Apprendistato per gli over 29: particolarità e questioni operative

Un’analisi approfondita dei vari tipi di incentivi del tirocinio professionalizzante che mette in evidenza le particolarità della stessa e le questioni operative.

Sta prendendo sempre più piede nel nostro Paese il ricorso all’apprendistato professionalizzante per l’assunzione di lavoratori disoccupati percettori di un trattamento di disoccupazione: previsto, inizialmente, anche per i soggetti in mobilità percettori della relativa indennità (ormai scomparsi dopo che, a partire dal 1° gennaio 2017, non è stata più consentita l’iscrizione alle relative liste), l’art. 47, comma 4 del D.L.vo n. 81/2015 ha dovuto attendere per oltre un anno, ai fini della piena operatività, il messaggio dell’INPS che, dettando le prime indicazioni amministrative, ha dato il via a tale tipologia contrattuale.
L’analisi che segue cercherà di mettere in evidenza le particolarità della stessa che diverge, per diversi aspetti, dall’usuale apprendistato professionalizzante che trova applicazione per i giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventinove anni, secondo la previsione contenuta nell’art. 44.

Requisiti soggettivi
Per poter procedere all’assunzione il datore di lavoro deve verificare che il lavoratore sia titolare di un trattamento di disoccupazione: da ultimo, l’INPS, con la circolare n. 108/2018, ha ricordato che il requisito soggettivo consiste nella titolarità, accertata dall’Istituto, dopo che sia stata inoltrata dall’interessato la relativa domanda di fruizione, del trattamento di NASPI o di DIS-COLL, mentre la fruizione del trattamento di disoccupazione agricola non risulta essere pertinente al caso, in quanto tale indennità si origina su presupposti del tutto diversi.

Ovviamente, la conseguenza è una soltanto: per poter attivare il contratto occorre che, in via preventiva, il lavoratore abbia ricevuto la risposta di essere titolare del diritto (non importa il “quantum”), cosa che, in alcuni casi, ha portato a differimenti e lungaggini nelle assunzioni.

Finalità dell’apprendistato professionalizzante
L’assunzione deve avvenire per una qualificazione (come per la fattispecie individuata dall’art. 44) o una riqualificazione professionale.

Per quel che riguarda la qualificazione, qualora ne ricorrano le condizioni, risulta pienamente applicabile il contenuto dell’interpello del Ministero del Lavoro n. 8/2007, emanato in presenza di una vecchia disposizione (art. 49 del D.L.vo n. 276/2003, ora abrogato), ove a proposito dell’apprendistato professionalizzante si parlava, appunto, di qualificazione e non di qualifica come avvenne alcuni anni dopo con il D.L.vo n. 167/2011, anch’esso abrogato.

Ciò significa che se il lavoratore ha lavorato con quella qualifica, anche in sommatoria di precedenti contratti a termine o in somministrazione, per un periodo non superiore alla metà di quello previsto per la formazione dal CCNL (in genere, salvo eccezioni per le qualifiche riferibili al settore artigiano ove è più lungo, tale limite è fissato in diciotto mesi, essendo la formazione prevista in trentasei), può essere assunto per ottenere una maggiore qualificazione.

Una utilizzazione interessante di tale forma di assunzione può essere quella legata ad un diritto di precedenza ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015, regolarmente esternato per iscritto dall’interessato, per una assunzione a tempo indeterminato per le mansioni già espletate durante un precedente rapporto a termine. L’INPS, già con il messaggio n. 4752 del 17 aprile 2014, sottolineava come lo stesso poteva essere assolto dalle parti con la sottoscrizione di un contratto di apprendistato professionalizzante, qualora sussistessero le condizioni previste dall’interpello n. 8/2007.

Ma, l’apprendistato professionalizzante può essere costituito anche per una riqualificazione professionale: quindi, una qualifica del tutto diversa ma anche una qualifica che, seppur posseduta, necessità di formazione professionale continua alla luce dei nuovi standard operativi.

Ovviamente, sia nella prima che nella seconda ipotesi, grande importanza assume il piano formativo, redatto secondo le indicazioni fornite per quella qualifica dal CCNL di riferimento, Esso deve essere seguito ed attuato con particolare puntualità, pur in presenza di una possibile “non obbligatorietà” della parte esterna demandata all’organo regionale, e sulla sua progressiva attuazione si incentrerà, in caso di controllo, l’attenzione degli organi ispettivi di vigilanza che avranno, quale documento di riferimento principale, la circolare del Ministero del Lavoro n. 5/2013.

Per quel che concerne la figura del c.d. “tutor”, si applicano, oggi, le stesse regole previste dalla contrattazione collettiva per gli altri apprendisti, essendo superate, dopo le indicazioni fornite con l’art. 42, le determinazioni delle regolamentazioni regionali e di quella nazionale ove ancora applicata (D.M. 18 marzo 2000).

La contribuzione
Gli oneri per la quota parte a carico del datore di lavoro per quel che riguarda la contribuzione sono gli stessi dell’apprendistato professionalizzante previsto dall’art. 44 e seguono le dimensioni aziendali del datore di lavoro:

  • 1,5% il primo anno, 3% il secondo anno e 10% a partire dal terzo anno formativo, a cui va aggiunto l’usuale 1,61%, per i datori che occupano fino a nove dipendenti al momento dell’assunzione. Nel computo, come già affermò l’INPS con la circolare n. 22/2007, non rientrano i dipendenti assunti con rapporto di apprendistato, i somministrati, i lavoratori già addetti a lavori socialmente utili o di pubblica utilità in forza a tempo indeterminato, mentre i dipendenti a tempo parziale vanno calcolati “pro-quota” e gli intermittenti in ragione delle prestazioni effettuate nell’ultimo semestre.
  • 10%, con l’aggiunta dell’1,61%, per ogni anno formativo presso i datori di lavoro che sono sopra la soglia dimensionale dei nove dipendenti.

Rispetto al “normale” contratto di apprendistato professionalizzante (che, non dimentichiamolo, è un contratto a tempo indeterminato) le agevolazioni contributive finiscono al termine del periodo formativo (tra l’altro, non è prevista la possibilità di recesso ex art. 2118 c.c.): di conseguenza, non c’è la contribuzione ridotta al 10% nei dodici mesi successivi al “consolidamento” del rapporto dopo la formazione.

Va ricordato come la contribuzione per gli apprendisti sia stata definita “propria” e non sotto contribuzione dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 5/2008 e dall’INPS con la circolare n. 51 dello stesso anno. Ciò significa che non si può parlare di “sgravi contributivi” per cui non risultano applicabili le disposizioni in materia contenute, principalmente (ma non solo), nell’art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006 (ad esempio, possesso del DURC) e nell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015, nonchè eventuali richiami dalla Regolamentazione Comunitaria come il c.d. “de minimis”.

Parlando di contribuzione per gli apprendisti occorre sottolineare quanto previsto dall’art. 2 del D.L.vo n. 148/2015: laddove vi sia la “copertura” del trattamento integrativo salariale (ad esempio, intervento della CIGS per crisi aziendale nelle imprese con oltre cinquanta dipendenti o, in via generale, CIGO) occorrerà versare il contributo per il trattamento integrativo previsto.

Retribuzione
Il Legislatore ha previsto, in un certo senso rimandando alle determinazioni della contrattazione collettiva, che la retribuzione da corrispondere possa essere fino a due livelli in meno rispetto a quella prevista per l’inquadramento finale (sovente, i CCNL prevedono un “scalino” da salire dopo un certo periodo o, anche, un solo livello inferiore) o, in percentuale che aumenta, progressivamente, con il periodo trascorso in formazione.

Il sotto inquadramento non è un obbligo ma è una facoltà (art. 42) , nel senso che nulla toglie alla tipologia formativa se il datore di lavoro, da subito, offre una retribuzione attestata sul livello finale, in quanto la “bontà” della stessa si ricava dallo sviluppo pieno e coerente del programma formativo.

Ovviamente, l’apprendista è destinatario, a pieno titolo, sia degli integrativi aziendali che dei premi di produttività, legati al risultato, in un’ottica di piena attuazione di quanto previsto, in materia, sulla base della legislazione vigente.

Non computabilità
L’art. 47, comma 3, afferma che, ove non sia diversamente previsto, gli apprendisti non rientrano, per tutta la durata del periodo formativo, nel computo previsto da leggi o contratti collettivi per l’applicazione di particolari istituti. Tale regola vale anche per gli apprendisti “over 29”: da ciò discende che non rientrano nel calcolo ai fini del collocamento obbligatorio.

Dalla constatazione appena enunciata discende che, rispetto ad altre forme assuntive agevolate, il datore di lavoro ha interesse ad assumere con rapporto di apprendistato anche gli “over 29” (laddove, ovviamente, se ne registrino le condizioni) in quanto una assunzione a tempo indeterminato può far scattare l’obbligo di una assunzione di un portatore di handicap entro sessanta giorni: se tale impegno non viene onorato o non si è trovata una soluzione dilatoria attraverso una convenzione ex art. 11 della legge n. 68/1999, scatta una sanzione per ogni giorno lavorativo di scopertura pari a 153,20 euro che si riduce ad ¼ nel caso in cui si proceda, a partire da una certa data, all’assunzione.

Risoluzione del rapporto di lavoro attraverso il licenziamento
L’art. 47, comma 4, afferma che in caso di licenziamento trovano applicazione le disposizioni in materia di licenziamento individuale.

In considerazione del fatto che ci si trova di fronte a lavoratori assunti con le “tutele crescenti”, si applicano le disposizioni previste dagli articoli 2 e 3 del D.L.vo n. 23/2015.

Da ciò discende che se il licenziamento adottato (art. 2) risulta nullo in violazione di precisi richiami legislativi (ad esempio, donna nel “periodo protetto” o entro l’anno dal matrimonio), discriminatorio o ritorsivo, il giudice, se adito, non può che procedere alla reintegra del lavoratore, a prescindere dai limiti dimensionali, con il pagamento della retribuzione e della contribuzione per tutto il periodo di “non lavoro”, detratto l’eventuale “aliunde perceptum”, con la possibilità per l’interessato di rinunciare al posto, previo il pagamento di una indennità pari a quindici mensilità calcolate sull’ultima retribuzione utile ai fini del TFR.

Per quel che concerne, invece, il caso del licenziamento illegittimo per giusta causa, giustificato motivo soggettivo od oggettivo (art. 3) occorre tener presente quanto affermato, a proposito del comma 1, dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018 con la quale è stato affermato che il giudice non deve tener conto del solo criterio, seppur importante, dell’anzianità aziendale ai fini della quantificazione della indennità risarcitoria (due mensilità all’anno calcolata sull’ultima retribuzione utile ai fini del TFR, partendo da una base di sei, fino ad un massimo di trentasei mensilità nelle imprese dimensionate oltre le quindici unità, alla luce delle novità introdotte con il D.L. n. 87/2018), ma anche, con motivazione, di quelli richiamati dall’art. 8 della legge n. 604/1966 (numero dei dipendenti dell’azienda, contesto socio economico, comportamento tenuto dalle parti, ecc.).

Tale sentenza si riflette, sia pure con minore incidenza anche sui piccoli datori di lavoro ove la misura dell’indennità legata all’anzianità è ridotta (una mensilità all’anno, partendo da una base di tre, fino ad un massimo di sei) e dove è previsto, rispetto agli altri datori di lavoro, un limite massimo più basso.

Di conseguenza, come per altri dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.L.vo n. 23/2015, non è più possibile stabilire un “costo certo” legato alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Ovviamente, sarà sempre possibile attivare la conciliazione facoltativa prevista dall’art. 6 del D.L.vo n. 23/2015 ove, ad accettazione del licenziamento, è prevista la corresponsione di una indennità strettamente correlata all’anzianità aziendale sulla quale il lavoratore non paga l’IRPEF (una mensilità all’anno, partendo da una base di tre, fino a ventisette mensilità): tale proposta, alla luce della sentenza della Consulta, non appare più appetibile per i datori di lavoro con un organico superiore alle quindici unità, in quanto in giudizio il lavoratore può sperare di ottenere molto di più. Per le imprese sottodimensionate il discorso resta leggermente diverso in quanto i valori correlati alla anzianità aziendale sono sottoposti al limite massimo delle sei mensilità (mezza mensilità all’anno, partendo da una base di una e mezza).

Considerazioni finali
Il rapporto di apprendistato professionalizzante per i lavoratori che fruiscono di una indennità di disoccupazione rappresenta per i datori di lavoro ma anche per gli stessi lavoratori, un mezzo per rientrare, con alcune facilitazioni, nel mondo produttivo e si presenta più favorevole di quello previsto per l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori percettori di NASPI (20% della indennità non ancora percepita dall’interessato): a parte i benefici economici e contributivi che appaiono, di gran lunga, più favorevoli in favore dell’apprendistato, va detto come tale ultimo beneficio sia sottoposto ai vincoli esistenti per le agevolazioni ai quali si è fatto cenno pocanzi.


15 Novembre 2019


Fonte : Dottrina Lavoro