Con riferimento al personale del comparto universitario, ai fini della validità della sanzione applicata per ragioni disciplinari, non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, quando la condotta sia immediatamente riconoscibile dal lavoratore come illecita, e sempre che siano osservate le garanzie procedurali.
Se non ricorrono i presupposti per derogare alla regola generale della pubblicità, ai fini della validità della sanzione non basta che il codice disciplinare sia presente sul sito istituzionale dell’Ateneo oppure affisso in un luogo dove il lavoratore non abbia mai occasione, per ragioni di ufficio, di recarsi.
È quanto emerge dalla Sentenza n. 25977 del 31/10/2017 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che ha definitivamente annullato le tre sanzioni disciplinari conservative inflitte da un Ateneo romano a un proprio dipendente.
Il caso – La Suprema Corte respinge il ricorso di un’Università che ha irrogato a un dipendente tre sanzioni disciplinari conservative (nella specie, sospensione dal servizio per tre giorni), in relazione a episodi ritenuti contrari al dovere del dipendente di collaborare con diligenza e mantenere nei rapporti interpersonali una condotta informata al principio di correttezza ed astenersi da comportamenti lesivi della dignità della persona.
Ad avviso della datrice di lavoro, nel primo caso, le espressioni usate nella missiva erano “finalizzate a delegittimare i preposti”; nel secondo caso, l’atteggiamento del dipendente era “volto a creare un clima di aperta ostilità e conflittualità nell’ambiente di lavoro, tale da condizionare negativamente l’ordinaria attività di servizio”; nel terzo caso, la e-mail inviata al responsabile della Divisione Servizi aveva “toni sarcastici” e l’incontro era stato richiesto “in modo irrispettoso”.
I comportamenti erano volti, quindi, “a creare intralcio all’attività dell’amministrazione e dei singoli colleghi, attraverso molteplici e ostinatamente ripetute richieste, talvolta minacciose, di informazioni, dati e colloqui diretti a vari organi e uffici dell’Ateneo, non giustificate da ragioni d’ufficio né esplicitanti il reale interesse per il quale vengono sollevate e che in realtà rivelano nel loro insieme il solo fine di contrapporsi e ostacolare l’organizzazione…”.
Dunque, secondo la Corte territoriale, nessuno dei fatti addebitati dall’Università al dipendente era connotato da disvalore etico tale da giustificare la sanzione.
Inoltre il Codice disciplinare non era stato affisso presso il luogo in cui si trovava il ricorrente, bensì presso i locali, da lui non frequentati, della Divisione Personale TAB.
A tal proposito, il Primo Giudice non avrebbe dovuto considerare sufficiente la pubblicazione del Codice sul sito web dell’Ateneo, atteso che il CCNL prevede espressamente la sua affissione in ogni posto di lavoro in luogo accessibile a tutti i dipendenti, disponendo espressamente che tale forma di pubblicità è tassativa e infungibile.
Ebbene, i Giudici di legittimità hanno confermato la decisione favorevole al lavoratore, assunta dalla Corte d’Appello di Roma.
Ricorso respinto – Nel respingere il ricorso proposto dall’Ateneo contro la decisione dei Giudici d’appello, la Suprema Corte osserva che:
“anche nel pubblico impiego contrattualizzato deve ritenersi, relativamente alle sanzioni disciplinari conservative (e non per le sole espulsive), che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del Codice disciplinare, in quanto il dipendente pubblico, come quello del settore privato, ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del Codice disciplinare, della illiceità della propria condotta“(Cass. n. 21032 del 2016, n. 1926 del 2011).
I Giudici di legittimità, poi, disattendono il motivo di ricorso incentrato sull’art. 46, comma 8, del CCNL per il personale del comparto Università, secondo cui al Codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante affissione in ogni posto di lavoro in luogo accessibile a tutti i dipendenti, con la precisazione che tale forma di pubblicità è tassativa e non può essere sostituita con altre.
Il ricorso dell’Università romana è stato in conclusione rigettato, con relativa condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.