Le questioni relative al lavoro dei cittadini extra comunitari privi del permesso di soggiorno sono, purtroppo, sempre all’ordine del giorno e gli addetti alla vigilanza, nel corso dei propri accessi ispettivi, si trovano ad affrontare una serie di situazioni tra loro correlate, atteso che le prestazioni di tali lavoratori, avvengono “in nero” a scapito di qualsiasi forma di tutela di salute e sicurezza sul lavoro, nel disprezzo dei trattamenti economici previsti dai contratti collettivi ed il reato di caporalato è sempre più presente con forme di sfruttamento determinate da condizioni di estremo bisogno. È, questa una piaga che i controlli degli organi di vigilanza e le forze dell’ordine non riescono a sradicare completamente e, sicuramente, sarebbero necessarie misure più drastiche di natura penale.
Il reato di assunzione irregolare: cosa dice l’art. 22 del D.L.vo 286/1998
Questa breve premessa si è resa necessaria per affrontare un tema, quello della assunzione di cittadini extra comunitari privi del permesso di soggiorno rispetto al quale, di recente, la prima sezione penale della Cassazione è tornata da occuparsi con la sentenza n. 37866 del 15 ottobre 2024.
Sto parlando, come ben si comprende, del reato previsto dall’art. 22 del D.L.vo n. 286/1998 che punisce il datore di lavoro che impieghi per sé o recluti lavoratori per farli lavorare presso altri: con tale dizione, afferma la Suprema Corte, non si comprende soltanto l’imprenditore che pone in essere una attività organizzata, ma anche il semplice cittadino che assume alle proprie dipendenze una lavoratrice destinata a svolgere una qualsiasi attività subordinata attraverso un rapporto a termine o a tempo indeterminato come, ad esempio, una badante.
Per tale tipo di reato la norma edittale (che si applica anche in presenza di un permesso scaduto o non rinnovato) prevede per il datore la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa di 5.000 euro per ogni cittadino extracomunitario irregolare impiegato.
Un caso emblematico: la sentenza della Cassazione n. 37866 del 2024
Il caso di specie esaminato dalla Cassazione ha riguardato una persona che, in primo grado, era stato condannato, come datore di lavoro, per aver assunto una cittadina di origine moldava, priva del permesso di soggiorno, destinata ad assistere i propri genitori anziani.
In Appello la decisione era stata ribaltata con la motivazione che l’imputato non aveva commesso il fatto atteso che per i giudici di secondo grado la persona non aveva assunto la qualità di datore di lavoro “essendosi accertato che il padre, sebbene anziano, era un soggetto autosufficiente in grado di gestire i propri interessi, ivi compreso il pagamento della retribuzione mensile”.
Il ruolo del datore di lavoro: chiarimenti dalla Cassazione
Pronunciandosi definitivamente, la Corte ha annullato, con rinvio, la decisione, affermando che si definisce datore di lavoro, ai sensi dell’art. 22, comma 12, del D.L.vo n. 286/1998, anche il semplice cittadino che assume per sé o li recluta per altri lavoratori privi del permesso di soggiorno: nel caso di specie, la persona ha avuto un comportamento attivo, in quanto ha contattato la badante e l’ha, sostanzialmente, assunta, a causa delle precarie condizioni di salute dei propri genitori, riservandosi di regolarizzarla in un momento successivo, cosa mai avvenuta (anzi, da un certo momento in poi, le intimò di non presentarsi più al lavoro).
Rischi e conseguenze per i datori di lavoro domestici
La decisione della Cassazione richiama una precedente sentenza dello stesso organo, la n. 12686 del 27 marzo 2023, con la quale si afferma che la previsione dell’art. 22, comma 6, è quella di un “reato proprio” che può essere commesso soltanto dal datore di lavoro: tale qualificazione non va intesa in senso formale, ma ricorre ogni volta che la prestazione lavorativa del dipendente extra comunitario si svolga nell’interesse e sotto la direzione dell’agente (nel nostro caso il figlio dei genitori anziani).
Un brevissimo commento: la decisione della Cassazione deve richiamare l’attenzione di molti datori di lavoro domestici o di altri soggetti che, nella sostanza lo sono, quando occupano badanti e domestiche prive del permesso di soggiorno: il rischio è molto grande non soltanto, in caso di controlli, per i contributi non versati ma anche, perché, penalmente, non conviene, assolutamente, violare la legge.