Quando sono obbligatorie le dimissioni telematiche online e cosa fare se il datore di lavoro rifiuta le dimissioni.
Come devono essere rassegnate le dimissioni? In base al «Jobs Act», dal 12 marzo 2016, le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere effettuate con modalità esclusivamente telematiche (articolo 26 del D.Lgs. 151/2015) ossia con procedura online. La norma è stata introdotta per evitare il fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”: un foglio di dimissioni che il datore di lavoro faceva firmare al dipendente già all’atto dell’assunzione per poi utilizzarlo nel caso in cui avesse voluto licenziarlo senza rischiare contestazioni.
L’obbligatorietà di tale procedura, esclusa solo per alcuni casi (di cui parleremo in seguito) fa sorgere la domanda: cosa succede se non si fanno le dimissioni telematiche? Cosa rischia il dipendente che rimane a casa e, pertanto, è considerato “assente ingiustificato”? Cerchiamo di fare il punto della situazione.
Dimissioni online: come si fanno?
Il lavoratore può recedere liberamente in modo unilaterale dal contratto di lavoro rassegnando le dimissioni senza particolari motivi o vincoli (salvo che il contratto collettivo e/o quello individuale dispongano diversamente), se non quello del preavviso, e senza che sia necessaria l’accettazione da parte del datore di lavoro.
Dalla lettura del D. Lgs. 151/2015, si evince chiaramente che l’unica modalità di comunicazione delle dimissioni è quella telematica, con i moduli ad hoc del ministero del Lavoro e tramite il suo sito Internet.
Come vedremo più in avanti, nel corso del seguente articolo, l’inosservanza della procedura online rende le dimissioni inefficaci: non hanno cioè alcun valore.
La procedura per la trasmissione del modulo per le dimissioni garantisce il riconoscimento certo del soggetto che effettua l’adempimento e una data certa di trasmissione.
Per comunicare le dimissioni online bisogna accedere al sito del ministero e seguire la procedura in esso indicata. Bisogna essere in possesso di SPID o CIE. Quindi, è necessario accedere al portale lavoro.gov.it e poi al form on-line per la trasmissione della comunicazione.
Il passo successivo è la compilazione del modulo. Il portale chiede all’utente di fornire le informazioni necessarie a risalire al rapporto di lavoro. Tra le altre cose, va indicata la data di cessazione del rapporto di lavoro, comprensiva del periodo di preavviso.
Nel caso di dimissioni per giusta causa, il dipendente dovrà barrare la casella dedicata.
Il modulo viene inoltrato automaticamente:
- all’indirizzo di posta elettronica (se presente, all’indirizzo PEC) del datore di lavoro;
- all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente (o alle Province Autonome di Trento e Bolzano e alla Regione Sicilia).
La data di decorrenza delle dimissioni è quella a partire dalla quale, decorso il periodo di preavviso, il rapporto di lavoro cessa. Pertanto, la data da indicare è quella del giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro.
Se il lavoratore non conosce l’indirizzo pec del datore di lavoro può inserire nel modulo, come recapito e-mail, anche una casella di posta non certificata.
Ad ogni modulo salvato sono attribuite due informazioni identificative: la data di trasmissione (marca temporale) corrispondente a quella rilevata all’atto del salvataggio delle dimissioni e un codice identificativo.
Chi non è pratico di computer ha un’alternativa: può rivolgersi a patronati, organizzazioni sindacali, consulenti del lavoro nonché presso le sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro, degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione. Questi cureranno, per conto del lavoratore, le dimissioni online.
Revoca delle dimissioni online
Entro sette giorni dalla trasmissione del modulo di recesso, il lavoratore può revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale, con le stesse modalità. Il datore di lavoro che riceve con modalità telematiche le dimissioni, quindi, potrà realmente considerare cessato il rapporto di lavoro solo trascorsi i sette giorni che la legge prevede per la revoca del recesso telematico presentato.
Preavviso dimissioni
L’obbligo della procedura online di dimissioni non esonera il lavoratore dal dare all’azienda il preavviso. Se il lavoratore ha calcolato erroneamente il preavviso e inserito una data di decorrenza delle dimissioni errata, il datore di lavoro, con la comunicazione obbligatoria di cessazione fornisce l’informazione esatta sull’effettiva estinzione del rapporto di lavoro.
Il dipendente non è tenuto a dare il preavviso nel caso di dimissioni per giusta causa, ossia per una grave colpa del datore che non consenta la prosecuzione del rapporto di lavoro neanche per un solo giorno. Tale non è il breve ritardo nel pagamento dello stipendio ma può essere il mancato versamento dello stesso per oltre due mensilità, le vessazioni e il mobbing, le avances, ecc.
Il dipendente che non dà il preavviso – pur laddove obbligatorio – subisce una trattenuta sull’ultima busta paga o sul Tfr pari all’indennità sostitutiva di preavviso indicata nel contratto collettivo.
Al contrario, il datore di lavoro può rinunciare al preavviso fornito dal dipendente senza pagare la relativa indennità sostitutiva. Tale principio è stato chiarito dalla Cassazione secondo cui [1] «in assenza di una specifica norma del contratto collettivo o individuale che obblighi il datore di lavoro a corrispondere l’indennità, l’impresa può validamente rinunciarvi senza corrispondere alcunché, in quanto diritto di credito che può essere oggetto di rinuncia» [1].
Quando non si applicano le dimissioni online?
La modalità cartacea delle dimissioni resta ancora valida per una serie di ipotesi in cui la procedura telematica non si applica. Ciò succede quando le dimissioni o la risoluzione consensuale avvengono:
- nelle sedi protette, ossia dinanzi ai sindacati e all’Ispettorato territoriale del lavoro;
- avanti alle commissioni di certificazione;
- durante il periodo di prova;
- nel lavoro domestico (colf e badanti);
- da genitori lavoratori;
- nel lavoro marittimo;
- nel pubblico impiego;
- da parte dei collaboratori coordinati e continuativi.
Se per la gran parte dei lavoratori si applica la procedura telematica, per alcune categorie è ancora valida la convalida: si tratta, nello specifico, delle lavoratrici nel periodo di gravidanza, delle lavoratrici e dei lavoratori durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento.
Cosa succede se non si fanno le dimissioni telematiche?
Le dimissioni rassegnate senza rispettare la procedura telematica sono inefficaci e non potranno comportare l’interruzione del rapporto di lavoro, a meno che le stesse siano contenute in un verbale di conciliazione e sottoscritte in sede protetta (ad esempio davanti a un giudice del lavoro, presso organizzazioni sindacali e così via); in tal caso, non è necessario osservare la normativa sulle dimissioni online.
Cosa succede allora se il lavoratore non si presenta più al lavoro senza osservare la procedura telematica prevista per dimettersi? Il dubbio amletico su cui si è più volte confrontata la giurisprudenza è se tale comportamento possa essere considerato con un atto di dimissioni tacite, tale cioè da determinare l’interruzione del rapporto di lavoro, oppure debba essere considerata come una grave condotta suscettibile di comportare il licenziamento per giusta causa da parte del datore.
La differenza tra le due opzioni è sostanziale: nel primo caso, il lavoratore non potrà percepire la Naspi, ossia l’assegno di disoccupazione, mentre nel secondo sì. E ciò perché la Naspi viene riconosciuta solo quando la risoluzione del rapporto avviene per volontà del datore. Proprio per questo, molti dipendenti usano l’escamotage dell’assenza ingiustificata per potersi dimettere e ottenere, al contempo, l’assegno dell’Inps per la disoccupazione.
La giurisprudenza è ondivaga anche se la tesi più accreditata preferisce qualificare il comportamento del dipendente assente ingiustificato non già come dimissioni tacite ma come grave inadempimento tale da portare al licenziamento. Questo perché, come detto, le dimissioni tacite non sarebbero ammissibili senza la procedura online di trasmissione del modulo al ministero.
Il licenziamento è però una scelta che il datore non praticherà con piacere: da un lato perché è sempre nascosto, dietro l’angolo, il rischio di un’impugnazione da parte del dipendente; in secondo luogo perché il licenziamento è sempre un costo per il datore, che dovrà versare il cosiddetto ticket Naspi. Diversamente, il rapporto rischia di non essere mai cessato, con la conseguenza che il lavoratore possa rivendicare il pagamento delle retribuzioni arretrate.
Di recente, però, il tribunale di Udine ha ritenuto possibile configurare l’assenza del dipendente come atto di dimissioni tacite. Nel caso di specie, il giudice si è pronunciato sul caso di una lavoratrice che non aveva risposto né alle contestazioni disciplinari per assenza ingiustificata dal lavoro, né alla comunicazione con la quale la società datrice di lavoro la invitava a dimettersi. La lavoratrice non aveva rassegnato le dimissioni con le modalità stabilite dalla legge, attendendo che fosse il datore di lavoro a licenziarla per giusta causa, per assenza ingiustificata (con il licenziamento, al lavoratore spetta la Naspi, il trattamento economico previsto in caso di disoccupazione).
Per il giudice, giungere in questo caso alla cessazione del rapporto solo tramite l’adozione di un licenziamento per giusta causa, significherebbe adottare un’interpretazione di dubbia legittimità costituzionale, per contrasto, in particolare, con gli articoli 38 e 41 della Costituzione. Il datore ha dunque agito correttamente comunicando al centro per l’impiego le dimissioni della dipendente.
Si aprirebbe un’ulteriore strada per il datore di lavoro: la sospensione del rapporto di lavoro, senza pagamento dello stipendio, nei confronti del dipendente assente ingiustificato. Sul punto leggi i due approfondimenti:
Che fare se il lavoratore non si presenta più a lavoro e non si dimette?
Cosa succede se vieni licenziato per assenza ingiustificata?
note
[1] Cass. ord. 27934/2021