La bozza del decreto Lavoro introduce una nuova regolamentazione per il ricorso ai rapporti a termine. In un approccio di tipo sussidiario il Governo rimette alla contrattazione collettiva la disciplina del contratto a tempo determinato. Inoltre, fino a quando la contrattazione collettiva non si pronuncerà saranno le parti individuali a motivare il ricorso al prolungamento oltre i 12 mesi di un contratto a termine. Cambiano pertanto le regole che erano state introdotte dal decreto Dignità e che tanta confusione avevano creato nel mercato del lavoro.
La ministra Calderone oggi, dopo un lungo dibattito in seno alle forze di maggioranza, riscrive l’art. 19 del D.Lgs n. 81/2015 condizionando l’apposizione di un termine oltre i 12 mesi alle seguenti motivazioni:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51;
b) nelle more dell’attuazione delle disposizioni di cui alla lettera a), e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
c) in sostituzione di altri lavoratori.
Analizziamo in dettaglio la nuova disciplina del contratto a termine:
A) in applicazione al principio di sussidiarietà le regole tornano a essere dettate, nella generalità dei casi, dalla contrattazione collettiva. Il riferimento all’art. 51 D.Lgs n. 81/2015 consente a qualunque livello di contrattazione (nazionale, territoriale e aziendale) di formulare la disciplina più idonea. È da ritenersi che eventuali regole collettive definite anteriormente all’entrata in vigore del decreto possano mantenere la loro validità. La contrattazione collettiva era già il baricentro per la determinazione di altri aspetti del contratto a termine (possibile prolungamento oltre i 24 mesi, definizione del principio di stagionalità, aliquota di contingentamento), ora, riprendendo il controllo anche delle causali, la stessa contrattazione collettiva ha la piena responsabilità del governo di un contratto temporaneo che, lungi dall’essere precario, risponde a esigenze di imprese e lavoratori. Come infatti ricorda la Direttiva Comunitaria 1999/70/CE, pur affermando che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentino la forma comune dei rapporti di lavoro, i contratti a tempo determinato costituiscono una modalità “in alcuni settori, occupazioni e attività atta a soddisfare sia i datori di lavoro sia i lavoratori”. La medesima Direttiva contrasta la vera precarietà che insidia il mercato del lavoro che è cosa diversa dal contratto a tempo determinato. La precarietà è fatta di discriminazioni (dirette o indirette), di reiterazione incontrollata di contratti a termine, di simulazioni contrattuali, di finti appalti, di falsa somministrazione e di finte partite IVA.
B) fino a quando la contrattazione collettiva non si pronunci saranno le parti individuali a motivare il ricorso al prolungamento oltre i 12 mesi di un contratto a termine (ovvero il suo rinnovo). La motivazione, che dovrà essere chiaramente evidenziata nel contratto di lavoro, dovrà riferirsi a esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva. La locuzione richiama il noto “causalone” previsto dal c. 1 art. 1 del D.Lgs n. 368/2001, tra le esigenze richiamate manca solo quelle sostitutiva, che però troveremo nel punto successivo.
La possibilità per imprese e lavoratori è però limitata al 31 dicembre del 2024. Il ritorno alle causali deve far ricordare che le stesse furono “causa” di grande contenzioso. Il giudice del lavoro è stato chiamato più volte a valutare la coerenza della causale dedotta in contratto con le effettive necessità aziendali e ad analizzare la chiarezza e specificità della specifica clausola contrattuale che non avrebbe dovuto, come in molti casi invece accadde, limitarsi a generici richiami alle motivazioni legali. Ci auguriamo che le evidenze formali e la qualità lessicale adottata in un contratto di lavoro non prevalgano sulla effettività del rapporto. Quando in materia di lavoro la forma supera la sostanza siamo nella contorsione del sistema che va a svantaggio solo delle parti contraenti. Nel testo del provvedimento non si ritrova più il ricorso alla certificazione del contratto di lavoro che era stata richiamata in una delle bozze del D.L. circolate sulla stampa nei giorni scorsi. Se pur non obbligatorio ritengo consigliabile l’utilizzo di questo istituto nella circostanza in commento. La certificazione dei contratti di lavoro, introdotta con il D.Lgs n. 276/2003, ha proprio la funzione di verificare la rispondenza di un accordo con la normativa legale e contrattuale e con la volontà dei contraenti. Uno strumento utile, molto utile per un mercato trasparente e responsabile alla stregua di qualunque certificazione.
C) sulle esigenze sostitutive c’è poco da commentare. Da sempre hanno costituito il tipico esempio di ricorso al contratto a termine. Si sostituisce uno, o più lavoratori, assenti con un altro, o altri, lavoratori. La durata del contratto sarà coerente con la durata dell’assenza entro però i limiti massimi consentiti dalla legge (24 mesi). Il contratto individuale di lavoro dovrà con chiarezza identificare la connessione tra la durata del rapporto di lavoro e l’assenza e collegare il ruolo del lavoratore entrante con quello uscente.
Fin qui l’esito delle decisioni assunte dal Consiglio dei Ministri, ora comincia l’iter parlamentare in cui il testo potrà essere oggetto di emendamenti e integrazioni.
Fonte: WOLTERS KLUWER – Ipsoa Lavoro