Licenziamento del lavoratore in malattia che va al mare: sì della Cassazione

Legittimo il licenziamento del dipendente in malattia che va al mare invece di stare a riposo. Le motivazioni in una sentenza di Cassazione.

Licenziamento del lavoratore in malattia che va al mare: la giurisprudenza, ed in primis quella della Corte di Cassazione, è assai utile a fare chiarezza su tante situazioni pratiche, più o meno controverse. Grazie alla decisione della Suprema Corte, è infatti possibile giungere ad una soluzione definitiva su una certa questione concreta. Proprio come è successo recentemente, in relazione al caso di un lavoratore dipendente in malattia, il quale – invece di restare a casa a riposo e a recuperare le energie in vista del ritorno sul posto di lavoro – ha ben pensato di andare al mare.

Ebbene, quanto stabilito dalla Corte di Cassazione in una ordinanza di alcuni mesi fa è molto chiaro: recarsi al mare o in vacanza nell’ambito del periodo di malattia, è condizione sufficiente a far scattare  il licenziamento per giusta causa senza preavviso; vale a dire il cd. ‘licenziamento in tronco’. Attenzione dunque a quali comportamenti adottare in vista dell’imminente stagione estiva.

Vediamo di seguito, un po’ più nel dettaglio, i contenuti di questo aggiornamento giurisprudenziale in tema di  licenziamento dipendente.

Licenziamento dipendente in malattia: cenni al contesto di riferimento
In base alle norme del diritto del lavoro, il datore di lavoro o l’azienda possono certamente licenziare senza preavviso e senza correlata indennità, il lavoratore subordinato che sia di fatto responsabile di fatti; gesti o comportamenti così gravi da pregiudicare in modo irreparabile il rapporto di fiducia con il datore o l’azienda stessa.

Non solo, in queste circostanze è comune anche il verificarsi di un danno concreto agli interessi e/o attività dell’azienda. Più nel dettaglio, si tratta di un licenziamento di tipo disciplinare, che è preceduto da un procedimento disciplinare; esso tuttavia non impedisce a chi perde il lavoro per questo motivo, di percepire la ben nota Naspi, ossia l’indennità di disoccupazione. Essa infatti è attribuita ad ogni lavoratore, in ipotesi di perdita involontaria di lavoro. Perciò anche in caso di licenziamento dipendente per giusta causa, fatto valere dal datore di lavoro.

Recesso per giusta causa: cos’è e come funziona
Il concetto di giusta causa è rintracciabile nell’art. 2119 c.c. (“Recesso per giusta causa”), il quale dispone che le parti – vale a dire il datore di lavoro e il lavoratore –  possano esercitare il recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, appunto senza necessità di preavviso. Ciò laddove si concretizzi una causa che non permetta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Già in passato la Corte di Cassazione ha chiarito che la giusta causa è individuata in un inadempimento così grave che ogni altra sanzione differente dal licenziamento sarebbe insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro (Cass. 24/7/03, n. 11516), anzi all’azienda non può essere imposto di inserire il lavoratore responsabile un’altra posizione o ruolo (Cass. 19/1/1989, n. 244).

Licenziamento del lavoratore in malattia che va al mare: valido anche in tronco
Se questo è in sintesi il concetto di licenziamento per giusta causa, si può agevolmente constatare che se il dipendente in malattia va al mare nel periodo in cui dovrebbe curare il suo stato di salute e recuperare le forze, abbiamo innanzi un comportamento sanzionabile.

E la sanzione è proprio il licenziamento dipendente in malattia, giacchè con il suo comportamento illegittimo e fraudolento, di fatto lede in modo irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Tanto basta, insomma, per disporre il licenziamento in tronco.

Legittimità del licenziamento del lavoratore che si reca al mare durante la malattia
Come sopra accennato, lo ha statuito una volta per tutte una utile ordinanza della Cassazione, con cui i giudici di legittimità, in buona sostanza, confermano la legittimità del licenziamento per giusta causa, nei confronti di un dipendente in malattia che era andato in spiaggia ad abbronzarsi e nuotare. Ciò nel più totale spregio delle regole in materia di obblighi del dipendente in malattia. In particolare, il dipendente non si era fatto trovare a casa nelle ore della visita fiscale.

Nella vicenda, il datore di lavoro volle vederci chiaro e attraverso i servizi offerti da alcuni investigatori privati, riuscii a incastrare il dipendente in malattia. Di seguito quest’ultimo perse il lavoro per il licenziamento per giusta causa, ma fece causa al datore di lavoro. Tuttavia, i giudici della Suprema Corte hanno infine ‘sbarrato’ la strada al lavoratore disonesto: non vi sono elementi per contestare la legittimità del licenziamento dipendente di natura ‘disciplinare’, detto anche ‘per giusta causa’ o ‘in tronco’.

Il motivo è molto semplice ed attiene ai fatti così come accertati nel corso dell’iter giudiziario arrivato fino in Cassazione. Il lavoratore in malattia che va al mare o compie attività incompatibili (ad es. svolge altri lavori per differenti datori o pratica attività sportive) può essere di fatto cacciato dall’azienda.

Cosa dice la legge? Violato il principio di correttezza e buona fede
Ebbene, vero è che il lavoratore subordinato che chiede uno o più giorni di malattia può contare sull’astensione dal lavoro retribuita. Ciò in base a quanto indicato dal contratto collettivo di riferimento e dall’Inps. Tuttavia, ha l’obbligo di essere all’interno della propria abitazione nelle fasce di reperibilità per quanto attiene alle visite fiscali.

In sintesi, se il lavoratore in malattia non si fa trovare all’indirizzo reso noto all’azienda; ed anzi va al mare per fare una nuotata o esce per andare a giocare a tennis o a golf, viola apertamente l’obbligo di correttezza e buona fede, fondamentale per tutta la durata del rapporto di lavoro. Non osservare questo obbligo, significa per il lavoratore in malattia, esporsi inevitabilmente al concreto rischio di licenziamento dipendente per giusta causa.

Secondo la Cassazione la condotta del lavoratore in malattia giustifica “il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione”. In altre parole, anche in presenza di un certificato medico che attesti la malattia, può scattare il licenziamento lavoratore, se questi compie attività che non facilitano la guarigione e il rientro a lavoro. E a nulla vale la contestazione di una violazione della sfera della privacy, nel caso il datore di lavoro si serva di investigatori privati per vederci chiaro.


24 Giugno 2021