Stop ai “contratti pirata” per evitare effetto “dumping”
Con la Circolare n. 3/2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, è stato nuovamente chiarito quello che è l’orientamento degli ispettori del lavoro laddove le aziende non applichino i contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’intervento di prassi non lascia spazio ad interpretazioni fuorvianti: i contratti collettivi che non godono della “maggiore rappresentatività” in termini comparativi, e quindi non sottoscritti dalle oo.ss. più rappresentativi (CGIL, CISL e UIL), perdono ogni efficacia.
Attenzione. Ciò significa che laddove un’impresa applica un CCNL non maggiormente rappresentativo, in sede di accertamento, il personale ispettivo può adottare una serie di provvedimenti, come per esempio il recupero di eventuali benefici contributivi fruiti per quel determinato rapporto di lavoro ritenuto appunto irregolare.
Validi solo i CCNL “leader” – Il chiarimento dell’INL si è reso necessario a seguito di alcune segnalazioni che evidenziano specifiche problematiche legate alla mancata applicazione dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Il cambio di rotta si è avuto con il D.Lgs. n. 81/2015, ed in particolare all’art. 51, il quale stabilisce espressamente che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Nel tutelare le aziende dal sempre più frequente fenomeno del “dumping”, spingendo le stesse ad applicare solo i c.d. “contratti leader”, l’INL motiva tale decisione ricordando che l’ordinamento riserva l’applicazione di determinate discipline subordinatamente alla sottoscrizione o applicazione di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi. Infatti, in materia di contratti di prossimità (art. 8 del D.L. n. 138/2011), eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati” non possono evidentemente produrre effetti derogatori, come prevede il Legislatore, “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.
Conseguenze – Quali conseguenze porta la mancata applicazione dei contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale?
Ebbene, in sede di accertamento, il personale ispettivo dovrà considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.). Difatti:
l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale è indispensabile per il godimento di “benefici normativi e contributivi”, così come stabilito dall’art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006;
ma non solo, esso rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 338/1989 unitamente all’art. 2, comma 25, della L. n. 549/1995.
Pertanto ogniqualvolta, all’interno del medesimo Decreto, si rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipologie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia.
Ciò può avvenire, per esempio, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato. Ne consegue che, laddove il datore di lavoro abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo che non è quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti derogatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare applicazione. Ciò potrà comportare la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.Lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.