Naspi: l’indennità di disoccupazione può essere bloccata ma entro limiti prefissati dalla legge.
Non hai pagato alcuni debiti ma, siccome hai di recente perso il posto di lavoro, sei convinto che il creditore non possa farti nulla. Nessuno può toccare un nullatenente, hai ripetuto a te stesso, rassicurandoti sull’impossibilità che qualcuno pignori uno stipendio che non hai più o un conto corrente ormai definitivamente vuoto. Tuttavia, dopo qualche giorno, l’Inps ti comunica che la tua richiesta per l’assegno di disoccupazione è stata accettata e che la somma ti verrà accreditata direttamente in banca. Questa situazione ti mette in allarme: si può pignorare l’assegno di disoccupazione, ti chiedi e, se sì, in che termini può avvenire? La tua speranza è che, trattandosi di importi necessari per la sopravvivenza, non possano essere aggrediti da nessuno, tantomeno da chi vanta diritti di credito per questioni a tuo dire futili. La Naspi, peraltro, non è a tempo illimitato: è un ammortizzatore sociale che serve come paracadute non appena si viene licenziati, per poter “tirare avanti” fino a quando non si trova un nuovo lavoro.
La questione però non è così scontata come credi e, in verità, è possibile pignorare l’assegno di disoccupazione entro particolari limiti. Vediamo quali.
Quando spetta la disoccupazione?
Prima di capire se si può pignorare l’assegno di disoccupazione, ricordiamo quali sono i requisiti per ottenerlo. L’assegno di disoccupazione, che oggi si chiama Naspi, spetta alle seguenti condizioni:
Per poter beneficiare dell’indennità Naspi vi devono essere le seguenti condizioni (che approfondiremo nei seguenti paragrafi):
il lavoratore deve aver perso involontariamente la propria occupazione;
il lavoratore deve trovarsi in stato di disoccupazione;
il lavoratore deve poter far valere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione;
il lavoratore deve poter far valere almeno 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
La Naspi spetta quindi non solo a chi viene licenziato per crisi aziendale o per cessazione dell’attività o del ramo di impresa, ma anche per chi viene licenziato per giusta causa o altri motivi disciplinari. E non solo. La disoccupazione compete anche a chi si dimette per una giusta causa come il mancato pagamento dello stipendio, il mobbing, abusi e violenze, demansionamento, ecc.
Il creditore può pignorare l’indennità di disoccupazione?
Veniamo ora al problema maggiormente sentito da chi è disoccupato: il creditore può pignorare l’assegno di disoccupazione dell’Inps? La risposta è sì. Ma entro determinati limiti. Eccoli.
Pignoramento della disoccupazione prima che venga versata
Il pignoramento potrebbe avvenire direttamente in capo all’Inps, prima che l’ente accrediti l’assegno al disoccupato. In tal caso è possibile il pignoramento ma detratto da una minima parte necessaria alla sopravvivenza che è pari all’assegno sociale aumentato della metà (672,10 euro). La ragione è presto spiegata.
L’indennità di disoccupazione ha natura previdenziale: la Costituzione [1] dispone, infatti, che i lavoratori hanno diritto a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Nello stesso tempo il codice di procedura civile [2] prevede che le somme accreditate al debitore per prestazioni di natura previdenziale non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile, per crediti di natura ordinaria (banche, privati, finanziarie) nella misura di un quinto. Quindi, se l’assegno di disoccupazione è pari a mille euro, bisogna detrarre prima 672 euro e sulla differenza si può pignorare solo il 20% (ossia un quinto).
Se poi il creditore è l’agente della riscossione (Agenzia Entrate Riscossione), il pignoramento sulla parte eccedente il minimo vitale non è più di un quinto ma di un decimo.
Pignoramento della disoccupazione dopo il versamento in banca
Regole diverse valgono se la disoccupazione viene versata in banca. In tale ipotesi, secondo una sentenza della Corte Costituzionale del 2015 [3], il pignoramento è possibile per la totalità delle somme lasciate sul conto.
Dopo un mese però da tale sentenza è stata approvata una riforma che così dispone:
per le somme già accreditate all’atto dell’arrivo del pignoramento, queste sono pignorabili solo per la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale (448,07 x 3 = 1.344,21 euro). Ad esempio: su uno conto di 1500 euro costituito dall’accredito dei vari mesi di Naspi si può pignorare la differenza tra 1.500 e 1344,21 euro (ossia 448,07 x 3). Quindi è possibile pignorare solo 155,79 euro;
per le somme accreditate a titolo di Naspi dopo la notifica dell’atto di pignoramento è possibile il blocco entro massimo un quinto.
note
[1] Art. 38 co. 2 Cost.
[2] Art. 545 cod. proc. civ.
[3] C. Cost. sent. n. 85/2015. «Sono inammissibili, per aberratio ictus, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 e 3, comma 5, lettera b ), del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, impugnati, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost., in quanto consentirebbero al terzo creditore di aggredire senza limiti i redditi da lavoro o da pensione che alimentano il saldo del conto corrente intestato al debitore. Il principio di tutela del pensionato (art. 38, secondo comma, Cost.) soffre, in relazione al quadro normativo vigente, gravi limitazioni suscettibili di comprimerlo oltre i limiti consentiti dall’ordinamento costituzionale. La combinazione di diverse norme, tra cui quelle censurate, pur dirette a garantire valori importanti quali la tutela delle ragioni di credito e l’effettività della responsabilità patrimoniale, ha generato interrelazioni che rendono incoerente il sistema delle garanzie a favore del pensionato, pregiudicato nella fruizione di un diritto sociale incomprimibile quando i mezzi destinati a tal fine, per la semplice confluenza nel conto corrente bancario o postale, perdono l’originario carattere di parziale indisponibilità in relazione a misure cautelari ed espropriative. Il vulnus riscontrato e l’esigenza che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo per assicurare condizioni di vita minime al pensionato impongono la necessità che lo stesso legislatore dia tempestiva soluzione al riferito problema»