Dimissioni per giusta causa
L’istituto della giusta causa ha fonte nell’art. 2019 del Codice Civile secondo il quale “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Deve trattarsi, quindi, di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro – in particolare dell’elemento della fiducia – che deve effettivamente sussistere fra le parti. La Corte Costituzionale con sentenza n. 269 del 17-24 giugno 2002 ha precisato che in presenza di una condizione di improseguibilità del rapporto, la cui ricorrenza deve essere valutata dal giudice, l’atto di dimissioni, ancorché proveniente dal lavoratore, sarebbe comunque da ascrivere al comportamento di un altro soggetto ed il conseguente stato di disoccupazione non potrebbe che ritenersi, ai sensi dell’art. 38 della Costituzione, involontario.
Diritto alla NASpI
Da questa circostanza deriva il diritto del lavoratore al trattamento di disoccupazione o di NASpI che dir si voglia. L’INPS ha affrontato più volte questo tema, di ultimo con la
circolare n. 21 del 10 febbraio 2023 che richiama quanto già in precedenza affermato con le
circolari n. 97/2003 e n. 163/2003; quest’ultima, in particolare, riporta le fattispecie che la giurisprudenza ha qualificato come giusta causa di dimissioni una serie di casistiche:
– mancato pagamento della retribuzione;
– molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
– modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
– mobbing;
– notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda;
– spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 codice civile;
– comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.
Una ulteriore ipotesi è stata introdotta dal
D.Lgs. n. 14/2019 recante il Codice della crisi d’impresa il cui art. 190 dispone che la cessazione del rapporto di lavoro conseguente alla liquidazione giudiziale costituisce perdita involontaria dell’occupazione con conseguente riconoscimento al lavoratore, laddove ricorrano gli altri requisiti di legge, dell’indennità di disoccupazione NASpI.
In questo caso la norma richiamata prevede che le dimissioni per giusta causa rassegnate dal lavoratore hanno decorrenza con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, quindi, con decorrenza retroattiva rispetto alla data in cui le stesse vengono rassegnate. Purtuttavia, il termine di 68 giorni stabilito, a pena di decadenza, per la presentazione della domanda di NASpI decorre dalla data in cui il lavoratore rassegna le proprie dimissioni e non dalla data della cessazione del rapporto di lavoro.
L’indennità ordinaria di disoccupazione o la NASpI non sono pertanto escluse nelle ipotesi in cui le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore, in quanto indotte da comportamenti altrui idonei ad integrare la condizione della improseguibilità del rapporto.
Procedura per le dimissioni
Nel modulo di dimissioni on line il lavoratore dovrà, pertanto, indicare la sussistenza della “giusta causa” e altrettanto dovrebbe fare il datore di lavoro nella comunicazione ai servizi per l’impiego. Questo non è, però, sufficiente. L’INPS prevede (
messaggio n. 369/2018) che ai fini del diritto alla NASpI, il dipendente dimessosi per giusta causa deve manifestare la sua volontà di difendersi in giudizio.
A tal fine il lavoratore deve allegare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da cui risulti la volontà di difendersi in giudizio contro il comportamento illecito del datore, volontà che deve essere dimostrata allegando una serie di “atti idonei”: diffide, esposti, denunce, citazioni, sentenze, ricorsi d’urgenza contro il datore di lavoro.
Il lavoratore deve poi impegnarsi a comunicare l’esito della controversia, giudiziale o extragiudiziale. Qualora la lite si concluda escludendo la sussistenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS provvede a recuperare quanto già erogato a titolo di NASpI o di indennità di disoccupazione.
Fonte: WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro