Contratto di somministrazione a tempo determinato dopo il Decreto dignità

Analisi delle modifiche al contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato alla luce delle modifiche apportate dal Decreto Dignità

Dal 14 luglio 2018 la disciplina del rapporto a termine tra le Agenzie per il lavoro e i somministrati è soggetta alle modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 87/2018 (cosiddetto Decreto Dignità) e dalla legge di conversione (L. n. 96/2018).

Una riforma che investe numerosi aspetti: dalla durata massima ai limiti numerici passando per l’introduzione delle causali; anche se in sede di conversione sono stati mitigati numerosi aspetti della riforma. Vediamo quindi come cambia questa tipologia contrattuale, come funziona e tutto quello che c’è da sapere in merito.

Contratto di somministrazione a tempo determinato: la durata
Premettendo che l’intero impianto del Decreto Dignità non modifica nulla del contratto di somministrazione a tempo indeterminato (cosiddetto “staff leasing”), che resta disciplinato dal Dlgs. n. 81/15 nella sua formulazione originaria, il primo aspetto su cui insiste la riforma è la durata massima.

Dal 14 luglio il rapporto tra agenzia e lavoratore è soggetto agli stessi limiti di durata del tempo determinato (peraltro anch’essi, come noto, oggetto di modifica). Ciò significa che, dalla predetta data, la durata dei rapporti intercorsi tra la stessa agenzia e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, non può superare i 24 mesi. Pena, in caso di inosservanza, la conversione a tempo indeterminato.

Somministrazione a tempo determinato e contratti a termine: i limiti al cumulo
Sebbene la norma non sia chiara, un’interpretazione prudenziale (in attesa di chiarimenti ministeriali) imporrebbe di sommare, ai fini del rispetto del limite massimo di 24 mesi, sia i periodi svolti, presso il medesimo utilizzatore, nell’ambito di un contratto di somministrazione che quelli di impiego diretto a termine per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale.

A seconda delle diverse fattispecie l’atteggiamento da seguire sarebbe:

  1. l’impiego del lavoratore in somministrazione per 24 mesi esclude l’assunzione diretta a termine presso lo stesso utilizzatore;
  2. l’impiego del lavoratore con contratti di somministrazione e di inserimento diretto a tempo determinato presso lo stesso soggetto per mansioni di pari livello e categoria legale deve sottostare al limite complessivo dei 24 mesi;
  3. il contratto a termine pari a 24 mesi esclude la somministrazione presso lo stesso soggetto.

Somministrazione a tempo determinato: le causali
Altra importante eredità della riforma è l’introduzione del meccanismo delle causali. Alla stregua del contratto a termine, anche il rapporto tra Agenzia e lavoratore dopo 12 mesi o al primo rinnovo dev’essere giustificato da:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività (dell’utilizzatore), ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria (dell’utilizzatore).

La causale, come anticipato sopra, dev’essere necessariamente indicata qualora:

  • il primo contratto intercorso tra le parti abbia una durata superiore a 12 mesi;
  • per effetto della proroga il rapporto supera i 12 mesi;
  • in tutti i casi di rinnovo.

Contratto di somministrazione lavoro a tempo determinato: i limiti numerici
Una modifica introdotta direttamente in sede di conversione riguarda la previsione di un tetto massimo al numero di somministrati presenti in azienda. Il Decreto n. 87, in vigore dal 14 luglio al 10 agosto prevedeva un limite ai somministrati se, e nella misura in cui, il contratto collettivo disciplinava in merito.

Al contrario, dall’11 agosto la legge di conversione ha precisato che, fermo restando il limite previsto per i tempi determinati, il numero di contratti a termine e in somministrazione non può eccedere complessivamente il 30% del personale in forza a tempo indeterminato presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti.

Tuttavia, anche la legge di conversione concede ai contratti collettivi (ivi compresi quelli di secondo livello) la possibilità di prevedere limiti sia maggiori che inferiori rispetto a quelli legali.  Da quanto precisato ne consegue che per un’azienda il cui contratto collettivo nulla dispone in merito, il quadro normativo da rispettare è il seguente:

  • non più del 20% di occupati a termine;
  • non più del 30% di occupati a termine cui si sommano anche i somministrati a tempo determinato.

Sempre nelle more di un chiarimento ministeriale, si ipotizza che i nuovi limiti ai contratti di somministrazione trovano applicazione per i soli contratti stipulati dall’ 11 agosto. Quelli in corso alla predetta data che dovessero eccedere il 30% potranno presumibilmente arrivare fino a naturale scadenza, senza necessità di cessarli anzitempo.

Contratto di somministrazione a termine: contributo addizionale
Altra novità paracadutata dal contratto a termine è l’aumento del contributo addizionale NASPI. Per ogni rinnovo l’importo base dell’1,40% è aumentato di 0,5 punti percentuali.

Somministrazione a tempo determinato: entrata in vigore delle modifiche
Sebbene la legge n. 96/2018 non ne faccia esplicita menzione, si ritiene applicabile anche alle somministrazioni il periodo transitorio introdotto in sede di conversione per i contratti a termine; questo in considerazione anche del clima di parificazione al tempo determinato che caratterizza l’intera riforma.

Ciò significa che le nuove norme si applicano ai contratti stipulati dal 14 luglio 2018, nonché alle proroghe e ai rinnovi successivi al 31 ottobre 2018.

 


4 Ottobre 2018