Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale il decreto Dignità, fortemente voluto dal Ministro del Lavoro e del Welfare Luigi Di Maio, entra in vigore e diviene immediatamente applicabile. Tuttavia non si preannuncia semplice il confronto alle Camere sul testo di conversione in legge del decreto, stante la forte opposizione in materia di causali e aggravio del contributo addizionale di finanziamento della NASPI.
Il Decreto Dignità infatti, forte della dichiarata finalità di contrasto al ricorso al precariato, giudicato “eccessivo”, pone precisi limiti quantitativi e qualitativi ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati o rinnovati per un periodo maggiore di 12 mesi.
Al momento, comunque, la disciplina dettata dal decreto legge entra in vigore e si applica ai nuovi contratti di lavoro a termine e anche ai rinnovi e alle proroghe dei contratti già in corso.
Durata massima del contratto – Al contratto di lavoro subordinato, in fase di prima stipula e senza alcuna causale giustificativa, può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi.
Qualora il termine abbia durata superiore è necessario che ricorra e sia dimostrabile una delle seguenti condizioni:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.
La durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti non può in ogni caso superare i ventiquattro mesi.
N.B. Il computo del periodo massimo di durata dei rapporti a termine riguarda i contratti conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale.
Esso inoltre, come già previsto in precedenza, viene computato con riferimento all’intero arco della vita lavorativa del lavoratore con il medesimo datore di lavoro, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro.
Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.
La violazione del termine di 24 mesi comporta la conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato a partire dalla data in cui è avvenuto tale superamento.
Eccezioni – Il legislatore mantiene:
la facoltà, concessa alla contrattazione collettiva, di prevedere regole diverse, in deroga alla normativa;
l’eccezione da sempre ammessa in favore delle attività stagionali, in relazione alle quali i contratti possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni legittimanti.
L’esclusione dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, per i quali continuano a valere le disposizione previgenti.
Viene inoltre confermata la possibilità di stipulare, una volta raggiunto il limite massimo di durata, un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso la direzione territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.
Forma scritta obbligatoria – Con l’eccezione dei rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni, l’apposizione del termine del contratto è priva di effetto se non risulta da un atto scritto in cui siano specificate, in caso di rinnovo o di proroga, le esigenze che ne hanno determinato la necessità. Una copia dello stesso deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione.
N.B. In caso di proroga dello stesso rapporto tale indicazione è necessaria solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi.
Proroghe e rinnovi – Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a ventiquattro mesi, e, comunque, per un massimo di quattro volte nell’arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.
Il decreto non modifica la disciplina della c.d. “coda contrattuale”: qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
Decadenza e tutele – il decreto concede inoltre ai lavoratori più tempo per contestare la legittimità del contratto: l’’impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire entro centottanta giorni dalla cessazione del singolo contratto.
Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa – Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.
Disciplina dei rapporti di lavoro – In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina innovata dal Decreto Dignità ma il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore.
Il lavoratore somministrato non è computato nell’organico dell’utilizzatore ai fini dell’applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Contributo addizionale NASPI – Ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato si applica un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Tale aliquota è aumentata di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
Le disposizioni non si applicano ai contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione per i quali continua ad applicarsi la disciplina anteriore all’entrata in vigore del presente decreto.
Deroga comparto scuola – Al fine di salvaguardare la continuità didattica nell’interesse degli alunni, in vista dell’avvio dell’anno scolastico 2018/2019, il decreto prevede che l’esecuzione delle decisioni giurisdizionali che comportano la decadenza dei contratti, sia a tempo determinato che indeterminato, già stipulati, avvenga entro 120 giorni ricorrenti dalla data di comunicazione del provvedimento giurisdizionale al Ministero dell’Istruzione.
Contrasto alle delocalizzazioni – Fatti salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso ovvero un’attività analoga o una loro parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione Europea entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.
L’importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è, comunque, maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali.
Le imprese italiane ed estere che beneficiano di misure di aiuto di Stato operanti nel territorio nazionale che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale qualora, al di fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riducano i livelli occupazionali degli addetti all’unità produttiva o all’attività interessata dal beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell’investimento decadono dal beneficio in presenza di una riduzione superiore al 10%; la decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50%.