire la fruizione di riposi giornalieri e settimanali oltre al rispetto di un tetto di orario che non può eccedere le 48 ore settimanali.
Il secondo aspetto è di carattere economico-fiscale: per evitare brutte sorprese in sede di dichiarazione dei redditi, esistono una serie di accorgimenti che il dipendente può mettere in atto. Ovviamente le tasse devono essere pagate ma è di gran lunga preferibile avere una busta paga più leggera ogni mese che una trattenuta elevata quando si presenta il modello 730.
Vediamo nel dettaglio come comportarsi in caso di due part-time insieme.
Doppio part-time: riposi giornalieri e settimanali
Chi ha un doppio part-time deve comunicare a entrambe le aziende ogni informazione utile affinché vengano rispettate le prescrizioni di legge sull’orario di lavoro (raccolte nel Dlgs. n. 66/2003).
Se ad esempio il dipendente affianca al rapporto svolto presso l’azienda A quello nell’azienda B dovrà comunicare a quest’ultima l’orario previsto nel primo part-time. In questo modo l’azienda B potrà organizzare l’attività lavorativa del dipendente secondo una distribuzione oraria che tenga conto dell’orario massimo di lavoro e del diritto del dipendente ai riposi giornalieri, settimanali e alle pause intermedie.
La legge fissa in 11 ore consecutive ogni 24 il periodo minimo di riposo giornaliero cui ha diritto il dipendente.
Il riposo settimanale è invece pari ad almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni di regola coincidenti con la domenica. Sono ammesse deroghe rispetto alla coincidenza del riposo con la domenica, a patto che nell’arco di 14 giorni al dipendente vengano riconosciuti 2 giorni di riposo.
Per verificare il rispetto del riposo settimanale si deve andare a ritroso dall’ultimo giorno goduto e verificare se nei 13 giorni precedenti il dipendente ha avuto un’altra giornata di astensione dal lavoro.
Orario massimo di lavoro due part-time
L’orario massimo di lavoro in presenza di due rapporti di lavoro part-time non può eccedere complessivamente le 48 ore settimanali, comprese le ore di lavoro supplementare o straordinarie.
Il limite delle 48 ore dev’essere calcolato come media in un periodo non superiore a 4 mesi, elevabili a 6 dalla contrattazione collettiva ovvero a 12 a fronte di ragioni tecniche, obiettive o organizzative.
Anche in questo caso il dipendente dovrà fornire a entrambi i datori di lavoro qualsiasi informazione utile al fine di rispettare il limite delle 48 ore.
Tassazione per lavoratore con due part-time insieme
La tassazione è uno degli aspetti più delicati per chi ha due lavori part-time. Il rischio è di dover pagare altre tasse allo Stato in sede di dichiarazione dei redditi, oltre a quelle già versate nell’ambito dei singoli contratti.
Nella dichiarazione dei redditi si dovrà infatti stabilire le tasse dovute con riferimento a tutti i redditi percepiti nell’anno precedente.
Facciamo l’esempio del dipendente che nel rapporto A ha pagato 4.500 euro di tasse e nel rapporto B 1.500. Ogni datore ha calcolato le imposte sulla base dello stipendio dallo stesso erogato senza tener conto di quanto il dipendente ha percepito dall’altro lavoro.
Con la dichiarazione dei redditi emerge che l’Irpef da pagare è pari a 8.000 euro; di conseguenza il soggetto dovrà allo Stato altri 2.000 euro rispetto ai 6 mila già trattenuti l’anno precedente.
Irpef: imposta progressiva
Situazioni come quella citata sono dovute al fatto che l’Irpef è un’imposta progressiva, dove a redditi elevati corrispondono tassazioni elevate.
In gergo si parla di “scaglioni di reddito”:
- Se il reddito complessivo è pari o inferiore a 15 mila euro l’aliquota è del 23%;
- Reddito da 15.000 a 28.000 euro aliquota del 27%;
- da 28.000 a 55.000 euro aliquota del 38%;
- da 55.000 a 75.000 euro aliquota del 41%;
- oltre 75.000 euro aliquota del 43%.
Ipotizziamo che l’azienda A abbia corrisposto nel 2018 redditi per 10 mila euro tassandoli al 23% (tasse pari a 2.300 euro). L’azienda B altri 10 mila euro tassandoli anch’essa al 23% (altri 2.300 euro). In sede di dichiarazioni dei redditi (presentata nel 2019) si sommano i 10 mila euro dell’azienda A con quelli dell’azienda B ed emerge che l’imposta effettivamente dovuta è pari a:
- 3.450 euro (aliquota al 23%) fino a 15 mila euro;
- Sui 5 mila residui si applica la tassazione al 27% pari a 1.350 euro.
Di conseguenza l’Irpef complessivamente dovuta è pari a 4.800 euro rispetto ai 4.600 già trattenuti nel 2018. Il soggetto in questione dovrà corrispondere allo Stato 200 euro di tasse ancora dovute.
Vediamo nel dettaglio gli accorgimenti necessari per evitare situazioni di questo tipo.
Conguaglio di fine anno
Il primo passo da fare è quello di chiedere che il conguaglio di fine anno venga fatto da uno solo dei due datori di lavoro (per una migliore comprensione identifichiamo l’azienda A con chi dovrà occuparsi delle operazioni di conguaglio mentre l’azienda B sarà quella esonerata). La scelta può essere comunicata a entrambe le aziende compilando il cosiddetto “modulo detrazioni” all’inizio dell’anno, prima dell’elaborazione delle paghe di gennaio.
Il conguaglio di fine anno è quell’operazione che permette di confrontare le imposte dovute con riferimento al reddito complessivamente erogato al dipendente nell’anno con quelle trattenute ogni mese.
All’azienda che effettuerà il conguaglio si dovrà comunicare il reddito che si prevede di percepire nell’anno dall’altro datore di lavoro.
In questo modo l’azienda A tratterrà al dipendente l’Irpef dovuta considerando non solo quanto dalla stessa erogato ma altresì il reddito che il soggetto prevede di trarre dall’azienda B. Naturalmente, trattandosi di una simulazione può accadere che il reddito effettivamente percepito dall’azienda B sia superiore rispetto a quello preventivato.
In questo caso il dipendente a seguito della dichiarazione dei redditi dovrà altre tasse allo Stato, che saranno comunque inferiori rispetto all’ipotesi in cui l’azienda A calcoli l’Irpef sulla base dei soli redditi dalla stessa corrisposti.
Può accadere anche il contrario. Se le imposte trattenute al dipendente dall’azienda A sono superiori rispetto a quelle dovute, il dipendente avrà diritto ad un rimborso.
Reddito azienda B
Il reddito che si prevede di percepire dall’azienda B dev’essere indicato nel modulo detrazioni da consegnare all’azienda che dovrà effettuare le operazioni di conguaglio.
Detrazioni
Per quanto riguarda le detrazioni per lavoro dipendente o per carichi di famiglia, la cui funzione è quella di abbassare le tasse dovute, è consigliabile richiederne l’applicazione alla sola azienda che effettuerà le operazioni di conguaglio.
La scelta dev’essere comunicata sempre nel modulo detrazioni.
Dal momento che le detrazioni si riducono all’aumentare del reddito complessivo, l’azienda A calcolerà le detrazioni dovute considerando non solo il reddito dalla stessa erogato, ma anche quello che si presume erogherà l’azienda B.
Bonus 80 euro
Anche per il bonus 80 euro se ne consiglia l’applicazione da parte dell’azienda A, per lo stesso motivo delle detrazioni. Il bonus infatti spetta in misura diversa a seconda del reddito complessivo:
- Fino a 24.600 euro spettano 960 euro all’anno;
- Per i redditi da 24.600 a 26.600 euro il bonus è riparametrato sula base della seguente formula, [960 * (26.600 – reddito complessivo) / 2000];
- Per i redditi superiori a 26.600 euro il bonus non spetta.
La scelta può essere comunicata sempre con il modulo detrazioni.