Stabilire se un soggetto possa o meno definirsi “disoccupato”, ovvero, stando alla definizione comunemente riconosciuta: persona rimasta priva di un lavoro retribuito, in cerca di una nuova occupazione, dovrebbe essere cosa semplice; sfortunatamente, tanto semplice non lo è affatto.
Per comprendere meglio la complessità a definire i parametri della questione è opportuno riepilogare le fonti principali che ne dettano le condizioni:
- D.lgs. 181 del 2000, modificato dal D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297;
- D.lgs. 150 del 2015, modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185;
- Nota del Ministero del Lavoro n. 2866 del 2016;
- Nota del Ministero del Lavoro n. 3374 del 2016;
- D.L. n. 4/2019 (convertito con modificazioni dalla L. n. 26/2019);
- Circolare n. 1 del 2019 ANPAL.
Una buona quantità di norme, per definire i caratteri oggettivi di un soggetto in stato di disoccupazione.
Per il D.Lgs. del 21 aprile 2000, n. 181, modificato dal D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297, si trovava nella condizione di disoccupato un soggetto privo di lavoro, che fosse immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa, secondo modalità definite con i servizi competenti.
Si conservava lo stato di disoccupazione anche a seguito di svolgimento di attività lavorativa, purché la stessa non garantisse un reddito annuale superiore al reddito richiesto per il pagamento delle imposte, entro il limite di reddito di € 8.000,00 per il lavoro subordinato ed entro il tetto di € 4.800,00 per il lavoro autonomo.
Si perdeva, in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente e in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 24 giugno 1997, n. 196.
Si sospendeva lo stato di disoccupazione, in caso di lavoro subordinato di durata fino a sei mesi.
Con il D.Lgs. 150 del 2015, modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185, i requisiti per ottenere lo stato di disoccupazione cambiano. Vengono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego, che dichiarano, in forma telematica la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro. I requisiti diventano due:
- essere privi di impiego retribuito, fatta eccezione per il lavoro accessorio, così come previsto dal D.Lgs 81/2015, art. 49 comma 4;
- dichiarare la propria immediata disponibilità allo svolgimento di un’attività lavorativa e alla partecipazione ad una misura di politica attiva.
Per quanto riguardava il lavoro autonomo, il ministero del lavoro si pronunciava al riguardo, asserendo che i soggetti titolari di Partite IVA non movimentate negli ultimi 12 mesi, precedenti la data di presentazione della DID, venivano considerati privi di impiego (Note del Ministero del Lavoro 2866 del 2016 e 3374/2016).
Nello specifico, la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 2866 del 26 febbraio 2016 offriva chiarimenti in merito alla permanenza dello stato di disoccupazione anche a favore di persone occupate in attività lavorative, dipendenti o autonome, tali da procurargli un reddito non superiore al minimo esente da imposizione fiscale.
La Nota del Ministero del Lavoro n. 3374 del 2016 chiariva che qualora fosse sottoscritto un contratto ad origine di durata superiore a sei mesi e, nel termine dei sei mesi non fosse intervenuta una comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto, lo stato di disoccupazione decadeva a far data dall’inizio del rapporto di lavoro di durata superiore a sei mesi.
Il D.L. 28 gennaio 2019, n. 4 (convertito con modificazioni dalla l. 28 marzo 2019, n. 26), acquisito il parere del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali con nota 31/0006890 dell’11 luglio 2019 fornisce le prime indicazioni operative in merito allo stato di disoccupazione.
Secondo l’attuale e ultima normativa, si considerano in stato di disoccupazione anche i lavoratori il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; nel caso del lavoro dipendente, tale reddito è quantificabile, alla luce della normativa vigente, in € 8.145 annui e in caso di attività di lavoro autonomo, il limite esente da imposizione fiscale è, nella generalità dei casi, quantificabile in € 4.800 annui. Pertanto, non più come previsto dal D.Lgs. n. 150/2015, esclusivamente coloro privi di impiego, senza distinzione di reddito.
Resta l’obbligo di dichiarare, in forma telematica, al Sistema Informativo Unitario delle politiche del lavoro (SIU), la propria immediata disponibilità (DID) allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il Servizio competente.
Ai fini del computo dei sei mesi di disoccupazione è necessario che il disoccupato abbia un’anzianità di disoccupazione pari a 180 giorni più 1 giorno.
Per tornare al punto di partenza di una definizione piuttosto ovvia negli anni 2000, ci sono voluti: cinque decreti, una legge, due note ministeriali, diverse circolari e quattro anni. La produzione normativa in Italia è decisamente instabile, parafrasando Venditti, si potrebbe dire che le norme, in Italia, fanno dei giri immensi e poi ritornano.