Assenze per maltempo, giustificabili o no?

L’ultima settimana di febbraio 2018 è stata caratterizzata da un’ondata di maltempo che, sebbene prevista con largo anticipo, ha mandato in tilt le strade e i mezzi di trasporto di gran parte dell’Italia, con pesanti ripercussioni per i datori di lavoro che si sono trovati con i dipendenti dimezzati e riflessi negativi sulla produttività e sul rispetto dei tempi di consegna delle commesse. Ma le assenze per maltempo sono sempre giustificabili? Quali sono i doveri del lavoratore? Si è legittimati ad avvertire il proprio impedimento a raggiungere il posto di lavoro a causa della neve? Si ha diritto ugualmente alla retribuzione?

Non c’è una risposta univoca e le analisi che deve compiere un datore di lavoro davanti a questo tipo di assenze sono molteplici. Una prima considerazione da fare è che l’onere della prova dell’impedimento a raggiungere il luogo di lavoro ricade sul lavoratore che è tenuto anche ad avvertire tempestivamente il datore sulla propria impossibilità di spostarsi.

In una situazione meteorologica analoga, già nel 2012, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, confermando il parere già manifestato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, era intervenuto con l’interpello n. 15/2012, infatti, proprio per esprimersi sulla retribuzione giornaliera e sul mancato svolgimento della prestazione lavorativa causa neve. Le giornate del 3, 4, 6, 10 e 11 febbraio del 2012 furono caratterizzate da una pioggia (per restare in gergo) di ordinanze emanate da autorità pubbliche dei territori colpiti dal maltempo, che disposero la chiusura degli uffici pubblici e il divieto di circolazione per i mezzi privati sprovvisti di catene e/o gomme termiche. Tralasciando il settore pubblico, per il quale la disposizione di chiusura degli uffici legittima l’assenza degli impiegati ai quali è impedito in maniera oggettiva ed assoluta di adempiere alla prestazione (con obbligo datoriale di corrispondere comunque l’intera retribuzione), interessiamoci al settore privato. Secondo il Ministero, per i lavoratori del settore privato “il provvedimento autoritativo concernente il divieto di circolazione dei mezzi privati sprovvisti di apposite catene non costituisce impedimento di carattere assoluto all’effettuazione della prestazione lavorativa”, perché le limitazioni al trasporto non ostacolano la libera scelta imprenditoriale di non interrompere l’attività di impresa del proprio settore di appartenenza.

Nell’Interpello si precisa anche che, qualora il lavoratore sia però impossibilitato ad adempiere alla prestazione per cause non a lui imputabili (art. 1218 c.c.) e giustifichi tempestivamente la propria assenza nel rispetto dell’obbligo di diligenza (art. 2104 c.c.), non può essere rimproverato disciplinarmente. Resta inteso che l’impossibilità sopravvenuta, salvo diverse previsioni del CCNL sul caso, libera entrambi i contraenti e, se è vero che il dipendente non è costretto all’obbligo della prestazione, il datore è libero di non erogare la retribuzione pur giustificando l’assenza.

Nel caso in cui l’azienda dovesse decidere di giustificare l’assenza e di retribuirla, è consigliabile scalare le ore di permesso e non le ferie; queste ultime, infatti, dovranno essere comunque consumate entro 18 mesi dalla loro data di maturazione (art. 10 D.lgs. 66/2003) salvo diverse disposizioni del CCNL, che può eventualmente prolungare il tempo massimo per la fruizione delle stesse. Le ore di permesso spettanti annualmente, invece, devono essere richieste dal lavoratore per sue esigenze personali, ma in caso di mancato godimento è dovuto il trattamento economico sostitutivo l’anno successivo, entro i termini stabiliti dalla contrattazione collettiva. Se pensiamo che in contratti come il commercio le ROL (Riduzione Orario di Lavoro) possono arrivare a 104 ore annue, è facile immaginare l’aggravio di costo del lavoro per il datore che deve liquidare i permessi non goduti ai propri dipendenti. Vi sono poi CCNL che prevedono un monte ore di permessi annui proprio per giustificare le assenze in caso di maltempo, altri invece (es. edilizia) prevedono la possibilità di richiedere la cassa integrazione quando si è impossibilitati all’adempimento della prestazione per il maltempo.

Qualora la scelta datoriale, infine, sia quella di chiudere gli uffici e sospendere l’attività per le avverse condizioni meteorologiche, le giornate di mancata prestazione lavorativa dovranno essere retribuite regolarmente e le parti potranno accordarsi su come trattare l’assenza in busta paga: ferie, permessi, recupero delle ore.
Se non dovesse ricorrere alcuna delle condizioni espresse, può trovare applicazione quanto disposto dall’art. 2106 del codice civile che legittima l’addebito disciplinare al lavoratore che si assenta senza provare l’impossibilità concreta di adempiere alla obbligazione.

il Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro Rosario De Luca, intervistato sull’argomento, ha precisato che “L’evento atmosferico eccezionale è certamente un motivo di giustificazione, ma se il lavoratore abita nei pressi del posto di lavoro resta più difficile accettarlo come tale”.

È anche utile ricordare che, grazie alla tecnologia, è oggi sempre più diffuso l’utilizzo del lavoro agile e del telelavoro che sono altre modalità che consentono di concretizzare la propria attività lavorativa svolgendo la prestazione senza recarsi nella sede di lavoro aziendale ma effettuandola da casa o da altro luogo prescelto dal lavoratore. Laddove la prestazione avvenga in modalità smart working, il lavoratore ha diritto alla retribuzione di una normale giornata di lavoro e l’utilizzo di queste nuove forme di lavoro flessibile, quando ne è possibile l’attuazione, costituisce un buon diversivo al blocco totale dell’attività nei casi di difficoltà di spostamento per maltempo.


5 Marzo 2018


Fonte : Fiscal Focus