I tirocini extra curriculari: tra aspetti positivi e rischi di elusione [E.Massi]

Il 25 maggio 2017 la Conferenza Stato-Regioni ha aggiornato le “Linee guida” in materia di tirocini extra curriculari: esse sono destinate a sostituire quelle emanate a gennaio 2013 sulla scorta delle previsioni contenute nella legge n. 92/2012.
Va, subito, ricordato, prima di qualsiasi riflessione, che la competenza primaria ed esclusiva a disciplinare la materia di tirocini è delle Regioni e delle Province Autonome come affermato, chiaramente, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 287 del 19 dicembre 2012: queste ultime dovranno adeguare le loro regolamentazioni alle nuove “Linee guida” entro il 24 novembre 2017.

Le richieste di attivazione dei tirocini hanno subito una notevole impennata nel primo semestre del 2017: la ragione appare evidente ed è strettamente legata alla abolizione dei voucher, cosa che non può non attirare l’attenzione degli organi di vigilanza, perché i tirocini rappresentano delle esperienze lavorative che non sono riferibili, per legge, a forme di rapporto di lavoro subordinato ma che, nella sostanza, si prestano a forme elusive della norma, trattandosi, in molti casi, di “lavoro nero” mascherato.

La “ratio “ del tirocinio extra curriculare, in una logica positiva di politiche attive, è quella di essere rivolta a soggetti in cerca di occupazione o di un nuovo inserimento nel mercato del lavoro: il tutto appare finalizzato a favorire un contatto diretto con il soggetto ospitante. Da ciò discendono, quali obiettivi, l’arricchimento del bagaglio professionale, l’acquisizione di nuove competenze professionali, l’inserimento ed il reinserimento lavorativo.

Ma chi sono i destinatari?
Le norme hanno, progressivamente, individuato:

i lavoratori disoccupati, ivi compresi quelli che hanno terminato i percorsi di istruzione secondaria superiore e terziaria;
i beneficiari di trattamenti integrativi salariali;
i lavoratori a rischio di licenziamento;
i lavoratori già occupati in cerca di un’altro posto di lavoro;
i c.d. “soggetti svantaggiati” (invalidi psichici, fisici e sensoriali, persone in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti ed alcolisti, condannati ammessi a misure alternative al carcere), con una particolare attenzione ai disabili, anche nell’ottica di quanto previsto dall’art. 11 della legge n. 68/1999;
i cittadini extra comunitari residenti all’estero per i quali, tuttavia, la procedura di utilizzazione è completamente diversa e non rientrano direttamente nelle previsioni generali, in quanto si tratta di un particolare caso di ingresso “fuori quota” per il quale è previsto il visto di ingresso per motivi di studio o formazione. Esso trova le norme di riferimento nell’art. 27, comma 1, del decreto legislativo n. 286/1998 e nell’art. 40, commi 9, lettera a) e 10 del decreto del presidente della Repubblica n. 394/1999.
I tirocini sono promossi da una serie di soggetti (le Regioni e Le province Autonome hanno la possibilità di modificare od integrare l’elenco):

le Fondazioni di Istruzione tecnica superiore, come da accordo del 25 maggio 2017;
l’ANPAL, come da accordo del 25 maggio 2017;
i servizi per l’impiego e le Agenzie regionali del Lavoro;
le Università e gli Istituti universitari abilitati al rilascio di titoli accademici;
le istituzioni scolastiche abilitate al rilascio di titoli di studio aventi natura legale;
i centri pubblici o quelli convenzionati con la Regione o la provincia competente o accreditati nel settore della formazione professionale e nell’orientamento;
le cooperative sociali, le comunità terapeutiche e gli Enti ausiliari iscritti in specifici albi;
i servizi di inserimento dei disabili accreditati o delegati dalle Regioni;
le istituzioni formative private senza scopo di lucro sulla base di una preventiva autorizzazione Regionale;
le agenzie del Lavoro ed altri soggetti autorizzati alla intermediazione.
Ma, di quali caratteristiche deve essere in possesso il datore di lavoro ospitante?

Occorre ricordare, in premessa, che sono le Regioni a stabilire regole e limiti che, talora, appaiono più “rigidi” di quelli previsti dalla normativa nazionale che, ad esempio, per i licenziamenti prevede un diritto di precedenza che si esaurisce in un arco di sei mesi dalla data del recesso (art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, come modificato dal decreto legislativo n. 297/2002).

Il datore di lavoro deve, innanzitutto, essere in regola con tutta la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, deve essere in regola con le disposizioni che regolano l’accesso al lavoro dei disabili, non deve aver effettuato nei dodici mesi precedenti licenziamenti individuali o collettivi, ad eccezione di quelli per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, non avere in corso, per soggetti che svolgono attività equivalenti a quella del tirocinante, trattamenti integrativi salariali straordinari, compresi quelli in deroga o quelli “coperti” dal FIS o dal Fondo bilaterale di categoria, e non può utilizzare il soggetto ospitato in attività non coerenti con gli obiettivi formativi e che non richiedono alcuna formazione (mansioni elementari).

I tirocinanti non possono sostituire, con le loro prestazioni, lavoratori licenziati nei dodici mesi antecedenti fatta salva l’ipotesi legata ad un accordo sindacale. Al contrario, i tirocini possono essere attivati presso imprese che hanno in corso contratti di solidarietà espansivi ove la riduzione di orario incentivata è finalizzata alla assunzione di altri lavoratori: si tratta di una ipotesi “sostanzialmente scolastica” in quanto, al momento, tali contratti, riesumati “dall’oblio” degli addetti ai lavori dal decreto legislativo n. 148/2015 (poi corretto successivamente) hanno avuto uno scarsissimo favore presso le imprese e le parti sociali.
L’accordo della Conferenza Stato-Regioni ha allargato le ipotesi originarie nelle quali non è consentita l’attivazione dei tirocini, comprendendo (nel periodo di osservazione che riguarda i dodici mesi antecedenti l’attivazione) anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto, il recesso per mancato superamento del periodo di prova (principi interpretativi che lasciano qualche perplessità) o quello per fine appalto e la risoluzione del contratto di apprendistato al termine del periodo formativo con l’attivazione della previsione contenuta nell’art. 2118 c.c. .

Altri limiti, poi, possono individuarsi nel fatto che il tirocinante non può, in alcun modo, essere inserito nell’organizzazione aziendale, non può sostituire lavoratori stagionali o assunti per rispondere a picchi di attività, non può sostituire dipendenti assenti per una delle cause che danno diritto alla conservazione del posto (malattia, infortunio, maternità, ferie, aspettative politiche o sindacali, ecc.). Il rapporto di tirocinio non può, inoltre, essere attivato se:

– il tirocinante ha avuto nei due anni antecedenti, con il soggetto ospitante, un rapporto di lavoro, di collaborazione o di incarico a vario titolo, fatta salvo il caso di prestazioni accessorie non superiori a trenta giorni nei sei mesi precedenti. Si ha motivo di ritenere che tale orientamento resti anche per le nuove prestazioni occasionali disciplinate dall’art. 54-bis della legge n. 96/2017.

Propedeutica alla attivazione del tirocinio è una convenzione che coinvolge, oltre che il tirocinante, il soggetto promotore e quello ospitante: ad essa, redatta, in genere, su modelli “standard” definiti dalle singole Regioni o Province autonome, deve essere allegato il piano formativo individuale con l’indicazione:

dei dati identificativi dei tre soggetti sopra indicati. Se le esperienze si realizzano presso una pluralità di aziende la stipula può avvenire tra il soggetto promotore e l’associazione di rappresentanza dei datori di lavoro interessati;
dei dati riferiti ai tutor del soggetto promotore e di quello ospitante, con i relativi obblighi. Il tutor dell’ospitante (che può seguire fino a tre soggetti contemporaneamente) deve essere individuato tra i dipendenti in possesso di adeguata professionalità la quale ultima deve essere coerente con il programma inserito nel piano formativo;
della durata del progetto (da un minimo di due mesi – un mese se in attività stagionale- ad un massimo di dodici mesi che possono diventare ventiquattro qualora scattino le condizioni previste dall’art. 11 della legge n. 68/1999);
dell’impegno previsto in termine di ore giornaliere e settimanali;
dell’indennita’ che, corrisposta dall’ospitante, non può essere inferiore a 300 euro lordi mensili, salvo diversi limiti dettati da Regioni o Province Autonome nel proprio ambito territoriale di competenza. In linea di massima il compenso viene erogato per intero in presenza di almeno il 70% delle ore previste dal piano: esso è equiparato al reddito di lavoro dipendente con i conseguenti obblighi fiscali a carico dell’ospitante;
delle garanzie assicurative presso l’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e della responsabilità civile nei confronti dei terzi, attivata con una compagnia assicuratrice: nella convenzione va precisato se gli obblighi siano assolti dal soggetto promotore o da quello ospitante. L’assicurazione INAIL è del tutto analoga a quella prevista per gli allievi dei corsi professionali e il premio viene calcolato sulla retribuzione convenzionale annuale pari al minimale di rendita correlata alle giornate di presenza e sulla base del tasso indicato alla voce “0611” (9 per mille nell’industria, 5 nell’artigianato, 6 nel terziario ed 11 nelle alte attività).
delle attività che dovranno essere svolte dal tirocinante;
della sospensione del tirocinio che può avvenire per maternità, infortunio o malattia di durata pari o superiore a 30 giorni o per chiusura dell’azienda per ferie collettive.
L’attivazione del tirocinio, con la consegna delle attrezzature necessarie, deve essere preceduta, almeno un giorno prima che esso inizi, dalla comunicazione telematica ai servizi per l’impiego: l’onere e’ a carico del soggetto ospitante e la mancata o ritardata comunicazione viene punita con una sanzione amministrativa, diffidabile, compresa tra 100 e 500 euro. Il datore di datore di lavoro con sede in più Regioni può accentrare le comunicazioni obbligatorie relative ai tirocini presso il servizio informatico della Regione ove insiste la sede legale (art. 2, comma 5-ter, della legge n. 99/2013). Il Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 35 del 29 agosto 2013, ha chiarito che la comunicazione anticipata può essere effettuata anche dal soggetto promotore che, ai fini del c.d. “accentramento”, deve aver sempre riguardo alla sede legale del datore di lavoro ospitante.
Essenziale, sin dall’inizio della esperienza lavorativa, è l’adeguata informazione e

formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, nel caso, in cui sia prevista, la sorveglianza sanitaria.
La Conferenza Stato-Regioni nella delibera del 25 maggio scorso non è intervenuta sui limiti percentuali dei tirocini attivabile che restano sempre gli stessi (uno per le imprese fino a cinque dipendenti, due, contemporaneamente, per quelle con un organico compreso tra i sei ed i venti, fino al 10% del personale a tempo indeterminato,contemporaneamente, con arrotondamento all’unita’ superiore per quelle che presentano un numero di dipendenti maggiore), ma ha previsto (art. 6 delle “Linee guida”) un meccanismo che tende a favorire le imprese con più di venti dipendenti le quali assumono tirocinanti, al termine della loro esperienza, con un contratto di lavoro subordinato di almeno sei mesi: queste ultime, se hanno stabilizzato nei due anni successivi al tirocinio, i soggetti ospitati in una percentuale progressiva “a salire” dal 20% in su, possono superare la soglia “standard” del 10%.

I principi che ho, sommariamente riassunto, debbono accompagnare, a mio avviso, l’opera degli ispettori del lavoro e di quelli degli Istituti previdenziali (ora, coordinati all’interno dei singoli Ispettorati territoriali del Lavoro): l’aumento esponenziale delle richieste di tirocinio (sovente, dettate dalla ricerca “spasmodica”, non dichiarata, di un abbassamento del costo del lavoro) il progressivo allargamento a soggetti sempre più avanti nell’eta’ che cercano nuove forme di inserimento professionale dopo essere stati espulsi dai processi produttivi (secondo dati in possesso del Ministero del Lavoro, alla data del 17 marzo 2017, ben 213 soggetti erano “over 65” e, forse, non se ne comprende la ragione), impongono una piena verifica se, nel concreto, non ci si trovi di fronte ad un rapporto di lavoro dipendente “mascherato” per di più “compensato” con una indennità che nel valore minimo può essere di 300 euro in presenza di un tirocinio che può arrivare, a determinate condizioni, fino a dodici mesi.

Non si tratta, assolutamente, di fare dell’allarmismo, ma di verificare se, effettivamente, il tirocinante è inserito o meno nell’organico aziendale, se svolge una prestazione che non è inferiore a quella del personale subordinato in forza, se sostituisce, nel concreto, lavoratori assenti per una ragione qualsiasi, se è sottoposto a forme di controllo che vanno ben al di là del “mero tutoraggio”.

Se non si riscontrano gli elementi tipici del tirocinio gli ispettori non possono far altro che convertire il rapporto in un contratto di lavoro subordinato con tutte le conseguenze sia sul piano sanzionatorio che contributivo.
In tale logica appare necessario un raccordo continuo tra Regioni e Province Autonome ed Ispettorati territoriali del Lavoro attraverso forme di collaborazione postulate dallo stesso art. 14 delle “Linee guida” che, accanto alla comunicazione da parte di questi ultimi delle riqualificazioni di tirocini a rapporti di lavoro subordinato operati in assenza degli specifici requisiti, comporti una serie di sanzioni irrogate dallo stessa Regione come l’interdizione dalla possibilità di stipulare tirocini per un periodo di dodici mesi in presenza di situazioni non sanabili riferite sia al soggetto promotore che a quello ospitante (ad esempio, per mancato rispetto dei limiti massimi).


10 Luglio 2017


Fonte : Dottrina Lavoro