L’omissione, l’infedeltà delle denunce obbligatorie e la loro tardiva presentazione configurano la fattispecie dell’evasione di cui all’art. 116, c. 8, lettera b), della Legge 23 dicembre 2000, n. 388. L’INPS interviene con la Circolare n. 106/2017.
Con particolare riguardo agli effetti dell’omessa presentazione delle denunce mensili e/o periodiche ai fini della definizione della misura sanzionatoria da applicare, alla sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 28966/11, con la quale il Giudice di legittimità ha operato una ricostruzione del quadro normativo definito dalla Legge n. 388/2000, ha fatto seguito il formarsi di un conforme orientamento giurisprudenziale in base al quale risulta che tale fattispecie continua a restare assoggettata all’applicazione delle sanzioni civili nella misura dell’evasione.
In ordine all’atteggiarsi dell’intento fraudolento, determinante alla stregua della disciplina in oggetto per la configurabilità dell’evasione, spiega l’INPS, successiva giurisprudenza di legittimità ha affermato testualmente che “l’omessa o infedele denuncia fa presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultare i dati allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti, salvo prova contraria del soggetto obbligato”.
In termini pratici, l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte si è espressa nel senso di ritenere che nelle ipotesi di omessa o infedele denuncia si è sempre in presenza di una fattispecie di evasione, tranne nel caso in cui il datore di lavoro fornisca una prova idonea ad escludere l’intento fraudolento, con conseguente venire ad esistenza della diversa e più tenue fattispecie dell’omissione.
Ne consegue che spetta al Giudice di merito “la verifica della sussistenza o meno dell’intento fraudolento” che “costituisce un tipico accertamento di fatto (…) censurabile nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 C.P.C., n. 5”.
Quadro normativo – In caso di versamento contributivo omesso ovvero effettuato in ritardo o in misura inferiore a quella dovuta, si applica il regime sanzionatorio previsto dal 1° ottobre 2000, dall’art. 116, commi 8 e 9, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388.
La previsione normativa distingue, in via principale, due fattispecie:
l’ipotesi di omissione;
e di evasione;
che risultano meno gravose rispetto al regime pregresso.
Il regime dell’evasione si determina in presenza di registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero; in altre parole, si configura l’ipotesi dell’evasione laddove vi sia occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzioni erogate e l’occultamento sia attuato con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontariamente indirizzato a tale scopo.
Con particolare riguardo, invece, agli effetti dell’omessa presentazione delle denunce mensili e/o periodiche ai fini della definizione della misura sanzionatoria da applicare, alla sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 28966 del 27 dicembre 2011 (2), con la quale il Giudice di legittimità ha operato una puntuale ricostruzione del quadro normativo definito dalla Legge n. 388/2000, ha fatto seguito il formarsi di un conforme orientamento giurisprudenziale in base al quale risulta che tale fattispecie continua a restare assoggettata all’applicazione delle sanzioni civili nella misura dell’evasione.
La richiamata sentenza, ripercorrendo gli orientamenti formatisi sulla materia in seno alla Corte, è pervenuta, in via definitiva, all’individuazione dei contenuti sia della fattispecie dell’omissione che di quella, che qui interessa, dell’evasione effettuando anche un raffronto tra le disposizioni di cui alla Legge 23 dicembre 1996, n. 662 e quelle previste nella Legge 23 dicembre 2000, n. 388.
Le due ipotesi trovano applicazione, in via generale, nei confronti sia dei soggetti che rivestono la qualifica di datori di lavoro e/o committenti che dei lavoratori autonomi in relazione alla diversa tipologia degli adempimenti previsti per ciascuna Gestione previdenziale.
Casi di evasione – La citata sentenza n. 28966 del 27 dicembre 2011 è intervenuta a chiarire, ripercorrendo la lettura effettuata dai Giudici di legittimità nel corso del decennio successivo alla data di entrata in vigore del nuovo regime sanzionatorio, gli elementi che concorrono a definire l’ipotesi dell’evasione.
Con specifico riferimento all’elemento oggettivo dell’occultamento, la Corte ha precisato che tale termine non solo indica l’assoluta mancanza “di qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni” ma ricorre anche nell’ipotesi di denuncia obbligatoria all’Ente previdenziale che risulti non presentata, incompleta o non conforme al vero.
Dalla lettera della norma, infatti, “in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero”, l’utilizzo della disgiuntiva “o” fra registrazioni e denunce obbligatorie fa emergere la volontà del Legislatore di volere connettere all’una o all’altra tipologia di adempimento la configurazione dell’evasione.
Da ciò discende che anche l’omissione, l’infedeltà e la tardiva presentazione delle denunce obbligatorie configura un’ipotesi di evasione.
Il mancato invio (occultamento) all’Istituto previdenziale delle denunce mensili, adempimento funzionalmente diretto a consentire a quest’ultimo la conoscenza mensile o periodica del proprio credito contributivo, impedisce in concreto di disporre degli elementi idonei a definire l’obbligo dell’imposizione.
Dal predetto nesso funzionale tra denunce obbligatorie e pagamento dei contributi dovuti deriva, secondo la richiamata sentenza, che l’omessa o infedele denuncia integra un comportamento sintomatico della volontà di occultare i rapporti e le retribuzioni nel quale è possibile individuare il requisito di carattere soggettivo, rappresentato dall’elemento psicologico dell’intenzionalità previsto dalla norma, necessario a ricondurre la fattispecie nell’alveo dell’evasione.
Ciò infatti lascia presumere l’esistenza di una specifica volontà del soggetto che ha posto in essere il comportamento omissivo diretta ad evitare possibili accertamenti o riscontri in assenza dei quali si consentirebbe al contribuente, in concreto, di sottrarsi al versamento di quanto dovuto ovvero di adempiere in misura inferiore.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella sentenza n. 28966/2011, hanno affermato che la predetta prova non può tuttavia ritenersi assolta per effetto dell’avvenuta corretta annotazione, sui libri obbligatori, dei dati omessi o infedelmente riportati nelle denunce. In tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza delle circostanze, ove eccepite, idonee a superare la suddetta presunzione dell’intento fraudolento, spetterà al Giudice di merito in quanto presunzione non assoluta. Pertanto, l’onere probatorio è posto a carico del soggetto inadempiente.
In termini pratici, l’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte si è espressa nel senso di ritenere che nelle ipotesi di omessa o infedele denuncia si è sempre in presenza di una fattispecie di evasione, tranne nel caso in cui il datore di lavoro fornisca una prova idonea ad escludere l’intento fraudolento, con conseguente venire ad esistenza della diversa e più tenue fattispecie dell’omissione.
Resta posto a carico del datore di lavoro inadempiente pertanto l’onere di provare l’assenza dell’intento fraudolento e, quindi, la propria buona fede attraverso la produzione di documenti o circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento perché ad esempio gli inadempimenti sono derivati da mera negligenza o da altre circostanze contingenti.
Infatti, il mancato inserimento nelle denunce obbligatorie di dati di cui il datore di lavoro o il lavoratore autonomo è a conoscenza – in quanto già altrimenti registrati – rende in ogni caso evidente, fatto salvo diverso accertamento in giudizio, un comportamento sotteso univocamente alla predetta finalità.
Denunce effettuate spontaneamente – Il Legislatore ha ricondotto l’ipotesi dell’evasione alla sussistenza dell’intenzionalità del comportamento omissivo del soggetto diretto ad omettere registrazioni ovvero denunce obbligatorie o a presentare denunce obbligatorie non conformi al vero.
La norma, tuttavia, introduce una forma di ravvedimento operoso, stabilendo che le sanzioni civili previste per l’evasione sono ricondotte alla stessa misura prevista per l’ipotesi di omissione qualora:
la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente entro 12 mesi dal termine previsto per il pagamento della contribuzione;
la denuncia sia effettuata prima di ogni possibile contestazione da parte dell’INPS;
il pagamento sia effettuato entro 30 giorni dalla presentazione della denuncia.
Dunque, ove il comportamento di ravvedimento del soggetto obbligato sia attuato spontaneamente e prima di contestazioni o richieste da parte dell’Istituto entro 12 mesi dalla data di scadenza legale dell’adempimento omesso, e sempre che il pagamento della contribuzione denunciata sia effettuato nei successivi 30 giorni dalla presentazione, le sanzioni civili saranno dovute nella misura prevista dall’art. 116, comma 8, lettera a).