Assunzioni stabili dei giovani: alcune criticità che si potevano evitare [E. MASSI]

La riflessione che segue riguarda soltanto alcuni aspetti relativi allo sgravio contributivo che dal 1° gennaio 2018, in maniera strutturale, accompagna le assunzioni a tempo indeterminato dei giovani che non hanno compiuto i 30 anni (ma, tale limite, per il solo 2018, è stato elevato a 35).

C’è una premessa che, a mio avviso, è necessaria e deve, da subito, essere esternata: essa riguarda la valenza positiva del provvedimento in quanto tutto ciò che contribuisce a facilitare l’occupazione deve, sempre, essere visto con favore, pur se, confrontato con le precedenti esperienze relative al 2015 ed al 2016 (leggi n. 190/2014 e n. 205/2015), si rivolge ad una platea più ristretta, in quanto è destinato soltanto ai giovani fino ad una età prestabilita (l’assunzione agevolata degli “over 35” nel Mezzogiorno, prevista dal comma 893 è legata ad altri requisiti ed all’attuazione dei PON e dei POC, cofinanziati attraverso i fondi europei).

Detto questo, però, due sono le criticità che, almeno in questa sede intendo esaminare: la prima riguarda la definizione che il Legislatore ha dettato per il contratto a tempo indeterminato ove sia al comma 100 dell’art. 1 della legge n. 205/2017 che al successivo comma 108, ha fatto seguire nella definizione la frase “a tutele crescenti, di cui al Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 23”, mentre la seconda concerne la identificazione dei lavoratori destinatari con il requisito dell’età che sono (comma 101) coloro che non “siano stati occupati a tempo indeterminato con il medesimo o con altro datore di lavoro, fatto salvo quanto previsto dal comma 103 (ove si parla della portabilità dell’incentivo residuo da parte del lavoratore licenziato da primo datore). Non sono ostativi al riconoscimento dell’esonero gli eventuali periodi di apprendistato presso un altro datore di lavoro e non proseguiti in rapporto a tempo indeterminato”.

Assunzioni “a tutele crescenti”

La prima questione da esaminare riguarda la dizione di “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”: il Legislatore ha voluto dire qualcosa in particolare o no atteso che tutti i rapporti subordinati  a tempo indeterminato sono, a partire dal 7 marzo 2015, a tutele crescenti, condizione che, però, è bene sottolinearlo, scatta al momento della risoluzione del rapporto per licenziamento con applicazione degli articoli 2, 3 e 10 (quest’ultimo per i recessi al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale)?

A mio avviso, non ha un significato particolare, pur se già tra alcuni operatori, sta passando la tesi che lo sgravio contributivo non trovi applicazione presso quei datori di lavoro che, in virtù di accordi individuali o collettivi, riconoscono a tutto il personale, in caso di licenziamento (cosa, evidentemente, non certa ed auspicabile) le garanzie previste dall’art. 18 della legge n. 300/1970.

Tale tesi, soprattutto se sarà supportata da un qualche orientamento amministrativo, non appare assolutamente pertinente in quanto non si può correlare lo sgravio contributivo che attiene al momento della instaurazione del rapporto ad un qualcosa di eventuale ove le tutele, ai fini della salvaguardia occupazionale, sono, in linea di massima, più “solide”, rispetto a quelle del D.L. vo n. 23/2015. Va, peraltro, ricordato come tali accordi potrebbero avere anche una valenza derogatoria prevista espressamente dalla legge, se avvenuti ex art. 8, comma 2, della legge n. 148/2011 ove, a fronte di obiettivi di scopo, si può intervenire legittimamente sulle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”.

Detto questo, si porrebbe, poi, un’altra questione pratica: come farebbero, nella sostanza, gli organi di vigilanza dell’Istituto a controllare tutti gli eventuali accordi sindacali od individuali stipulati anche durante la vigenza dei rapporti di lavoro (si pensi, ad esempio, alla ipotesi di un contratto integrativo aziendale ove, a fronte di concessioni che riguardano la gestione complessiva della vita aziendale – maggiore flessibilità, turni aggiuntivi, ecc. – si conviene di derogare alla previsione del D.L.vo n. 23/2015)?

Precedenti rapporti di lavoro

La seconda questione riguarda la sussistenza di una condizione, secondo il Legislatore, imprescindibile: il giovane non deve aver avuto precedenti rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con la sola eccezione del periodo di apprendistato “non consolidatosi” al termine del periodo formativo. Si ha motivo di ritenere che in tale ambito non rientrino i contratti di lavoro intermittente a tempo indeterminato ove la prestazione non è “stabile” ma “discontinua”, dipendendo unicamente dalla “chiamata” del datore e precedenti contratti di somministrazione in “staff-leasing” che nel c.d. “codice dei contratti” trovano, essenzialmente, una loro specifica disciplina negli articoli 31 e 34.

La preoccupazione del Legislatore che traspare, chiaramente, dal dettato normativo è quella di evitare che alcuni datori di lavoro, dopo aver fruito degli esoneri triennali o biennali degli anni passati, dopo aver risolto il rapporto con i giovani lavoratori a suo tempo assunti, potessero fruire, per gli stessi o per altri lavoratori (magari, licenziati da altri datori) del nuovo sgravio contributivo. In tale ottica la norma vieta, giustamente, l’assunzione se negli ultimi sei mesi, nell’unità produttiva interessata (per l’individuazione possono valere i criteri previsti dalla circolare INPS n. 9/2017), si è proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (senza alcuna correlazione con la qualifica del giovane da assumere) o a seguito di procedura collettiva per riduzione di personale e, al contempo (comma 105), il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del giovane assunto o di altro lavoratore inquadrato nella medesima qualifica nei sei mesi successivi alla instaurazione del rapporto, comporta la revoca delle agevolazioni. Da quanto appena detto, restano fuori le ipotesi di risoluzione del rapporto legate ad un recesso per giustificato motivo soggettivo, per giusta causa, per dimissioni, per pensionamento o per anticipo pensionistico sia attraverso l’APE, che la RITA, che la c.d. “Isopensione” (art. 4, commi da 1 a 7-ter della legge n. 92/2012), che raggiunto attraverso le norme agevolative per i lavoratori “usurati” e per quelli “precoci”.

La dizione adoperata dal Legislatore rischia, a mio avviso, di essere particolarmente penalizzante per i giovani e per i datori di lavoro.

Cerco, brevemente, di spiegarne le ragioni.

Se un giovane ha avuto, prima dei 30 anni (ma quest’anno prima dei 35) un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non ha speranze: il datore di lavoro, invogliato, dallo sgravio contributivo (a meno che non ci si trovi in presenza di qualifiche, almeno a livello potenziale, abbastanza appetibili) sceglierà un altro lavoratore. Se si vanno a verificare i singoli casi, il giovane lavoratore potrebbe aver avuto un breve rapporto risoltosi per le cause più svariate, non ultima quella della risoluzione del contratto per una situazione di crisi aziendale o per proprie difficoltà personali o anche, per mancato superamento del periodo di prova (su quest’ultimo punto sarebbe auspicabile una interpretazione amministrativa “aperta”).

Ma pensiamo anche alle giovani lavoratrici: il rapporto a tempo indeterminato potrebbe, ad esempio, essersi risolto per dimissioni nel c.d. “periodo protetto”, confermate davanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. Nel caso in cui, dopo il periodo “di assestamento”, dovuto alla maternità, intendessero ricominciare a lavorare con un altro datore con un contratto a tempo indeterminato (magari, anche a tempo parziale), pur avendo i requisiti anagrafici, non potrebbero “portare in dote” lo sgravio contributivo con un indubbio aggravio della loro posizione personale.

Lo stesso discorso si può fare per alcune giovani lavoratrici che non hanno la ribalta dei “media” perché non sono “donne del mondo dello spettacolo”, ma che si dimettono, senza fare alcuna denuncia, da un contratto a tempo indeterminato per “sfuggire” ad alcune attenzioni particolari: se trovano una nuova occupazione “stabile” non possono portare alcun vantaggio a chi le assume, sotto forma di incentivo contributivo.

Tutto questo, a mio avviso, si sarebbe potuto superare attraverso una diversa dizione del comma 101 (cosa, purtroppo, non avvenuta) “agganciando” lo sgravio contributivo ad un divieto assoluto di assunzione presso un datore di lavoro ove il giovane era stato già in forza a tempo indeterminato ed estendendo tale divieto alle società collegate e controllate (art. 2359 c.c.) o riferibili, anche per interposta persona, allo stesso proprietario e mettendo, come nella legge n. 190/2014, ad esempio, un “intervallo” di sei mesi  dalla fine del precedente rapporto, prima della stipula del nuovo contratto a tempo indeterminato con un altro datore.

Passo, ora, ad esaminare le difficoltà che, presumibilmente, troveranno i datori di lavoro privati (imprese, studi professionali, associazioni, fondazioni, Enti pubblici Economici, Aziende private a capitale totalmente o parzialmente pubblico, ecc.).

Non esiste, ad oggi, una banca dati totalmente disponibile dai servizi per l’impiego operanti, alle dipendenze delle singole Regioni, su tutto il territorio nazionale. E’ pur vero che il comma 801 impegna l’ANPAL (l’Agenzia per le Politiche Attive del Lavoro) a fornire i dati relativi allo stato di disoccupazione dei lavoratori alle Agenzie di Lavoro ed ai soggetti accreditati ex art. 12 del D.L.vo n. 150/2015 (tra cui la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro) ma è pur vero che si tratta di dati che saranno forniti (quando tutto sarà a regime) soltanto ad alcuni soggetti. In ogni caso, pur se questa banca dati fosse, in tempi brevi, completa e disponibile, essa non potrebbe partire che dal marzo 2008, ossia da quando le comunicazioni di assunzioni sono divenute telematiche. La questione non appare secondaria in quanto lo sgravio contributivo nel 2018 riguarda anche i giovani trentacinquenni che nel 2008 avevano 25 anni e che, negli anni antecedenti, potrebbero aver avuto un rapporto a tempo indeterminato.

Forse, una soluzione potrebbe giungere dai sistemi informatici dell’INPS, qualora fosse messo a disposizione un programma che, nel rispetto della “privacy”, ponga a disposizione degli utenti una serie di dati in possesso dell’Istituto e che sono antecedenti anche al 2008. Con tale sistema potrebbe essere risolta alche la questione dell’ampiezza del residuo “sgravio contributivo” (comma 103) di cui è portatore il lavoratore, indipendentemente dall’età anagrafica, qualora lo stesso sia stato solo parzialmente fruito dal precedente datore (perché il rapporto si è risolto prima dei tre anni): si tratta di un dato importante che consente ad un imprenditore interessato all’assunzione di conoscere, con sicurezza, l’ammontare del beneficio contributivo residuo.

Torno, a questo punto, ad esaminare altre possibili soluzioni praticabili, in attesa delle auspicabili novità informatiche.

Un eventuale certificato “storico” rilasciato da un centro per l’impiego, non essendoci, oggi, una interazione telematica con tutti gli altri servizi operanti nel territorio nazionale potrà attestare soltanto ciò che risulta avvenuto e comunicato nel proprio ambito territoriale di competenza e una eventuale dichiarazione di responsabilità del lavoratore relativa all’assenza di precedenti rapporti a tempo indeterminato, seppur importante, non esime dalla responsabilità il datore in caso di accertamenti svolti dall’INPS.

Agli accertamenti dell’Istituto è strettamente correlato un altro problema, verificatosi in sede di controllo dei requisiti per il riconoscimento dei benefici della legge n. 190/2014: quello di un contratto di collaborazione, anche a progetto, riguardante il passato lavorativo del giovane anche presso altro datore, riconvertito, con prove e nei limiti prescrizionali, a rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Qui, si potrebbe verificare, a causa della previsione normativa che esclude il beneficio nell’ipotesi in cui vi sia stato un precedente rapporto subordinato di tal genere, un effetto “indotto” della sanzione che, adottata per un determinato datore, riverbera le conseguenze su un altro datore.

È auspicabile che in sede amministrativa l’INPS o il Ministero del Lavoro, se riterrà opportuno esprimere i propri indirizzi, attenuino le rigidità delle disposizioni, intervenendo su alcuni aspetti paradossali alle quali le stesse potrebbero condurre.


27 Gennaio 2018


Fonte : Dottrina Lavoro