Decreto Trasparenza: novità e nuovi pesanti obblighi per i datori di lavoro

Il 13 agosto 2022, dopo i rituali 15 giorni di “vacatio”, entra in vigore il D.L.vo 27 giugno 2022, n. 104, con il quale il Governo ed il Parlamento che ha fornito i prescritti pareri, hanno dato piena attuazione alla Direttiva comunitaria n. 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea.
Indubbiamente, si tratta di un adempimento importante che lo Stato italiano ha onorato entro i termini concessi dall’ordinamento comunitario, ma il provvedimento che ne è uscito, prima ancora della sua emanazione, ha suscitato forti critiche da parte di molti “addetti ai lavori” per la complessità degli adempimenti, per i tempi ristretti e per l’apparato sanzionatorio che chiama al controllo, gli organi di vigilanza degli Ispettorati territoriali del Lavoro.
Non è stato previsto alcun periodo transitorio e le nuove disposizioni entrano in vigore in un momento che, calendario alla mano, presenta delle oggettive difficoltà: forse, “veicolando”, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in un periodo diverso, ad esempio, dopo il 20 agosto, si potevano superare alcune difficoltà, anche perché, nel mentre si chiede la piena operatività ai datori di lavoro, quasi sicuramente, le Pubbliche Amministrazioni, che pure hanno un ruolo importante con la pubblicazione di una serie di informazioni basilari (comma 6 del nuovo art. 4 del D.L.vo n. 152/1997), non saranno pronte. Lo stesso Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro, in una nota indirizzata al Ministro del Lavoro, ha chiesto uno “slittamento” dei termini di entrata in vigore: vedremo cosa succederà.
Fatta questa breve premessa credo che la cosa più giusta sia quella di esaminare, sia pure in maniera non particolarmente approfondita, le novità introdotte, con l’intento di tornarci nel momento in cui si avranno (se si avranno) i chiarimenti di prassi del Ministero del Lavoro e con l’obiettivo di fornire una prima chiave di lettura per i datori di lavoro ed i professionisti che dalla metà di agosto dovranno applicare le nuove disposizioni.

Ambito di applicazione
L’art. 1 del D.L.vo n. 104 declina l’ambito di applicazione che appare molto esteso e comprende:

a) I contratti di lavoro subordinato, a tempo indeterminato e determinato, compresi quelli agricoli, pur se si svolgono tempo parziale;
b) La somministrazione sia a tempo indeterminato che a termine;
c) Il contratto di lavoro intermittente ove il D.L.vo n. 104 prevede profonde modifiche all’art. 15 del D.L.vo n. 81/2015;
d) Il rapporto di collaborazione con prestazione prevalentemente personale e continuativa, organizzata dal committente ex art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015;
e) Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, cpc;
f) Il contratto di prestazione occasionale ex art. 54-bis del D.L. n. 50/2017 convertito, con modificazioni, nella legge n. 96;
g) I contratti di lavoro delle pubbliche amministrazioni individuate ex art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 e degli Enti pubblici economici;
h) I contratti di lavoro dei lavoratori marittimi e della pesca, fatta salva la disciplina speciale vigente in materia;
i) I contratti di lavoro domestico, con la sola eccezione della transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili (art. 10) e della formazione obbligatoria (art. 11).

Non rientrano nell’ambito di applicazione del D.L.vo n. 104:

a) I rapporti di lavoro autonomo ex titolo III del libro V del codice civile (ad esempio, il contratto d’opera);
b) I rapporti di lavoro autonomo ex D.L.vo n. 36/2021, purchè non integranti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, cpc;
c) I rapporti di lavoro caratterizzati da un tempo predeterminato ed effettivo di durata pari od inferiore ad una media di 3 ore alla settimana in un arco temporale di riferimento di 4 settimane consecutive. Si considera nella media il tempo di lavoro prestato in favore di tutti i datori che costituiscono una stessa impresa o uno stesso gruppo di imprese. Questa esclusione non opera allorquando non sia stata stabilita una quantità garantita di lavoro retribuita prima dell’inizio dell’attività. Par di capire, dal dettato normativo, che la deroga riguardi, unicamente, quelle prestazioni occasionali di durata assai limitata;
d) I rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale;
e) I rapporti di collaborazione prestati nell’impresa del datore, dal proprio coniuge, dai parenti e dagli affini non oltre il terzo grado, purchè siano conviventi;
f) I rapporti di lavoro dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni in servizio all’estero, limitatamente ai contenuti dell’art. 2 del D.L.vo n. 152/1997, come modificato dall’art. 4 del D.L.vo n. 104;
g) I rapporti di lavoro del personale giudiziario, relativamente alle norme inserite nel Capo III del D.L.vo n. 104.

Modalità di comunicazione delle informazioni
Prima di entrare nel merito delle novità introdotte occorre sottolineare come incomba sul datore di lavoro l’onere di comunicare le informazioni al lavoratore in maniera chiara utilizzando la modalità cartacea o quella elettronica. Le informazioni debbono, sempre, essere rese accessibili al lavoratore e la prova della trasmissione delle stesse e della loro ricezione deve essere conservata per un periodo non inferiore ai 5 anni dalla conclusione del rapporto di lavoro (termine che, a prima vista, appare molto lungo).
Gli obblighi riguardano i nuovi assunti ma anche, a richiesta degli interessati, coloro che sono stati assunti pentro il 1° agosto 2022 che (art. 16), su richiesta scritta, possono chiedere l’integrazione delle loro lettere di assunzione con i dati previsti dal D.L.vo n. 104: i datori di lavoro hanno 60 giorni di tempo per adempiere. L’inottemperanza viene punita dagli organi di vigilanza dell’Ispettorato del Lavoro, con una sanzione amministrativa compresa tra 250 a 1500 euro per ogni soggetto interessato. C’è da osservare come, per un errore del Legislatore delegato, siano esclusi, ad oggi, i lavoratori assunti nel periodo 2 agosto – 12 agosto che, quindi, non possono chiedere ai propri datori (che, comunque, possono benissimo esaudire le loro eventuali richieste), le integrazioni alle lettere con le quali sono stati instaurati i loro rapporti.

Modifiche al D.L.vo n. 152/1997
Buona parte delle novità introdotte sono inserite nel nuovo testo del D.L.vo n. 152/1997, attraverso una profonda riscrittura. Ricordo che anche tale provvedimento era “figlio” di un’altra Direttiva comunitaria.
L’art. 1, che riguarda le informazioni sul rapporto di lavoro, è stato completamente riscritto e comprende voci già presenti nel vecchio testo. L’obbligo riguarda sia i datori di lavoro privati che quelli pubblici. Queste sono le informazioni richieste all’atto della instaurazione:

a) Identità delle parti ivi compresa quella dei codatori nei contratti di rete;
b) Il luogo ove si svolge la prestazione: Se questo non è determinato, il datore deve comunicare l’occupazione in luoghi diversi o affermare che il lavoratore è libero di determinare il proprio posto di lavoro;
c) La sede o il domicilio del datore;
d) L’inquadramento, il livello e la qualifica attribuita al lavoratore o, in alternativa, le caratteristiche o la descrizione sommaria della prestazione richiesta;
e) La data di inizio del rapporto;
f) La tipologia contrattuale posta in essere (contratto a tempo determinato, indeterminato, apprendistato professionalizzante, contratto intermittente, ecc.): nel caso in cui si tratti di un contratto a tempo determinato occorre indicarne la durata, anche “per relationem” (ad esempio, fino al rientro della lavoratrice dalla maternità). Il D.L.vo n. 152/1997 non lo dice ma nel contratto a tempo determinato è opportuno richiamare anche il diritto di precedenza (art. 24 del D.L.vo n. 81/2015) per una assunzione a tempo indeterminato per le mansioni già svolte che si esaurisce entro i 12 mesi successivi alla cessazione del rapporto, nel caso in cui con uno o più contratti, anche in sommatoria, si superi la soglia dei 6 mesi;
g) L’identità della impresa utilizzatrice (se nota e, in ogni caso, la comunicazione va resa quando è nota) per i lavoratori somministrati dalle Agenzie di Lavoro;
h) La durata del periodo di prova, laddove previsto (il D.L.vo n. 104, all’art. 7, ha previsto alcune novità all’art. 7 sulle quali mi soffermerò successivamente);
i) Il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore, se prevista;
j) La durata delle ferie e degli altri congedi retribuiti ai quali ha diritto il dipendente o, se ciò non può essere indicato nell’informazione, le modalità di determinazione e fruizione degli stessi. La descrizione dei congedi appare alquanto ampia;
k) La procedura, la forma ed i termini del periodo di preavviso. Ciò significa il richiamo alle previsioni contrattuali che disciplinano la durata dell’istituto anche in relazione all’anzianità di servizio, il richiamo all’istituto delle dimissioni sia nella forma telematica prevista dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal successivo D.M. applicativo, che in quella “protetta” ex D.L.vo n. 151/2001. Per quel che concerne il datore di lavoro si può dire che l’eventuale periodo di preavviso sarà comunicato in forma scritta;
l) L’importo iniziale della retribuzione o comunque i compenso con i relativi elementi costitutivi. Vanno indicati i periodi di pagamento e le modalità. Ricordo che tutti i pagamenti debbono essere tracciabili;
m) La programmazione dell’orario normale di lavoro, le condizioni per lo straordinario, quelle per gli eventuali cambi di turno, qualora sia prevista una organizzazione dell’orario prevedibile;
n) Qualora la programmazione oraria sia in gran parte non prevedibile, il datore deve informare il dipendente circa la variabilità della programmazione, l’ammontare minimo delle ore garantite, la retribuzione per le prestazioni lavorative eccedenti le ore garantite, le ore ed i giorni in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni ed il periodo minimo di preavviso a cui i lavoratore ha diritto prima dell’inizio della prestazione e l’eventuale termine entro il quale il datore può annullare l’incarico;
o) Il CCNL o quello aziendale applicato, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto;
p) Gli Enti e gli Istituti destinatari dei contributi previdenziali ed assicurativi e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale (ad esempio, fondo di categoria);
q) Gli elementi previsti qualora la prestazione debba essere effettuata per le modalità di esecuzione attraverso l’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, di cui parla l’art. 1-bis del D.L.vo n. 152/1997, ora riformato.

Come si può, facilmente, vedere le informazioni vanno ben oltre ciò che eravamo abituati a fornire con la lettera di assunzione e il Legislatore al comma 2 ricorda che il datore assolve l’obbligo con la consegna:

a) Del contratto individuale di lavoro redatto per iscritto;
b) Della copia delle comunicazione di instaurazione del rapporto inviata, in via telematica, ai servizi per l’impiego (ma qui le informazioni reperibili sono, oltremodo scarse).

Se tutte le informazioni necessarie sopra descritte non si rinvengono in uno degli atti sopra indicati, il datore di lavoro ha l’onere di portarli a conoscenza del lavoratore entro 7 giorni o, entro un mese dall’inizio della prestazione lavorativa se riguardano il nominativo dell’impresa utilizzatrice per i somministrati, il diritto alla formazione, la durata delle ferie e dei congedi retribuiti, la procedura per il preavviso, il contratto collettivo applicato e gli Enti destinatari della contribuzione previdenziale ed assicurativa.
Ma, cosa succede se il contratto termina prima di un mese (cosa possibile, qualora il rapporto sia di breve durata come accade in molti contratti a tempo determinato o in somministrazione, ma anche allorquando si risolve per dimissioni o altro fatto)? Le informazioni vanno, comunque, rese all’interessato all’atto della cessazione del rapporto.
Quanto appena detto riguarda i datori di lavoro alle prese con un rapporto di lavoro subordinato, ma gli stessi oneri, ricorda il nuovo comma 4 dell’art. 1 del D.L.vo n. 152/1997, riguarda anche i committenti, nei limiti della compatibilità per i rapporti ex art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 e art. 409, n. 3, del codice civile, nonché i contratti di prestazione occasionale ex art. 54-bis del D.L. n. 50/2017. Limiti di compatibilità per i committenti, significa che sono escluse tutte quelle informazioni che sono tipiche della subordinazione
La norma (comma 6) affida un onere al Ministero del Lavoro e a quello della Funzione Pubblica per le Amministrazioni Pubbliche: quello di rendere una serie di informazioni sui propri siti istituzionali relativi alle informazioni che vanno comunicate dai datori di lavoro e dai committenti: si spera che non ci si fermi ad una mera riproduzione delle norme di legge e contratto, senza alcuna indicazione ulteriore.
L’informazione è totale anche per i lavoratori marittimi e della pesca con la sola eccezione dei riferimenti al contratto collettivo applicato ed agli Enti ed Istituti destinatari dei contributi previdenziali ed assicurativi.
Vale la pena di sottolineare come dal testo del D.L.vo n. 152/1997 sia scomparso il comma 4 dell’art. 1 ove il datore poteva far riferimento, per quanto non comunicato, al CCNL.
L’art. 1-bis si sofferma, invece, sugli ulteriori obblighi informativi qualora vengano utilizzati sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Ciò che rileva è che sia il datore che il committente debbono informare il lavoratore o il collaboratore circa l’utilizzo di sistemi finalizzati a fornire dati relativi all’assunzione o al conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del contratto, dell’assegnazione di mansioni o compiti, indicazioni sulla sorveglianza, la valutazione e l’adempimento delle prestazioni contrattuali, come nel caso dei “riders”. Le informazioni già fornite debbono essere integrate, per iscritto, almeno 24 ore prima di ogni modifica (comma 5).
Il lavoratore ha diritto ad accedere ai dati che lo riguardano, anche per il tramite delle rappresentanze sindacali aziendali o territoriali. Ricorda il comma 3 che sia il datore di lavoro che il committente hanno l’obbligo di rispondere per iscritto con la trasmissione dei dati mancanti, entro 30 giorni.
C’è, poi, una disposizione relativa ai dati delle piattaforme digitali che, secondo il comma 6, vanno comunicati in maniera trasparente, strutturata e leggibile. I dati vanno comunicati dal datore di lavoro e dal committente agli organismi sindacali interni ed alle strutture territoriali delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e debbono essere del Ministero del Lavoro e degli Ispettorati del Lavoro.
Dopo aver dettato gli ulteriori adempimenti ai quali sono tenuti i datori di lavoro verso i dipendenti che si recano all’estero per le proprie prestazioni, anche nella forma del distacco transnazionale, il Legislatore delegato si occupa di alcune modifiche normativa che riguardano diverse tipologie contrattuali tra le quali spiccano le prestazioni occasionali ex art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, il lavoro intermittente ed il lavoro sulle piattaforme digitali. Particolarmente significative appaiono le modifiche al comma 1 dell’art. 15 del D.L.vo n. 81/2015 concernenti il lavoro a chiamata ove si afferma che il contratto, scritto, deve contenere alcuni elementi inderogabili (ciò vale per tutti i contratti intermittenti a tempo determinato od indeterminato stipulati a partire dal 13 agosto p.v.):

a) La natura variabile della programmazione del lavoro che, secondo l’art. 2, rappresenta l’indicazione di quando inizia e quando termina la prestazione, la durata e le ipotesi oggettive o soggettive che consentono il ricorso al lavoro intermittente;
b) Il luogo e le modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore;
c) Il trattamento economico e normativo, con l’indicazione delle ore garantite e di quelle, eventuali, ulteriori, nonché della indennità di disponibilità, se prevista;
d) Le forme e le modalità con le quali il datore richiede la prestazione e il relativo preavviso di chiamata;
e) I tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità, se prevista;
f) Le misure di sicurezza necessarie;
g) Le eventuali fasce orarie e i giorni predeterminati in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni.

Periodo di prova
L’art. 7 afferma che la durata massima del periodo di prova non può eccedere i 6 mesi: ovviamente, restano valide e previsioni contrattuali che prevedono periodi inferiori.
Nei contratti a tempo determinato, il periodo di prova ha una durata proporzionale correlata anche alle mansioni da svolgere: qui, a mio avviso, sarà necessario un intervento della contrattazione collettiva che, in relazione alle singole mansioni ed alla durata del rapporto, dovrà definire i tempi nel caso in cui, appunto, venga apposto il patto di prova.
Il Legislatore delegato chiarisce, inoltre, che in caso di rinnovo tra le parti di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.
Ciò vale soltanto per i datori di lavoro privati, atteso che per quelli pubblici continua ad applicarsi l‘art. 17 del DPR n. 487/1994.

Cumulo di impieghi
L’art. 8, riprendendo anche indirizzi già presenti nella nostra giurisprudenza, afferma che il datore di lavoro non può impedire ai propri dipendenti lo svolgimento di altra attività lavorativa subordinata, al di fuori delle ore predeterminate per l’attività svolta in suo favore, né riservare loro un trattamento economico meno favorevole motivato da tale situazione.
Già era pacifico che ciò avvenisse in caso di rapporto a tempo parziale, ora il Legislatore delegato lo prevede anche per il tempo pieno: il tutto, comunque, nel rispetto dell’obbligo di fedeltà sancito dall’art. 2105 del codice civile.

Il datore, afferma la norma, può non dare il proprio assenso qualora sussista:

a) Un pregiudizio alla salute e sicurezza compreso quello del rispetto della normativa sui riposi (le 11 ore di stacco tra le prestazioni, ma anche il riposo settimanale, ecc.);
b) La necessità di garantire un servizio pubblico (è una norma che riguarda maggiormente le Pubbliche Amministrazioni per le quali, ai fini della autorizzazione ad un secondo lavoro, resta in vigore la procedura prevista dall’art. 53 del D.L.vo n. 165/2001);
c) Un possibile conflitto di interessi, pur senza la violazione dell’obbligo di fedeltà, come nel caso di una partecipazione in una impresa che potrebbe atteggiarsi, sul mercato, come futura concorrente.

Quanto appena detto si applica anche ai committenti alle prese con collaborazioni ex art. 2, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015 e art. 409, n. 3, cpc (ovviamente, il caso presenta qualche diversità atteso che il collaboratore non è un lavoratore subordinato).
La norma, poi, non trova applicazione nei settori del lavoro marittimo e della pesca.
Mi permetto una breve considerazione: sovente, il secondo lavoro (quandanche non “in nero”) soprattutto nel fine settimana è “sconosciuto” al datore di lavoro ed il lavoratore lo svolge, senza il rispetto degli obblighi derivanti dal riposo settimanale e, magari, oltre la durata massima delle 48 ore settimanali complessive di cui parla il D.L.vo n. 66/2003. Qui occorrerebbero una sensibilizzazione dei lavoratori e maggiori controlli degli organi di vigilanza.

Transizione a forme di lavoro migliori
L’art. 10 riconosce il diritto al lavoratore di chiedere, trascorsi 6 mesi o superato il periodo di prova, di chiedere al datore (ma anche al committente) una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, qualora possibili. E’ una formulazione strana, atteso che coniuga tre aggettivi di contenuto diverso, senza alcune specificazioni necessarie (lavoro più sicuro, infatti, può essere la richiesta di un allungamento dell’orario se il dipendente è a part-time ma può anche essere la richiesta di svolgere mansioni con maggiore sicurezza, magari all’interno della struttura aziendale.) La domanda va fatta per iscritto e il datore ha tempo un mese per fornire la proprie risposta, motivata, se negativa. L’istanza può essere reiterata, trascorsi altri sei mesi. I datori di lavoro, intesi quali persone fisiche e le aziende con un organico non superiore alle 50 unità, qualora la risposta sia sempre negativa, possono fornirla oralmente.
La norma appena descritta non si applica al lavoro domestico, ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, ai lavoratori marittimi e della pesca.

Formazione obbligatoria
L’art. 11 stabilisce che, laddove il datore sia obbligato in forza di legge, contratto collettivo od individuale ad erogare formazione obbligatoria, questa va garantita, gratuitamente, al personale ed è considerata orario di lavoro e, ove possibile, deve svolgersi durante lo stesso. Tale obbligo non riguarda la formazione necessaria al dipendente per mantenere o rinnovare una qualifica professionale, a meno che ciò non sia dettato da norme legali o contrattuali.
Restano fermi gli obblighi derivanti dal rispetto degli articoli 36 e 37 del D.L.vo n. 81/2008 sulla informazione, formazione ed addestramento dei lavoratori.

Meccanismi di risoluzione delle controversie
Con l’articolo 12 il Legislatore delegato entra nel Capo IV e richiama l’attenzione delle parti sugli strumenti conciliativi previsti dal nostro ordinamento in caso di contenzioso derivante dalla applicazione degli articoli legati alle informazioni ed ai dati che vanno forniti ai lavoratori ed ai collaboratori.
Di qui l’elencazione degli articoli 410 e 411 cpc (conciliazione avanti alla commissione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro, conciliazione in sede sindacale, conciliazione avanti alle commissioni di certificazione), 412 e 412-quater (collegi di conciliazione ed arbitrato) e art. 31, comma 12, della legge n. 183/2010 (camere arbitrali).

Protezione da trattamento e conseguenze sfavorevoli
L’adozione di un provvedimento di natura ritorsiva nei confronti di un lavoratore che abbia presentato una richiesta al proprio datore o abbia promosso un procedimento, anche non giudiziario (ad esempio, una richiesta effettuata attraverso un organismo sindacale), afferma l’art. 13, comporta la invalidità dell’atto datoriale e fatto salvo che ciò non costituisca reato, viene punito con la sanzione prevista dall’art. 41, comma 2, del D.L.vo n. 198/2006 (da 250 a 1.500 euro).
I lavoratori possono rivolgersi, anche per il tramite di una associazione sindacale, agli organi di vigilanza dell’Ispettorato che applicano la sanzione, una vola accertata la veridicità di quanto denunciato.

Protezione contro il licenziamento o il recesso del committente e onere della prova
L’art. 14 vieta al datore di lavoro e al committente di recedere dal contratto nei confronti dei lavoratori che abbiano esercitato i diritti previsti sia dal D.L.vo n. 104/2022 che dal D.Lvo n. 152/1997. Il lavoratore può chiedere i motivi della estromissione da lavoro ed il datore è tenuto a fornirli, per iscritto, entro i 7 giorni successivi alla richiesta.
Prima di proseguire nel merito del dettato normativo, mi sembra opportuno fare una piccola considerazione: per tutti i lavoratori dipendenti l’art. 2 della legge n. 604/1966 prevede che la comunicazione del licenziamento deve, in maniera contestuale, specificare le motivazioni (l’assenza è vizio formale): di conseguenza la norma appena descritta sembra attagliarsi alle collaborazioni coordinate e continuative o a quelle occasionali.
Il licenziamento ritorsivo è ben presente nel nostro ordinamento (art. 2 del D.L.vo n. 23/2015) e per la giurisprudenza esso è il sintomo di una reazione ingiusta ed arbitraria ad un comportamento legittimo del dipendente: la norma che si sta commentando, rispetto al quadro generale, presenta, però, una novità che è rappresentata dall’inversione dell’onere della prova che è, quindi, a carico del datore (o del committente) che deve provare la sua insussistenza.

Le sanzioni irrogate dall’Ispettorato del Lavoro
Il D.L.vo n. 104 ha riscritto anche le sanzioni amministrative che, sulle materie appena trattate, in caso di inottemperanza irroga l’Ispettorato territoriale del Lavoro e lo ha fatto riscrivendo il comma 2 dell’art. 19 del D.L.vo n. 276/2003:

a) Violazione degli obblighi previsti dai commi da 1 a 4 dell’art. 1 del D.L.vo n. 152/1997, come riformato, dal D.L.vo n. 104/2022: sanzione amministrativa da 250 a 1.500 euro per ogni lavoratore interessato;
b) Violazione degli obblighi previsti dai commi 2 e 3, secondo periodo dell’art. 1-bis del D.L.vo n. 152/1997: sanzione amministrativa da 100 a 750 euro per ciascun mese di riferimento, ferma restando la configurabilità di eventuali violazioni in materia di protezione dei dati personali ove sussistano i presupposti di cui agli articoli 83 del Regolamento UE 2016/679 e 166 del D.L.vo n. 196/2003. Se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori la sanzione amministrativa è compresa tra 400 e 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori, la sanzione amministrativa è compresa tra 1.000 e 5.000 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta;
c) Violazione degli obblighi di cui al comma 6, secondo periodo, dell’art. 1-bis: la sanzione amministrativa per ciascun mese in cui si verifica la violazione, è compresa tra 400 e 1.500 euro.
L’Ispettorato del Lavoro è, altresi, competente per la sanzione prevista dall’art. 41, comma 2, del D.L.vo n. 198/2006, richiamata dall’art. 13 del D.L.vo n. 104/2022: essa è compresa tra 250 e 1.500 euro.
Vale, a conclusione di questa breve riflessione, che vuole essere soltanto un primo contributo alle rilevanti novità introdotte in materia di dati ed informazioni per i lavoratori, ricordare come, laddove vi sia inottemperanza a norme in materia di lavoro e scurezza, non protette da sanzione amministrativa o penale (e ce ne sono anche in questo testo), gli ispettori del lavoro siano sempre dotati del potere discrezionale di emettere un provvedimento di disposizione.


4 Agosto 2022


Fonte : Dottrina Lavoro