Lavoro intermittente: cenni generali, campo di applicazione, contratto di lavoro e trattamento economico.
Il lavoro intermittente (cd. lavoro a chiamata o job on call) è un contratto di lavoro che permette di utilizzare il lavoratore in modo funzionale alle esigenze, di carattere discontinuo, del datore di lavoro.
Tale peculiare contratto di lavoro è stato introdotto, per la prima volta nel nostro Paese, dal D.Lgs. 276/2003, con la finalità di permettere la regolarizzazione di «spezzoni lavorativi», con uno strumento
contrattuale specifico, particolarmente adatto per alcuni settori (turismo, ristorazione etc.).
Nel tempo il lavoro intermittente è stato oggetto di ripetuti interventi legislativi, basti pensare alla sua
soppressione, con la L. 247/2007, e al successivo ripristino, con la manovra economica 2008 (D.L. 112/2008 conv. in L. 133/2008). Gli interventi della legge Fornero (L. 92/2012), poi, nella consapevolezza che il lavoro intermittente «può essere utilizzato come copertura nei riguardi di forme di impiego irregolare del lavoro», erano finalizzati a contenere il rischio che tale tipologia contrattuale costituisca uno strumento di sfruttamento dei lavoratori. A tal fine l’ambito di applicazione del lavoro intermittente era rivisitato e, nell’intento di rendere più trasparente il ricorso a tale contratto, è stato introdotto l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare una comunicazione amministrativa preventiva prima dell’inizio della prestazione lavorativa.
Attualmente la disciplina del lavoro intermittente è contenuta nel D.Lgs. 81/2015 (artt. 13-18), in sostituzione delle disposizioni del D.Lgs. 276/2003, che sono di conseguenza abrogate.
La nuova disciplina non presenta innovazioni di particolare rilievo. In primo luogo, la nozione del contratto resta fondamentalmente immutata nei suoi aspetti salienti, anche se viene formulata in modo più chiaro e preciso. Il lavoro intermittente è definito, infatti il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.
Il contratto può essere a tempo indeterminato o determinato. Anche sulla base delle nuove disposizioni del D.Lgs. 81/2015, è possibile articolare il contratto in due diverse tipologie, a seconda che il lavoratore si sia obbligato o meno a rispondere alla chiamata del datore di lavoro.
Il campo di applicazione
In base alla nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. 81/2015, si può ricorrere al lavoro intermittente per
lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento a periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. Prima del D.Lgs. 81/2015, il ricorso al lavoro intermittente con riferimento a periodi predeterminati era autorizzato direttamente dalla legge, non era quindi subordinato all’esistenza di una specifica previsione da parte del contratto collettivo.7
Va evidenziato, tra l’altro, che nella disciplina originaria (art. 37 D.Lgs. 276/2003, prima delle modifiche operate dalla L. 92/2012), si faceva riferimento a prestazioni di lavoro intermittente da rendersi il fine settimana, nonché nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali e ad ulteriori periodi predeterminati individuati dalla contrattazione collettiva.
Attualmente è il contratto collettivo a stabilire la casistica che, settore per settore, legittima il ricorso al
lavoro intermittente. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente saranno individuati con decreto del Ministro del Lavoro. Nelle more, vale quanto previsto dal D.M. 23-10-2004, emanato in attuazione del D.Lgs. 276/2003, in cui si individuano le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo in quelle indicate nel R.D. 2657/1923 (custodi, fattorini, uscieri, inservienti, personale di servizio e di cucina in alberghi, carrozze-letto etc.).
Oltre che nei casi previsti dai contratti collettivi (o, transitoriamente, dal decreto ministeriale), il contratto di lavoro intermittente è attivabile con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età (in tale ultimo caso, per la stipulazione del contratto il lavoratore, non deve ancora aver compiuto 24 anni, mentre ai fini della durata del rapporto, esso deve concludersi entro il compimento del venticinquesimo anno di età).
Resta fermo il limite previsto dalla disciplina previgente. In particolare, il ricorso al lavoro intermittente,
è ammesso, per ciascun lavoratore con lo stesso datore di lavoro, nel limite di un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. Tale limite non trova applicazione nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. L’eventuale superamento del limite in questione è sanzionato con la trasformazione del rapporto in un normale rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Restano validi anche i precedenti divieti di ricorso al lavoro intermittente. Tale tipologia contrattuale non può essere utilizzata: per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni o si sia in presenza di sospensione di rapporti o di riduzione di orario, con diritto alla cassa integrazione, sempre di lavoratori adibiti alle stesse mansioni; da parte dei datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza sul lavoro.
Rispetto alle ipotesi dei licenziamenti collettivi e della sospensione di rapporti o di riduzione di orario,
con diritto alla cassa integrazione, prima dell’intervento del D.Lgs. 81/2015 era ammessa la facoltà, per la contrattazione collettiva, di introdurre disposizioni differenti. Il D.Lgs. 81/2015 non prevede più tale potestà, per cui il divieto deve essere considerato tassativo
Il contratto di lavoro
Il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e deve indicare i seguenti elementi: la durata e le ragioni, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto; il luogo e le modalità della eventuale disponibilità garantita dal lavoratore, compreso il preavviso di chiamata che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo. Nel caso in cui il datore abbia più sedi o più unità produttive deve essere espressamente specificato per quale sede si intende garantire la propria disponibilità, se per una sola o per tutte; il trattamento economico e normativo spettante per le prestazioni lavorative nonché l’eventuale indennità di disponibilità; la forma e le modalità con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, compresa la modalità di rilevazione della prestazione; i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e della eventuale indennità di disponibilità; eventuali misure di sicurezza specifiche in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
Il rapporto di lavoro
Il trattamento normativo ed economico del lavoratore intermittente è riproporzionato sulla base della prestazione lavorativa effettivamente eseguita (retribuzione spettante, ferie, trattamenti per malattia).La disciplina del rapporto varia a seconda che il lavoratore si sia obbligato o meno a rispondere alla chiamata del datore di lavoro. Nel primo caso (obbligo di risposta alla chiamata del datore), il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro per effettuare prestazioni lavorative ogni qualvolta questi lo richieda. A fronte di tale obbligo, il lavoratore ha diritto ad un’apposita indennità (cd. Di disponibilità) la cui entità è stabilita dalla contrattazione collettiva, nell’osservanza della misura minima fissata con decreto del Ministro del Lavoro. Il rifiuto ingiustificato da parte del lavoratore di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità riferita al periodo successivo al rifiuto ingiustificato. Il D.Lgs. 81/2015 non prevede più, però, che il lavoratore possa essere pure tenuto al risarcimento del danno patito dal datore di lavoro (la misura doveva essere fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro).
Il trattamento economico del lavoratore è costituito da due tipi di compenso: il corrispettivo per l’attività effettivamente prestata, conforme al normale trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi di settore per il lavoratore comparabile, riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita; l’indennità corrisposta per il periodo trascorso «in disponibilità».
L’indennità non spetta in caso di temporanea impossibilità del lavoratore ad eseguire la prestazione, ad es. per malattia, infortunio o altro evento; l’impossibilità deve essere comunicata tempestivamente al datore di lavoro, specificando anche la durata dell’impedimento; qualora il lavoratore non effettui la comunicazione, perde il diritto all’indennità di disponibilità per un periodo di 15 giorni, salva diversa previsione del contratto individuale.
Nel secondo caso (senza obbligo di risposta alla chiamata del datore), il lavoratore è libero di eseguire o meno la prestazione, in caso di richiesta del datore di lavoro. Il compenso spetta solo per i periodi in cui si effettua la prestazione. Ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, il lavoratore intermittente è computato nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.