Controversie di lavoro: dove si può concludere validamente un accordo conciliativo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10065 del 2024, ha fornito un’interpretazione restrittiva
del termine “sede sindacale” quale sede “protetta” ove il lavoratore può effettuare proprie
rinunzie e transazioni riguardanti i diritti, in materia di lavoro, rientranti nella propria
disponibilità. In particolare, i giudici hanno ritenuto che la protezione del lavoratore non deve
essere affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in
cui la conciliazione avviene. Qual è quindi il luogo corretto dove può avvenire la conciliazione in
una controversia di lavoro?
Il legislatore, con l’articolo 2113 c.c., ha previsto la possibilità di effettuare rinunzie e
transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro, derivanti da disposizioni
inderogabili di legge e di contratti o accordi collettivi, esclusivamente qualora tali rinunzie e
transazioni siano effettuate all’interno di un accordo conciliativo previsto in virtù di una delle
procedure indicate dal quarto comma dello stesso articolo 2113 c.c.

 

Quali sono le sedi dove si può concludere un accordo conciliativo
Queste le sedi previste:
– dinanzi al giudice istruttore (articolo 185 del Codice di procedura civile);
– in Commissione di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro (articolo 410
del Codice di procedura civile);
– dinanzi alla Commissione di certificazione in funzione conciliativa (articolo 82, comma
1, del Decreto Legislativo n. 276/2003);
– in Sede Sindacale (articolo 411 del Codice di procedura civile);
– in una delle Sedi previste dalla contrattazione collettiva (articolo 412-ter del Codice di
procedura civile);
– presso il Collegio di Conciliazione ed Arbitrato irrituale (articolo 412-quater del Codice
di procedura civile);
– in Negoziazione assistita da avvocati (articolo 2-ter del Decreto-legge n. 132/2014,
convertito in Legge n. 162/2014).

 

Dove può avvenire la conciliazione in una controversia di lavoro
Tornando alla sede attenzionata dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 10065 del 14 aprile
2024 (la “sede sindacale”), la norma di riferimento (articolo 411 c.p.c.) prevede la possibilità che
le parti (datore di lavoro e lavoratore) possano dirimere una controversia in materia di lavoro
dinanzi ad un sindacalista conciliatore. La procedura, negli anni, è stata molto apprezzata in
quanto, a differenza di quella prevista dinanzi alla Commissione di conciliazione presso
l’Ispettorato territoriale del lavoro, non vi è alcuna forma da seguire, almeno per quanto
riguarda la convocazione. Ciò in quanto, al tentativo di conciliazione, non si applicano le
disposizioni previste dall’articolo 410 c.p.c. relativamente ai tempi ed alla procedura da seguire.
La formalità è obbligatoria soltanto per la stesura del verbale di accordo o di
mancato accordo. Per questo motivo, dal momento della condivisione circa la necessità di
trovare un accordo, relativamente ad una problematica riguardante la gestione o la conclusione
di un rapporto di lavoro, al momento della sottoscrizione dell’accordo stesso possono passare
anche poche ore.
Ma torniamo all’ordinanza della Cassazione. I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che
con la procedura in “sede sindacale” la protezione del lavoratore non deve essere affidata
unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la
conciliazione avviene. Tali accorgimenti (figura del conciliatore e sede della conciliazione) si
rendono necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a
diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere.
Secondo i giudici, il quarto comma dell’articolo 2113 c.c., individua, quindi, non solo gli organi
dinanzi ai quali è possibile svolgere le conciliazioni che hanno ad oggetto i diritti rientranti
nella disponibilità del lavoratore, ma anche le sedi ove ciò deve avvenire. Infatti, l’art. 410
c.p.c. prevede che il tentativo di conciliazione possa avvenire “presso la commissione di
conciliazione” istituita dall’Ispettorato territorialmente competente (la valutazione della
competenza è demandata ai criteri di cui all’articolo 413 c.p.c.), mentre il comma terzo, dell’art.
411 c.p.c., fa riferimento alla conciliazione svolta “in sede sindacale”. Tale interpretazione
letterale porta ad identificare univocamente la sede sindacale quale luogo fisico ove il
lavoratore può legittimamente rinunciare ai propri diritti. In definitiva, i luoghi selezionati dal
legislatore devono avere carattere tassativo e non possono ammettere, pertanto, equipollenze,
sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della
finalità a cui è esposto il lavoratore, che deve trovarsi in un ambiente neutro, estraneo
dall’influenza della controparte datoriale.
In considerazione di ciò, la Cassazione ha escluso la possibilità, qualora la conciliazione
venga effettuata ai sensi dell’articolo 411 c.p.c., e cioè “in sede sindacale”, che le parti
possano validamente concludere un accordo conciliativo presso la sede del datore
di lavoro o altra sede diversa da quella del sindacato, come, ad esempio, presso lo
studio del consulente del lavoro ovvero presso la sede dell’associazione datoriale cui è iscritto
il datore di lavoro. Ciò in considerazione del fatto che tale modalità non soddisfa i requisiti
normativi previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni espresse dal lavoratore
nell’accordo conciliativo.

 

Cosa può prevedere il CCNL di categoria
Di diverso tenore, a mio avviso, è l’interpretazione della sede sindacale qualora sia stata
prevista, quale sede conciliativa, dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.
Infatti, in questo caso si applica quanto previsto dall’articolo 412-ter c.p.c., il quale dispone che
“la conciliazione e l’arbitrato, …, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità
previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente
rappresentative”. Ciò rende libera la contrattazione collettiva di decidere di scegliere, sia il
soggetto super partes che dovrà avallare l’accordo conciliativo (es. un sindacalista conciliatore,
un collegio arbitrale, ecc.), che, al tempo stesso, può definire le modalità e la sede ove tale
accordo può essere sottoscritto.
Resta inalterato l’ulteriore principio affinché sia considerato valido un accordo sottoscritto in
“sede sindacale” e cioè che l’assistenza prestata dal rappresentante sindacale (esponente di
una organizzazione sindacale cui appartiene il lavoratore o, comunque, dal medesimo indicata),
deve essere effettiva, in quanto ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di essere
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realmente consapevole della portata dell’atto che si accinge a sottoscrivere. In pratica, il
sindacalista deve avere un contegno concretamente protettivo nei confronti del lavoratore, in
modo che quest’ultimo possa decidere di aderire alla conciliazione conscio dei costi e dei
relativi benefici che l’accordo comporta.
In tal senso, la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24024/2013, aveva precisato che in
materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi
ad oggetto diritti del prestatore di lavoro, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede
sindacale, non possono essere impugnabili, a condizione che l’assistenza prestata dai
rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a
quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che
dall’atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche
concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’articolo 1965 del Codice civile.


18 Settembre 2024


Fonte : WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro