Cambio residenza: va comunicato al datore di lavoro?

Valida la lettera di licenziamento inviata dall’azienda al vecchio indirizzo se il nuovo non è stato comunicato attraverso la produzione del certificato di residenza.

Sei stato assunto da una azienda. Ora sono passati un po’ di anni e, nel frattempo, hai cambiato casa e residenza: all’epoca della firma del contratto abitavi in un appartamento più piccolo di una periferia; ora, invece, ti sei spostato in città e l’abitazione può finalmente accogliere con comodità tutta la famiglia. Volutamente però non hai voluto comunicare il cambio residenza al tuo datore di lavoro il quale non è al corrente del nuovo indirizzo: non lo hai fatto un po’ perché ti sei dimenticato, un po’ perché ritieni che, in questo modo, eventuali comunicazioni che potrebbero essere per te pregiudizievoli – ad esempio una lettera di licenziamento – diventerebbero automaticamente inefficaci in quanto spedite in un domicilio ove tu non vivi più. Ma è legittimo un comportamento del genere? Dipende. A dare i chiarimenti è stata la Cassazione in una recente e interessante sentenza che, appunto, specifica quando il cambio residenza va comunicato al datore di lavoro.

Tutte le volte in cui il dipendente cambia residenza deve comunicarlo al proprio datore di lavoro, sempre che tale obbligo sia contenuto nel contratto collettivo di lavoro della categoria cui appartiene. Se non adempie a tale obbligo, tutte le lettere inviate dall’azienda al primo indirizzo hanno ugualmente valore. È quindi necessario leggere cosa prevede il ccnl per stabilire se è obbligo del lavoratore informare l’azienda di eventuali cambi di residenza. Per comprendere meglio la questione facciamo un esempio.

Immaginiamo un dipendente metalmeccanico il quale, dopo tre anni dalla firma del contratto di lavoro, si sposta dalla precedente casa in affitto. Nello stesso tempo cambia la residenza. Nonostante il suo contratto collettivo gli imponga di inoltrare all’azienda un certificato di residenza di data non anteriore a tre mesi, egli non adempie a tale obbligo. Per delle contestazioni successive, l’azienda decide di intimargli il licenziamento. Al lavoratore viene dato correttamente il tempo per difendersi. Egli invia così degli scritti e, nei sei giorni successivi alle sue giustificazioni  (perché questo è il termine previsto dallo specifico ccnl), il datore lo licenzia. La lettera di licenziamento però viene spedita al vecchio indirizzo. Una volta che l’azienda si è accorta del mutamento di casa, spedisce nuovamente una nuova lettera al nuovo indirizzo. Il dipendente però impugna il licenziamento perché, nel frattempo, è scaduto il termine dei 6 giorni. Può farlo?

Secondo la Cassazione, tutte le volte in cui il ccnl impone al lavoratore di comunicare il certificato di residenza al datore di lavoro, il mancato adempimento a tale obbligo fa sì che tutte le comunicazioni spedite al vecchio indirizzo abbiano valore anche se lì non vi abita più nessuno. Un rischio che corre il dipendente come sanzione per non aver rispettato l’obbligo di inviare il certificato di residenza. Risultato: nell’esempio di poc’anzi il dipendente potrà essere ugualmente licenziato.

Il consiglio pratico che può trarsi da questa sentenza è quindi quello di leggere bene il proprio contratto collettivo ed evitare di “fare i furbi” poiché, altrimenti, diventa ancora più difficile difendersi.

note
[1] Cass. sent. n. 22295/2017.


22 Novembre 2017