Con la circolare n. 5/E del 29 marzo 2018, l’ Agenzia delle Entrate, d’intesa con il Ministero del Lavoro, fornisce una serie di interpretazioni legate ai premi di risultato ed al welfare aziendale, particolarmente necessari anche alla luce delle novità introdotte nel corso del 2017 e, poi, con la legge di Bilancio in vigore dal 1° gennaio 2018.
Si tratta di un chiarimento amministrativo particolarmente puntuale che, per l’ampiezza degli argomenti trattati nelle 45 pagine che lo compongono, necessita di particolari approfondimenti.
La riflessione che segue si pone l’obiettivo di porre in evidenza soltanto alcuni aspetti che si ritengono particolarmente interessanti.
Prima di entrare nel merito di alcune puntualizzazioni è opportuno ricordare che, come chiarito dalle circolari n. 5/E del 2018 e n. 28/E del 2016 (inerenti a premi di risultato e welfare aziendale):
- possono fruire dell’imposta sostitutiva del 10% correlata ai premi di risultato i lavoratori che operano nel settore privato (vi rientrano anche le imprese private a capitale pubblico ma ne sono escluse le Pubbliche Amministrazioni ricomprese all’interno dell’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001, oltreché le c.d. “Authority” ed altri soggetti pubblici) che nell’anno precedente a quello in cui il premio viene percepito, siano stati titolari di un reddito da lavoro dipendente non superiore ad 80.000 euro (limite che supera ampiamente quello fissato in 50.000 euro dalla legge n. 208/2015). Gli 80.000 euro fanno riferimento al reddito soggetto a tassazione progressiva e non comprendono quello assoggettato a tassazione separata, i premi di risultato sui quali si paga l’imposta sostitutiva, con la sola eccezione di quelli corrisposti sotto forma di benefit esclusi da tassazione;
- il nuovo limite di reddito trova applicazione ai premi di risultato corrisposti nel corso del 2017, pur se maturati in precedenza (vige il “principio di cassa”) o a seguito di accordi collettivi già stipulati;
- l’importo del premio che può essere assoggettato alla imposta sostitutiva del 10% non può superare i 3.000 euro (nel 2016 erano 2.000) o 4.000 (prima 2.500) qualora vi sia stato un coinvolgimento paritetico dei lavoratori nella organizzazione del lavoro;
- l’importo del premio di risultato può essere differenziato in relazione ai criteri di misurazione delle c.d. “performance individuali”;
- il premio di risultato deve essere correlato ad un incremento che può riguardare la produttività, la qualità, la redditività, l’innovazione o l’efficienza, secondo gli obiettivi fissati nell’accordo aziendale od in quello territoriale;
- nel caso in cui il raggiungimento del premio sia correlato ad obiettivi diversi e tra loro anche alternativi, l’imposta sostitutiva viene ritenuta legittima pur se il lavoratore ha raggiunto soltanto un obiettivo;
- la determinazione del periodo congruo per la verifica degli incrementi è rimessa alla contrattazione di secondo livello e può essere annuale, infra annuale o ultra annuale: ciò che conta è che il risultato conseguito sia misurabile e risulti migliore rispetto al livello antecedente il periodo preso in considerazione;
- in caso di carenza di RSA o RSU, il datore di lavoro potrà recepire un contratto territoriale di settore o, in mancanza, un contratto territoriale che ritenga aderente alla propria realtà, dandone comunicazione ai lavoratori: la circolare n. 5/E afferma al punto 4.4 che il recepimento dell’accordo varrà “non soltanto per la parte agevolativa, ma anche per la regolamentazione di altri aspetti del rapporto di lavoro”.
La circolare n. 5/E chiarisce, innanzitutto, una questione che si era presentata nelle aziende: il pagamento anticipato, a titolo di acconto, di parte del premio di risultato, alla luce anche di previsioni contenute nella contrattazione collettiva.
La risposta fornita è positiva: l’imposta sostitutiva può essere applicata anche agli acconti a condizione che, all’atto della corresponsione, sia stato già riscontrato un valore incrementale. Ovviamente, recita la nota dell’ Agenzia delle Entrate al punto 4.7, sul datore grava l’onere della verifica effettuata circa il raggiungimento dell’obiettivo.
Nel caso in cui siano previsti più acconti (ad esempio, per trimestri), occorrerà sommare il risultato dell’ultimo trimestre con quelli precedenti: l’imposta sostitutiva si applica se il risultato complessivo risulti incrementale rispetto al parametro previsto nell’accordo collettivo. Ovviamente, qualora alla fine del periodo considerato non si registri l’incremento individuato nel contratto, il datore di lavoro è tenuto a recuperare le minori imposte versate in occasione degli acconti o indicare ai dipendenti interessati di provvedere in sede di dichiarazione.
Altra questione di particolare importanza concerne una novità introdotta con le leggi n. 205/2017: la conversione degli importi monetari dei premi di risultato che fruiscono dell’imposta sostitutiva del 10% nei benefit di cui si occupa il TUIR all’art. 51, comma 4.
La circolare n. 5/E se ne occupa in diversi paragrafi del punto 2, sottolineando come la legge n. 205 affermi che gli stessi benefit, erogati in sostituzione dei premi di risultato concorrono a formare reddito di lavoro dipendente secondo le regole previste.
La nota dell’ Agenzia delle Entrate mette in evidenza che essi vanno assoggettati a tassazione ordinaria assumendo come base imponibile il valore determinato sulla base dei criteri dettati da predetto comma 4.
Ma, di cosa si tratta?
Si tratta di benefit che, in deroga al “valore normale”, sono specificati in modo diverso. Essi sono:
- le auto ed i motocicli ad uso promiscuo: viene assunto come valore il 30% dell’importo corrispondente ad un percorso di 15.000 Km. (valore convenzionale), calcolato in base alle tabelle ACI;
- prestiti da parte del datore di lavoro: viene assunto, quale valore, “il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi”;
- fabbricati in locazione, uso o comodato: la circolare ricorda che ai sensi dell’art. 51, comma 4, lettera c) del TUIR il valore del reddito da lavoro dipendente è pari alla “differenza tra la rendita catastale del fabbricato aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell’utilizzatore e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso. Per i fabbricati concessi in connessione all’obbligo di dimorare nell’alloggio stesso, si assume il 30% della predetta differenza”.
Le ipotesi appena evidenziate sembrano più onerose della semplice detassazione del premio di risultato che è pari al 10%, in quanto l’IRPEF applicata risente della progressività.
Altra questione che merita una particolare attenzione è quella relativa ai contributi e premi versati dal datore di lavoro per polizze che hanno come obiettivo quello di assicurare terapie lunghe e malattie gravi
Si tratta della lettera f-quater dell’art. 51, comma 2, del TUIR il quale afferma anche che non concorrono a formare reddito “i contributi ed i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti (quindi, anche con regolamento aziendale) per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, le cui caratteristiche sono definite dal D.M. del Ministro del Lavoro 27 ottobre 2009 (art. 2, comma 2, lettera d, numeri 1 e 2) o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie”.
Si tratta, come ricordato dalla relazione illustrativa alla legge di bilancio delle polizze “Long Term Care” e “Dread Disease”.
Le prime si riferiscono al sostentamento di spese per lunga degenza, le seconde sono dirette a garantire una copertura contro il rischio di insorgenza di malattie di una certa gravità.
Il D.M. del 2009 fa riferimento a:
- prestazioni sociali a rilevanza sanitaria in favore di persone non autosufficienti finalizzate a favorire sia la permanenza a domicilio che quelle di ospitalità in strutture residenziali o semi residenziali per persone non assistibili a domicilio;
- prestazioni sanitarie di rilevanza sociale, correlate alla natura del bisogno, da garantire alle persone non autosufficienti in ambito domiciliare, residenziale o semi residenziale, articolate sulla base della intensità, della durata e della complessità.
L’ Agenzia delle Entrate chiarisce che le parole “contributi e premi” senza alcuna ulteriore specificazione fanno si che beneficiano dell’esenzione sia i contributi versati a casse con fini assistenziali che quelli versati a fondi sanitari non iscritti all’anagrafe e agli Enti bilaterali.
Due considerazioni si rendono necessarie.
La prima è che i premi versati, non concorrendo a formare reddito, non generano alcuna detrazione d’imposta ex art. 15, comma 1, lettera f) del TUIR.
La seconda concerne la possibilità che le polizze “coprano” anche i familiari: in questo caso la quota parte del premio concorre a formare reddito e, di conseguenza, è applicabile per quest’ultima la detrazione di imposta.
La circolare n. 5/E si occupa, poi, delle somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale o interregionale. La questione viene affrontata e risolta al punto 3.3.
Esse sono detassate: ovviamente, il datore di lavoro deve conservare le c.d. “pezze di appoggio” a conferma che le stesse sono state utilizzate dal dipendente per le finalità previste dal Legislatore. Il beneficio viene riconosciuto sia nella ipotesi in cui lo stesso sia stato erogato dal datore su base volontaria sia che discenda da disposizioni contenute in un accordo collettivo o in un regolamento aziendale. Non sono compresi nel beneficio i titoli di viaggio giornaliero anche di durata superiore alla giornata.
Un altro problema sul quale si è soffermata l’Agenzia delle Entrate e che richiedeva delle delucidazioni è quello del coinvolgimento paritetico dei lavoratori, cosa che consente di elevare a 4.000 euro il limite reddituale soggetto a tassazione del 10%. Se ne parla al punto 2.1 della circolare e si mette in evidenza, al di là di quanto già affermato con la circolare n. 28/E del 2016, che il coinvolgimento paritetico avviene attraverso schemi organizzativi che permettono la partecipazione attiva dei lavoratori nei processi innovativi e di miglioramento delle prestazioni d’impresa, con incrementi di produttività e di efficienza e di miglioramento qualitativo del lavoro.
Di qui la necessità della elaborazione di un Piano di Innovazione, redatto secondo le indicazioni riportate nell’accordo collettivo, fermo restando che il mero addestramento o la semplice formazione non possono essere considerati “strumento di coinvolgimento”.
Ma, quali sono i contenuti del Piano di Innovazione? La circolare n. 5/E prevede:
- disamina del contesto di partenza;
- azioni partecipative, schemi organizzativi da attuare e indicatori;
- risultati attesi;
- ruolo delle rappresentanze sindacali dei lavoratori (RSA o RSU), se costituite;
- progetti già avviati e da completare sotto l’aspetto degli obiettivi incrementali o progetti da avviare.
La circolare distingue a titolo puramente esemplificativo tra “schemi organizzativi partecipati (“SOP”) e “programmi di gestione partecipata” (“PGP”).
Nei primi occorre una comunicazione strutturata tra lavoratori e datore di lavoro (gruppi di progetto finalizzati a migliorare le singole unità produttive, formazione specialistica mirata all’innovazione, sistemi di gestione dei suggerimenti forniti dai dipendenti coinvolti, workshop, focus, seminari interattivi.
Nei secondi che riguardano forme di partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione delle attività e delle conoscenze produttive, la circolare n. 5/E annovera il lavoro in team pianificato, con assegnazione, anche parziale di obiettivi produttivi anche con polivalenza e rotazione nelle mansioni. I programmi di gestione della flessibilità spazio-temporale del lavoro con modalità condivisa tra azienda e lavoratori (smart working, banca delle ore, autogestione dei turni, ecc.).